Le vacanze del piccolo Nicolas: al mare con la magia del cinema
La spensierata commedia di Laurent Tirard va in vacanza con battute brillanti e le avventure mozzafiato che i bambini sanno vivere con la complicità del cinema
«Tutti gli anni, cioè quello passato e l’altro ancora, perché prima è troppo prima e io non me lo ricordo, mamma e papà litigano un sacco per decidere dove andiamo in vacanza, poi mamma si mette a piangere e dice che se ne torna dalla sua mamma, e piango anch’io perché a me nonna è simpatica però a casa sua il mare non c’è, e alla fine andiamo dove vuole mamma e non è a casa della nonna».
Dalle pagine del bestseller “Les Vacances du Petit Nicolas” scritte da René Goscinny e Jean-Jacques Sempé (edite in italia da Donzelli), alla spensierata trasposizione cinematografica di Laurent Tirard, sceneggiata con Grégoire Vigneron, Il piccolo Nicolas e i suoi genitori (Le petit Nicolas) sono pronti a tornare sul grane schermo con Le vacanze del piccolo Nicolas (Les vacances du petit Nicolas).
Il sequel della deliziosa commedia francese, presentato in anteprima al 44° Giffoni Film Festival, porta il piccolo protagonista (Mathéo Boisselier) in vancanza al mare con i genitori (Kad Merad e Valèrie Lemercier) e la nonna (Dominique Lavanant).
Una piccola vacanza dalla scuola e la realtà, piena di giochi e avventure estive figlie di scherzi e malintesi, oltre alla complicità di nuova amicizie strette in spiaggia, con Blaise che vive lì, Fructueux a cui piace mangiare di tutto, Djodjo che non parla come loro perché è inglese, Crépin che scoppia a piangere di continuo, Côme che vuole avere sempre ragione e Isabelle che lo fissa con i suoi grandi occhi rotondi e inquietanti.
Tra la spiaggia, il bosco e l’albergo, piani, inseguimenti e colpi di scena, Nicolas vove infatti un’estate indimenticabile con i nuovi amici, la famiglia e il bagnino.
Una commedia girata a piedi nudi nella sabbia con dinamiche sorprendenti, ispirate a Laurent Tirard dalla propria infanzia e il cinema che lha costellata, attraverso allusioni a Jacques Tati e Kubrick, Fellini e Hitchcock, a partire dalla scena della doccia di Psyco, cucendo i panni del regista eccentrico e volitivo direttamente sul Luca Zingaretti già diretto in Asterix & Obelix al servizio di Sua Maestà (Astérix & Obélix: au service de Sa Majesté)
Le vacanze del piccolo Nicolas, prodotte da Fidélité Films, M6 Films, sono uscite in Francia il 9 luglio 2014 e arrivano nelle nostre sale, distribuite da BIM, a partire da giovedì 16 aprile 2015.
Intervista con Laurent Tirard
Cosa le ha fatto venir voglia di lanciarsi ancora una volta nell’avventura del Piccolo Nicolas?
Essendo Il Piccolo Nicolas una serie, abbiamo subito ipotizzato un seguito che, dopo il successo riscosso dal primo film, è diventato un imperativo. Affrontando l’aspetto delle vacanze, ho ripensato ai film della mia infanzia, come Le vacanze di Monsieur Hulot o Hôtel de la plage, e mi sono detto che questo tema ci avrebbe permesso di avventurarci in un ambiente diverso e di evocare la spensieratezza delle vacanze estive negli anni ’50 e ’60. È stato questo aspetto, il cambiamento di universo e di tono, a farmi venire la voglia di ricominciare.
Il primo set resta un ricordo molto forte e indimenticabile, un’esperienza carica di emozioni intense: lavorare con i bambini è stato davvero magico. Per questo motivo ero dibattuto tra il timore di restare deluso e la voglia fortissima di ripetere quell’esperienza. Ho fatto bene a riprovarci perché è stato un altro grande momento di felicità.
Quali sono i suoi legami con questo personaggio?
Quando da piccolo leggevo Il Piccolo Nicolas, provavo un senso di identificazione molto forte: mi paragonavo senza difficoltà a quel bambino che ha nei confronti della vita uno sguardo un po’ sfasato poiché la osserva attraverso il prisma della sua immaginazione.
Nella scrittura della sceneggiatura si è sentito più libero rispetto alla prima volta?
Per il primo film, Grégoire Vigneron, il mio co-sceneggiatore, e io sentivamo il peso della responsabilità dell’adattamento che doveva essere il più fedele possibile. Questa volta avevamo a disposizione meno materiale, perché esiste una sola raccolta che descrive le vacanze estive di Nicolas quando viene mandato in colonia e questo ci ha di fatto permesso una più ampia libertà di immaginazione. Inoltre, dopo aver superato la precedente prova e aver acquisito la fiducia di Anne Goscinny, di Jean-Jacques Sempé e del pubblico e dopo esserci impadroniti del personaggio, sentivamo di poterci lasciare andare e di poter inventare più cose.
Quali sono state le principali sfide questa volta?
Era necessario evitare la concatenazione delle piccole cronache che caratterizza i libri e trovare una vera e propria trama dotata di un filo conduttore. Ma mettendo in parallelo diverse storie, quella di Nicolas e di Isabelle, quella dei genitori, quella del padre di Nicolas con il suo capo, siamo riusciti a intrecciare più filoni narrativi rispetto al primo film.
La sceneggiatura concede ampio spazio agli adulti. È stato intenzionale fin dall’inizio?
Non lo avevo del tutto previsto. Nel primo film, avevamo ritenuto opportuno dare importanza agli adulti per consentire a tutti gli spettatori di apprezzare la storia. E in realtà era stato estremamente piacevole lavorare sul carattere dei personaggi, in particolare quello della madre, che abbiamo dotato di una certa verve comica. Abbiamo dunque voluto svilupparli in questo secondo film.
La doppia chiave di lettura è un dispositivo vincente che le sta a cuore. Perché?
Da spettatore cinematografico, amo molto la tendenza che ha inaugurato la Pixar con film come Toy Story, che resta un punto di riferimento in materia. Prima, la maggior parte dei film di animazione si rivolgeva esclusivamente ai bambini. Oggi la tendenza generale è un’altra, in cui è bene iscriversi e nella quale io mi sento a mio agio. Più della gran parte delle persone, so di avere una doppia personalità, quella dell’adulto e quella del bambino. Di conseguenza, mi risulta piuttosto facile mettermi al livello dei più piccoli e durante la scrittura mi viene naturale sviluppare un doppio piano di lettura.
Ha approfittato del film per rievocare dei ricordi personali?
Non mi ero fatto scrupoli a farlo neanche nel primo film. Ne Il piccolo Nicolas e i suoi genitori molti degli aneddoti vengono direttamente dalla mia infanzia. Nel secondo film, ho preferito inserire i miei riferimenti cinematografici. È riconoscibile Jacques Tati, ma ci sono anche allusioni a Hitchcock, Kubrick, Bardot e Fellini, in particolare a Psyco per la scena della doccia. Il film è una sorta di omaggio al cinema con cui sono cresciuto e che mi ha nutrito.
Visto che i giovani eroi del primo film sono cresciuti, ha dovuto ricomporre interamente il cast dei bambini. È stato complicato?
No, ho visto una quindicina di ragazzini per scegliere il protagonista, ma è stato un processo piuttosto rapido. La selezione del cast è molto diversa con i bambini: non sono consapevoli della posta in gioco, non sentono tanto la pressione e sono molto più spontanei. L’idea è un po’ quella di invitare dei piccoli amici uno a uno e di giocare insieme a loro. Cerco sempre di rendere il momento del provino il più possibile ludico, proponendo esercizi e improvvisazioni. Mi dà un grande piacere e mi vengono sempre un sacco di idee.
Come si dirige un bambino?
Contrariamente a un adulto, un bambino non deve intellettualizzare una scena: assimila troppe cose e se lo facesse non riuscirebbe più a essere spontaneo e naturale. Bisogna dunque cercare di comunicare con loro utilizzando il minor numero di parole possibile. Poiché tutto quello che uno dice è importante, è necessario trovare quel piccolo stratagemma che aiuti il bambino a conservare il lato intuitivo che permette che il tutto resti un gioco.
Oltre a Kad Merad e Valérie Lemercier, ha scritto pensando a nuovi attori per i ruoli adulti?
Ho scritto il personaggio del produttore italiano per Luca Zingaretti che avevo felicemente diretto in Asterix e Obelix al servizio di Sua Maestà. Sentivo che aveva una grande potenzialità comica.
Per il personaggio della nonna avevo pensato a Bernadette Lafont, con la quale abbiamo infatti girato un giorno, ma che è deceduta prima del nostro secondo incontro. Dominique Lavanant, che le era molto affezionata da quando avevano recitato insieme in Paulette, all’inizio era reticente all’idea di prendere in mano il suo personaggio, ma abbiamo convenuto che era quello che la sua amica avrebbe voluto e, con nostro immenso piacere, ha accettato.
Come siete sbarcati a Noirmoutier-en-l’île?
Due anni fa, quando ho confidato a un’amica che mi accingevo a scrivere la sceneggiatura di questo film, lei mi ha immediatamente suggerito di girarlo sulla Plage des Dames. Non ero mai stato su quella spiaggia. Quando è stato il momento dei sopralluoghi, sapevamo di dover trovare una località sulla costa atlantica e abbiamo mandato la nostra équipe a vedere tutte le spiagge, dalla Normandia ai Paesi Baschi. Poco dopo, siamo rimasti colpiti da una fotografia… ed era quella della Plage des Dames! È incantevole, per le sue dimensioni, la sua forma a mezzaluna, il piccolo albergo che la sovrasta e il bosco che la circonda. Ha un aspetto ideale vicino all’universo del Piccolo Nicolas. Non avremmo potuto scegliere altro luogo.
Quali indicazioni ha dato per gli ambienti?
Dopo aver scelto il rosso e il nero come i due colori principali nel primo film, questa volta abbiamo privilegiato il giallo e il blu. Ma a dire il vero non ho avuto molte indicazioni da dare. Come accade nella maggior parte delle troupe, il fatto di lavorare con la stessa scenografa da diversi film (da Le avventure galanti del giovane Molière in poi, per l’esattezza), permette un reale risparmio di tempo, visto che conosce i miei gusti in fatto di colori, materiali, tagli e ci capiamo al volo.
Quali sono stati i momenti salienti delle riprese?
La scena del ballo mascherato, con tutte quelle persone in costume, aveva qualcosa di fiabesco che mi ha ricordato la mia infanzia. La ripresa in cui i bambini si passano di mano in mano un serpente vivo è stata molto buffa perché loro si divertivano veramente. E poi ci sono stati dei momenti magici, come quello della conversazione tra il padre e il proprietario del piccolo bar. Sulla carta, quel breve scambio di battute non era nulla di che ma, grazie all’interpretazione degli attori, ha assunto una dimensione straordinaria. Lo stesso discorso vale per la scena nella soffitta, quando in un battere di ciglia Isabelle passa dall’avere un viso terrificante all’avere quello di una bambina incantevole. Sono scene che possono anche essere scritte alla perfezione, ma se non trovi gli attori capaci di interpretarle, non funzioneranno mai.
Cosa l’ha resa più felice in questa avventura?
La possibilità di lavorare di nuovo con dei bambini e di ritrovare la mia troupe. Sul set regnava una grande leggerezza e si percepiva il piacere di essere spensierati. Abbiamo girato una commedia a piedi nudi nella sabbia e la sera ci trovavamo tutti insieme in quello stesso luogo. Ogni cosa è avvenuta con grande facilità e tutti erano contenti di far parte del progetto. Mi sono spesso detto che fare cinema negli anni ’60 doveva essere qualcosa di simile.
Le piacerebbe realizzare altri capitoli del Piccolo Nicolas?
Lo farei con immenso piacere. Ma, dopo questi due film e l’adattamento di Asterix, vorrei prima concentrarmi su una sceneggiatura più personale.
Intervista con Jean-Jacques Sempé
Come è nato il Piccolo Nicolas?
Alla fine degli anni ’60, ogni settimana realizzavo una vignetta umoristica per una rivista belga, Le Moustique. Era un’illustrazione classica che rappresentava un bambino. Un giorno il direttore della pubblicazione mi chiese di trovargli un nome. Prima di entrare nel suo ufficio avevo visto l’insegna «I vini Nicolas» e allora decisi di chiamare il mio personaggio Il Piccolo Nicolas. Ma quando il direttore mi propose di trasformare la vignetta in una striscia, rifiutai perché non era il mio campo preferito. Fu René Goscinny a convincermi ad accettare facendomi capire che Il Piccolo Nicolas era un personaggio da fumetto. A quel punto gli proposi di lanciarsi in questa avventura insieme a me.
Assomiglia al bambino che lei era?
È il risultato di diversi modelli di bambini e in ciascun ragazzino della banda c’è un po’ di me e un po’ di René. Mai il Piccolo Nicolas ha indiscutibilmente ereditato il mio lato mattacchione.
Ha un posto privilegiato nella sua opera?
Rappresenta la nostra giovinezza, mia e di René Goscinny. Un’età per la quale provo inevitabilmente nostalgia.
È un buon esempio per i bambini di oggi?
Il Piccolo Nicolas non fa nulla di male, ma non spetta a me esprimere un giudizio sui bambini di oggi. Peraltro, ne frequento pochi. Conosco qualche ragazzina che trovo straordinariamente svelta e intelligente.
Come spiega il successo che il Piccolo Nicolas riscuote tra loro?
Non so dare una spiegazione, ma mi fa piacere constatare che malgrado tutto sia cambiato, malgrado la scuola non sia più la stessa e i bambini non portino più i calzoncini corti continuino ciò nonostante a identificarsi in lui.
Il successo del primo film dedicato al suo personaggio l’ha sorpresa?
Ogni cosa mi sorprende sempre. Quando realizzo dei disegni che vengono acquistati, quando i miei libri si vendono, rimango stupefatto. Un illustratore non si abitua mai al successo. Contrariamente a un artista di scena, noi non vediamo i nostri lettori e dunque il successo resta astratto.
Cosa le piace nel lavoro di Laurent Tirard?
È piuttosto rigoroso e non utilizza un’ingente quantità di mezzi come si tende a fare oggi. Essendo della vecchia scuola, è la sua sobrietà a piacermi più di ogni altra cosa. Per questo motivo, quando ha formulato l’idea di realizzare un seguito al primo film, sono stato felicissimo e l’ho lasciato libero di compiere le sue scelte.
Qual è stata la sua reazione vedendo questo nuovo film?
Dal mio punto di vista, è un altro mondo, diverso da quello delle illustrazioni dei nostri libri. Ma lo osservo con attenzione e come non addetto ai lavori di cinema mi interessa.
Ha la sensazione di vedere un personaggio diverso dal suo Piccolo Nicolas?
No ma sento uno sguardo diverso nei suoi confronti e un diverso modo di vedere le cose in generale. Il Piccolo Nicolas che seguiamo sul grande schermo è davvero simpatico e il film è riuscito. L’universo grafico del cinema mi sorprende sempre rispetto a quello del disegno. È un altro mondo, che mi interessa e mi diverte.
Le piacerebbe che ci fossero altri film sul Piccolo Nicolas?
Se ci saranno degli altri film, vorrà dire che ci sarà la richiesta di vederne altri e di questo, ovviamente, sarei felicissimo!
Intervista con Anne Goscinny
Cosa le è piaciuto di questo progetto?
Tenuto conto della qualità del primo film e dell’accoglienza che gli era stata riservata, è stato entusiasmante ritrovare il Piccolo Nicolas sul grande schermo. Naturalmente avevo molto amato il libro Le vacanze del Piccolo Nicolas. Quindi spostare il personaggio in un altro luogo, farlo uscire dalla scuola, vedere come si comporta sulla spiaggia, con dei nuovi amichetti… bisognava essere pazzi per rifiutare un progetto che avrebbe permesso di osservare tutto questo da vicino!
È rimasta sorpresa dal successo del primo film?
Non mi ero immaginata un successo di tali dimensioni. Ho adorato il primo film perché l’ho trovato tenero, giusto e commovente. Penso che l’universo di mio padre e di Sempé sia stato tradotto in immagini con molto talento. Ma sarebbe stato pretenzioso non stupirsi di un simile successo. Il film è piaciuto sia ai bambini che ai genitori. I primi sono una cassa di risonanza e i secondi sono molto contenti quando non si annoiano al cinema!
Cosa rappresenta per lei Il Piccolo Nicolas?
Tra tutte le opere di mio padre, è quella che occupa un posto a parte. Ho a lungo immaginato che con il Piccolo Nicolas mi raccontasse la sua infanzia. Sicuramente si tratta dei suoi ricordi o, a volte, di quelli di Jean-Jacques Sempé (per quanto riguarda lo sport o le vacanze in colonia). Mentre per i personaggi di Asterix o Lucky Luke non è stato così. Non tutti siamo stati galli o cowboy, ma ognuno di noi è stato bambino.
Il Piccolo Nicolas mi tocca in modo particolare poiché si tratta di un testo che si sviluppa senza la costrizione formale e rigorosa della vignetta. Mio padre ha quindi avuto più spazio per esprimersi e dispiegare il suo talento di narratore. Contrariamente a quanto avviene con un fumetto, il rapporto con il testo è più immediato, l’accesso alle parole non passa attraverso la lettura concomitante della striscia. In un fumetto, le illustrazioni colpiscono di primo acchito. Mentre qui, i disegni di Sempé illustrano e accompagnano il testo, come in una canzone le parole sospingono la musica…
Ha seguito la stesura della sceneggiatura?
Seguo sempre molto da vicino la stesura di una sceneggiatura. A prescindere dalla mia inclinazione personale che propende in modo molto naturale verso la scrittura, sono la persona che ha i diritti dei lavori di mio padre e non voglio che si travisi la sua opera. Bisogna saper trasgredire per mettersi a servizio di un’opera e non servirsi di un’opera a costo di trasgredirla! Ma con Laurent Tirard e Grégoire Vigneron, non ero preoccupata perché di loro mi fido. Fanno un lavoro brillante, leale, giusto e molto divertente.
Alcune delle loro idee le sono parse strane?
Mi è sembrato tutto molto naturale. C’è persino una scena che avrebbe potuto scrivere mio padre e che mi fa sbellicare dalle risate: quella in cui Kad Merad chiede al proprietario del baretto «lei cosa scriverebbe al suo capo?» e quello gli risponde «non posso saperlo perché sono io il capo». Qui ritroviamo lo spirito di mio padre, il suo gusto dell’assurdo, il suo umorismo alla Pierre Dac. Fa veramente ridere. A tratti il film oscilla tra Jacques Tati e Fellini… che non sono riferimenti da poco!
Cosa le piace nel lavoro di Laurent Tirard?
Ho scoperto Laurent Tirard grazie al suo primo lungometraggio Mensonges et trahisons et plus si affinités… che mi aveva fatto molto ridere. Era al tempo stesso spiritoso, intelligente e meravigliosamente interpretato. Alcune scene, completamente surreali, corrispondevano in pieno all’idea che mi sono fatta dell’umorismo di mio padre.
Pensa che anche suo padre avrebbe amato i suoi film?
Quando ho preso coscienza della sua morte mi sono imposta una cosa precisa: di non pensare e di non parlare mai al suo posto. Di non dire mai «gli sarebbe piaciuto», «avrebbe adorato» o «avrebbe detestato» perché non ho voluto costruire la mia persona facendo pensare qualcuno che, di fatto, non pensa più. Istintivamente, mi sono resa conto molto presto che sarebbe stato un esercizio sterile. Ma in base all’idea che mi sono fatta di mio padre, penso che li avrebbe amati, sì.
Che cosa ha provato vedendo il film?
Un grande e sincera felicità perché trovo che sia un film divertente, intelligente e bello. È montato molto bene e il ritmo narrativo mi sembra eccellente. Uscendo dalla sala mi sono detta «fantastico, ho visto un bel film!». Sono un’appassionata di cinema e appena posso vado al cinema. Nel film i colori hanno un’importanza fondamentale e mi veniva quasi voglia di mettere gli occhiali da sole da quanto è bello il tempo! I disegni di Sempé erano in bianco e nero e ho avuto l’impressione che Laurent Tirard li avesse colorati.
Le piacerebbe che ci fosse un terzo film?
Quello che fa Laurent è talmente riuscito ed elegante che non vedo l’ora. Ma se mi dicesse che dopo un Asterix e due Piccolo Nicolas desidera andare a esplorare un altro universo, lo capirei perfettamente. E comunque sarà il pubblico a dirci se ha voglia o meno di vedere Nicolas al cinema una terza volta!
Via | BIM –