Venezia 2017, La villa: recensione in anteprima del film di Robert Guédiguian
Festival di Venezia 2017: delizioso ritratto intergenerazionale nel Sud della Francia, privo di alcuna banalità, per Robert Guédiguian
Un anziano signore si accascia mentre cerca di raggiungere il mozzicone di una sigaretta poggiato sul posacenere, sopra un tavolo. Davanti al suo balcone si staglia una vista meravigliosa, che dà su un porticello suggestivo; oltre, il mare. Robert Guédiguian instaura il tono del suo La villa già dalle prime sequenze; il film è tutto lì, nella sofferenza di un malore all’interno di una cornice mozzafiato. Saputo dell’ictus del padre, i due figli, Angèle e Joseph, raggiungono la ridente ma vuota località; un terzo figlio, Armand, sta già lì, impegnato in quello che sembra l’unico esercizio commerciale della zona, ossia un ristorante. La vicenda del padre è quindi occasione non tanto per bilanci bensì per veri e propri capovolgimenti.
La villa è intriso di una nostalgia che si percepisce senza particolari sforzi, eppure non si limita alla rievocazione facile, più che altro perché scontata; Angèle non ha mai perdonato il padre perché a causa di quest’ultimo ha perso la figlia, eppure, su suggerimento del notaio, si sente comunque in dovere di esserci. Guédiguian rifugge le banalità, sia nei discorsi che nell’azione, misurando ogni cosa, dai dialoghi, per l’appunto, alle inquadrature, passando per la costruzione dei suoi personaggi. Che discutono, si muovono, si mandano a quel paese, ma tutto non è mai sopra le righe. Ultra-cinquantenni, i tre figli, specie quelli che sono andati a stare altrove, sanno di doversi rimettere in discussione e su più fronti; un certo torpore sta avendo il sopravvento ma non si riesce a capire cosa fare oppure ad avere la forza di farlo.
Nel rimarcare la portata generazionale di questo ritratto, ecco entrarvi altre tre persone, ben più giovani, la cui presenza è speculare e se vogliamo anche funzionale ai tre fratelli. Tutti diversi tra loro, due sono degli stacanovisti in carriera, mentre l’altro è un autoctono che fa il pescatore. È un modo per avere per lo meno una vaga contezza di come la Francia di Guédiguian sia cambiata negli ultimi quarant’anni, di come certe cose a cui si credeva con passione un tempo oggi non rientrano nemmeno nel vocabolario esistenziale di coloro che hanno la stessa età, di gran lunga più smaliziati, se vogliamo pure cinici, forse addirittura saggi. Innegabile però che il regista guardi a quel periodo con un misto di tenerezza e realismo, rievocando infatti dei momenti non particolarmente significativi per noi ma che non facciamo fatica a immaginare determinanti per i protagonisti, che nell’occasione si fanno un bagno vestiti quando erano giovani.
Ma Guédiguian aggiunge addirittura un livello ulteriore, proprio per calare ancora di più nell’oggi la sua storia: tre bambini arabi arrivati su un gommone. Anche qui, nessuna uscita insulsa, nessun proclama, solo l’irrompere dell’attualità nelle vite di questi protagonisti in procinto di scegliere un sentiero del bivio che hanno davanti. Ma non c’è per l’appunto nulla di urlato in tutto ciò, come La villa è stato fino a quel momento, ovvero un agrodolce spaccato su un luogo ed un gruppo di persone, alle prese con i problemi delle rispettive età, non diversi da altri coetanei francesi e non. Un film piccolo ma (o proprio per questo) caloroso, piacevole, in nessun caso greve, anzi, che riesce con altrettanta naturalezza a strappare qualche sorriso se non addirittura una risata qua e là.
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[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
La villa (Francia, 2017) di Robert Guédiguian. Con Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Jacques Boudet, Anaïs Demoustier e Robinson Stévenin. In Concorso.