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Loin des hommes: Recensione in Anteprima del film con Viggo Mortensen

Viggo Mortensen si candida quale serio pretendente alla Coppa Volpi, sebbene Loin des hommes di David Oelhoffen possa definirsi un film più stimolante che riuscito

pubblicato 31 Agosto 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 22:42

Nella suggestiva cornice del deserto nordafricano una guerra minaccia la stabilità di quel territorio. È il 1954, ed in un villaggio sperduto Daru (Viggo Mortensen) insegna a dei bambini. Si vede che la sua è una missione e non una mera occupazione, perché sa quanto possa incidere per la gioventù di quelle terre una buona istruzione, o per lo meno il sapere leggere e scrivere. Un impegno al quale si è interamente votato, avendo però fatto i conti senza l’oste.

L’imprevisto che mette tutto in discussione prende il nome di Mohamed (Reda Kateb), un giovane arabo inseguito per essere giustiziato. Da chi e per cosa poco importa; ciò che conta è che Daru non intende stare permettere un’esecuzione come se niente fosse, lecita o meno che sia. Per questo decide di intraprendere un rischioso viaggio con Mohamed, esperienza spartiacque per entrambi.

David Oelhoffen dice di aver pensato a un western sui generis per questa storia tratta da un racconto di Albert Camus, L’hôte. Ed il canone viene rispettato: due fazioni (ribelli da un lato e truppe francesi dall’altro), il salvato, il salvatore e lande desolate in cui a regnare è la violenza. Ciò che propone Loin des Hommes è proprio questo, un viaggio. A prima vista si direbbe che il tutto sia finalizzato all’avvicinamento dei due protagonisti, che senz’altro avviene. Ma in realtà ciascuno di loro deve trovare sé stesso, attraverso un confronto costante non solo con l’altro – fate attenzione al titolo, che tradotto significa Lontano dagli uomini.

L’idea di impostare in questo modo il racconto è fondata, malgrado la prima mezz’ora o giù di lì scivoli giù a fatica; mettendo da parte il ritmo, necessariamente blando, sono proprio gli eventi, i personaggi a sembrare statici, sullo sfondo di un ambiente che paradossalmente è invece in primo piano. E lo rimarrà, perché il deserto e zone contigue a esso giocano un ruolo essenziale, sia in termini formali che contenutistici. Sotto il primo aspetto la fotografia del film sfoggia sin dall’inizio scorci meravigliosi, per lo più in campo lungo o lunghissimo, di tanto in tanto qualche medio. Questo perché ad Oelhoffen non interessa guardare alla natura con intenti esaltatori: dunque va bene indugiare su panorami e vedute in genere, purché ci dicano di più su quanto sta accadendo, o su come i personaggi stanno vivendo tutto ciò.

Trascorsi i primi, respingenti trenta minuti (o quelli che sono), Loin des hommes comincia a raddrizzarsi. Quando Daru e Mohamed incontrano sul loro tragitto la prigionia, fatti ostaggi dai ribelli, poco alla volta il film comincia a lievitare. Conosciamo di più sul passato di Daru, così come su ciò che realmente ha costretto Mohamed ad allontanarsi dalla sua gente. Solo ora s’inizia ad intravedere quel potenziale rimasto inespresso, o represso, da una prima parte tendente a mortificare anche il migliore degli intenzionati.

Il vero valore aggiunto però resta lui, Viggo Mortensen, capace da solo di far pendere l’ago della bilancia. A suo agio con almeno due lingue, il francese e l’arabo, si concede anche un po’ di spagnolo; non troppo incline ai cliché à la Clint Eastwood, che vogliono l’eroe un tipo per lo più taciturno, Daru non impartisce lezioni benché tutto si possa dire fuorché che Loin des hommes sia un film che lesina linee di dialogo. Anche quando tutto il resto arranca, Mortensen riempie lo schermo e tiene in vita un contesto che in più parti ci aliena, o per lo meno fa poco per tirarci dentro. Pur non mancando del tutto di momenti, è bene dirlo; così quando Mohamed chiede a Daru come sia «stare con una donna» o quando, poco più avanti, il personaggio di Mortensen si trova esattamente in una situazione di quel tipo, scena che, lungi dall’essere spinta, dispone invece di una garbata carica emotiva espressa mediante pochi elementi, come gli occhi di Daru bagnati dalle lacrime – trovata che, in qualsiasi altro momento e probabilmente con qualsiasi altro attore sarebbe scaduta nel comico.

Tuttavia pare comunque che l’idea alla base di Loin des hommes fosse quella di staccarsi dal formato dell’inchiostro su pagina, puntando soprattutto all’esperienza, facendo fondo dunque a risorse che sono anche prerogative del mezzo: oltre alla fotografia, perciò, la colonna sonora, altro aspetto decisamente curato. L’impressione tuttora, anche a distanza di alcune ore dalla proiezione, è che Oelhoffen perda qualcosa strada facendo, anche se il suo Loin des hommes è un’opera stimolante, con qualche crepa ma non per questo del tutto aleatoria. Se non altro il migliore dei francesi fino ad ora, mancando ancora all’appello Le Dernier Coup de Marteau di Delaporte.

Voto di Antonio: 6,5

Loin des Hommes (Francia, 2014) di David Oelhoffen. Con Viggo Mortensen e Reda Kateb.