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Le Mans 66 – La grande sfida, recensione – omaggio competente a una storia che andava raccontata

Ispirato da certa tradizione, Le Mans 66 – La grande sfida risulta persino più incisivo di Rush, merito anche di una parabola dal potenziale notevole

pubblicato 6 Novembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 15:46


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Ken Miles (Christian Bale) sarà anche una testa calda, eppure di gente come lui al volante ce n’è pochi. Fa il meccanico, perché quella per le automobili non è una mera passione: la velocità, l’estetica, la funzionalità, per lui sono cose parimenti significative, e che rimandano a una missione, al vivere qualcosa che sia più del semplice lavoro. Premessa che c’instrada verso cos’è Le Mans 66 – La grande sfida, ovvero una parabola sul senso del limite. Uno legge che si tratta del film su una gara, insomma, a tema corse, e subito pensa che quel limite abbia a che vedere appunto con la velocità, con l’andare oltre in quel senso lì. Il che non è falso, ma neanche del tutto corretto.

Succede che un emissario della Ford, Lee Iacocca (Jon Bernthal), si presenta da Enzo Ferrari (Remo Girone) proponendo una sorta di acquisizione, sapendo che Ferrari versa in condizioni economiche precarie. L’affare non convince Enzo, perché in sostanza potrebbe non avere più voce in capitolo sulla possibilità di gareggiare; ed allora rispedisce l’ambasciata negli USA in malo modo. È a quel punto che Henry Ford II s’incaponisce: dopo anni di predominio italiano, è tempo di mostrare al mondo che la Ford è in grado di costruire la macchina perfetta per vincere a Le Mans. Si affida perciò a Carroll Shelby (Matt Damon), l’unico americano riuscito nell’impresa fino a quel momento; quest’ultimo però, oramai divenuto costruttore, sa che l’unico modo per vincere è lasciare che sia Miles a guidare.

James Mangold si sta oramai specializzando in questo genere di produzioni; dopo anni di tentativi, per così dire, altalenanti, il nostro con Logan aveva già trovato un suo equilibrio – tanto che l’ultimo capitolo della saga di Wolverine si può benissimo annoverare tra le migliori, se la miglior versione in assoluto di cinecomic. Qui si affida pressoché in toto a Bale e Damon, i quali effettivamente, da un certo punto in avanti, salgono in cattedra per non più scendere, e, al netto dell’ineludibile patina, Mangold tira fuori quanto c’era da cavare da una storia del genere.

Storia che meritava di essere raccontata, ché non si è tutti così esperti o anche solo interessati all’argomento, mentre la parabola di Miles senz’altro travalica i confini del settore entro il quale prende corpo, offrendo uno spaccato di verità che persino a certe condizioni tende ad emergere. La bravura del regista sta infatti proprio qui, nel non sovrapporsi, quasi mettendosi da parte (come in Logan, per l’appunto), lasciando che le immagini descrivano gli eventi, ed attraverso questi si abbia percezione della vicenda, umana in senso profondo. Non è oramai facile sublimare lo strato aggiunto di certe produzioni, rendendo credibili episodi di vita che troppo spesso (quasi sempre) restano schiacciati, sepolti sotto le macerie di tanta, troppa ingombrante “finzione” – nei modi, più che nei contenuti evidentemente, deriva che, seppur in minima parte, comunque si sperimenta in Rush (2013), affine a questo progetto non solo per il contesto.

Il modo in cui viene preparato il momento centrale del film, l’edizione del 1966 della ventiquattr’ore di Le Mans, si rivela azzeccato, specie quanto al ritmo, non meno ben gestito rispetto a quanto avviene nel corso della gara vera e propria, vissuta tra i box e il circuito, tra cambi continui di marce e furberie al limite della sportività. Sottoponendoci un epilogo un po’ atipico, che dall’happy ending vero e proprio si discosta il giusto, perché in fondo in Le Mans 66 – La grande sfida il protagonista, l’eroe di questa storia, la sua missione la compie.

Tocca tornare a quanto evidenziato in relazione al discorso sul superamento del limite. Ken Miles è il più veloce di tutti, e lo dimostra. Ma la vera battaglia, la “sfida” di cui al titolo italiano, si consuma ad un altro livello; senza psicologismi o introspezioni di alcun genere, veniamo messi a parte di questo confronto continuo, costante, che vede opposti Miles e sé stesso. Una lotta interiore che però viene qui resa mediante la pura azione, il prendere scelte precise, dire o fare delle cose anziché delle altre. Ci si arriva forse un tantino lunghi, dopo circa due ore e mezza, senza però avere l’impressione di essere stati sfiancati; questo perché Le Mans 66 – La grande sfida si pone al livello di certi vecchi classici, almeno quanto all’ispirazione, dando vita ad una rievocazione competente e alla portata, come solo a Hollywood, per piglio e risorse, se ne possono fare, malgrado se ne facciano sempre meno.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

Le Mans 66 – La grande sfida (Ford v Ferrari, USA, 2019) di James Mangold. Con Matt Damon, Christian Bale, Jon Bernthal, Caitriona Balfe, Tracy Letts, Josh Lucas, Noah Jupe, Remo Girone, Ray McKinnon, JJ Feild, Jack McMullen, Emil Beheshti, Corrado Invernizzi e Adam Stuart. Nelle nostre sale da giovedì 14 novembre 2019.