Les Amants Reguliers a Venezia62
Les Amants Reguliers – [di Impostore]Les Amants Reguliers di Philippe Garrell comincia a cercare l’immagine dove The Dreamers di Bertolucci si strappa in una violenta elisse. E non semplicemente per affinità tematica; il 68 attraverso la sua fine o il suo inizio in sovrimpressione con i[…]
Les Amants Reguliers – [di Impostore]
Les Amants Reguliers di Philippe Garrell comincia a cercare l’immagine dove The Dreamers di Bertolucci si strappa in una violenta elisse. E non semplicemente per affinità tematica; il 68 attraverso la sua fine o il suo inizio in sovrimpressione con i sentimenti di un gruppo di giovani. E’ il rovesciamento della posizione delle sequenze di lotta rispetto al film di Bertolucci che sorprende; Garrell comincia proprio da li, sfruttando gli interstizi dell’inquadratura, filmando i corpi e i gesti come se venissero spiati da una posizione non privilegiata, tagliati da quadrature imperfette, stanati attraverso oggetti-filtri della visione, sorpresi dietro le spalle o in mezzo ad una barricata che taglia i margini dell’inquadratura. E i momenti di lotta sono splendidi, occupano i primi quaranta minuti dei 178 complessivi, e ci permettono di entrare in una ricerca della/e verità politica sui volti di Louis Garrell e della bellissima Clotilde Hesme.
Difficile e impensabile uccidere con la parola il cinema di Garrell che anche si affida a questa, ma con un procedimento che in alcuni registi francesi contemporanei funziona come un dispositivo noto, ripetitivo, spietato, che è la tensione tra la minaccia del fuori campo e l’entropia dell’inquadratura, Garrell che affonda le sue radici in una storia del cinema personale, molto complessa, non è semplificabile in un nome/metodo (Bresson-Godard). Più che di fuori campo, nello scandaglio della mdp di Garrell, ci piace parlare di cicatrice. Insegue il corpo di Louis e dei suoi compagni all’interno di un appartamento e si ferma sull’escrescenza di una parete, mentre il corpo muore dall’inquadratura, indugia distrattamente sul suo strappo, e ipnoticamente sulla persistenza del nostro sguardo; tratta il primo piano come un’(im)postura del tempo, non semplicemente per durata, ma con un’attenzione impercettibile alle increspature, ai suoni della splendida musica di Jean Claude Vannier (un frammento di storia musicale imprescindibile, da Gainsbourg a Henri Salvador fino a tutti i “suoi” anni ‘70) fino ai piccoli movimenti, ai gesti e alle (in)visibili cicatrici.