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Luciano Martino: ha fatto tutto nel cinema, cosa ricorderemo di lui e del suo lavoro?

Ho davanti l’elenco dei film che Luciano ha scritto o diretto o prodotto. Sono centinaia.

pubblicato 12 Dicembre 2014 aggiornato 30 Luglio 2020 19:44

In terra di Romagna, Repubblica di San Marino, sul grande schermo di un auditorium, vedo comparire il nome di Luciano Martino. Eccolo, grande. Non me lo aspettavo. Partecipavo a un Festival 2014 diretto da un giovane e bravo regista Maurizio Zaccaro, che mi ha invitato per una retrospettiva breve dei film di Luigi Comencini, il regista di “Totò imperatore di Capri” e di “Pane amore e fantasia”, di “Tutti a casa” (un capolavoro) e di tante altre pellicole che meriterebbero di essere citate.

Si spegne la luce, si accende lo schermo. Ecco i titoli di testa, ecco il nome di Luciano tra gli sceneggiatori di “La finestra sul luna park”. Resto colpito. Ignoravo. La memoria si è messa in moto e ha durato lungo. A lungo perché, consultati documenti, c’è bisogno di molto tempo per ristabilire il contatto con un uomo di cinema che, nato a Napoli, del cinema a Roma ha fatto la sua vita. La mia memoria salta gli anni e mostra un altro fotogramma. Un signore dall’aspetto gentile entra nella hall dell’Excelsior, l’albergo dei vip e dei divi durante della Mostra del cinema.

E’ tutto vestito di bianco, abbronzato, la racchetta da tennis spunta da una sacca. 1985 o giù di lì. Eccolo: lo sceneggiatore il cui nome ho colto al volo nei titoli di testa del film a San Marino, “La finestra del luna park” (1957), allora aveva solo ventitre anni. Nella hall dell’Excelsior è un bel signore di cinquanta due anni. Si tiene in forma. Me lo presentano. Conosco finalmente la persona che negli anni era stata indicata nel gossip del cinema, che può a volte essere pesante, come il fidanzato della bella Edwige Fenech, la protagonista di tante scherzose, vane, pellicole in cui la seducente e intelligente Edvige (lo ha dimostrato) faceva molte, troppe docce, e si sa perché (un professore di comunicazione gli dedicò un saggio!).

Ci sediamo con Luciano nella luce della terrazza dell’Excelsior. Così comincio a conoscerlo meglio, parliamo, simpatizziamo. Quel signore aveva molte cose da dire e io da imparare. Da allora, da quella Venezia tanto arrogante eppure ingenua (la Venezia della ingenua sbrigatività del cinema al Lido), i nostri contatti discontinui ma sono andati avanti. Incontri veloci in un bar in via Sabotino,a Roma, dove Luciano fino agli ultimi anni della sua esistenza, riuniva (calamita di simpatia e cortesia) uno stuolo di sfaccendati o saltuariamente affaccendati cineasti o cinematografari, gente, gentina, gentaglia, così come li si chiamava scherzosamente nella speranza di rinverdire la grandezza del cinema.

Sussurri e grida. Educazione. Speranze di rinverdire forse… qualcosa che non esisterà più, con negli occhi pieni ancora del ricordo di una vitale Cinecittà, di quello che fu e resta della Hollywood sul Tevere, del talento di grandi autori (Visconti, Fellini…), della magia satirica di commedia italiana con grandi attori e registi (Risi, Monicelli, Sordi, Tognazzi), e così via.

Ho davanti l’elenco dei film che Luciano ha scritto o diretto o prodotto. Sono centinaia. Spuntano i nomi di Comencini, Giuliano Montaldo, Sergio Leone e tanti altri in una foresta di titoli e d storie. Un territorio, una prateria senza fine in cui i generi si intrecciano come un rosario peccaminoso (peccati veniali) di cose riuscire e meno riuscite. Tutti i generi ma preferibilmente la commedia con i comici più brutti del mondo che incantavano donne magnifiche, istallando inaudite speranze nei maschi in cerca di sogni.Film di eroi di cartone e di canzoni popolari, di sfigati che per una risata erano pronti a qualunque risorsa…Ma anche cronaca nera, cronaca degli anni di piombo. Un intero mondo in una piccola Italia dilaniata tra una rivoluzione nei costumi amorosi e sessuali, e una rivoluzione sociale sempre sognata e sempre insanguinata. Da “Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda” (1972) a “Milano trema: la polizia vuole giustizia” (1973).

Per capire il bilancio della carriera di Luciano Martino, in cui hanno partecipato familiari, amici e complici di lavoro, bisogna andare i titoli. Nell’insieme, trasmettono le linee, le sensazioni di un sismografo: gradi mercalli di un terremoto italiano per fatti e traumi, pazze e incoscienti risate, sogni e bisogni contraffatti, spie di inconsci collettivi alla ricerca di identità, identità difficili da trovare oltre da riconoscere. Una furia quasi barbara, di successi e tentativi. Ignorati o appena citati nei tomi della critica.

Il gentile signor Martino, autore e produttore per passione e per guadagno, “drogato” dal cinema e dalla voglia di vincere al botteghino senza farsi condizionare, provare remore e rimorsi, se n’è andato. Ai funerali, ha partecipato una gran folla commossa. I critici non c’erano. Il cinema di Luciano Martino era ed è considerato “infetto” da gran parte della critica poi, a poco a poco, nel presente vuoto cinema italiano, alcuni critici hanno ricominciato a ri-considerare. Lo fanno per disperazione. O per pentimento. O per speranza in un cinema migliore, mah, chissà.

Il nostro cinema è stato grande, anche quando era plebeo, povero, spontaneo (Totò, Peppino e…), ma spesso lo hanno messo alla berlina costringendolo a pensare e a proporre film di élite. Spesso un guaio per il presente e il futuro dello stesso cinema. Ora c’è poco o niente. E’ finito l’humus sgangherato dei poveri ma belli ma anche dei poveri ma brutti. Luciano lo ha vissuto, senza barare. Oggi a barare ci provano in tanti, nel cinema, in tv e anche fuori. Il nuovo humus lo abbiamo sotto gli occhi. Ci sarà un film intilato “Mafia Capitale”?