Ma che noiosi, parlano della crisi del cinema che dà loro da vivere…
Qual è la strada per uscirne? Ne parliamo su Cineblog.
Credo di avere un buon carattere e di incazzarsi senza ragione non mi capita. E non ci provo anche questa volta, benché la situazione potrebbe consentirlo. Questa è la realtà. I giornali pubblicano notizie con titoli evidenti sulla crisi del cinema, nel senso della diminuzione vistosa degli spettatori nelle sale.
Ed ecco che scattano i commenti. Prefiche e precacchi cominciano a lacrimare sulla carta stampata come se fosse carta igienica, e sulla spalle del giornalista o del solito conduttore di contenitore wc ventiquattro ore su ventiquattro.
Il funerale, anzi “finerali” aumentano per contagio e suonano le campane a morte delle solite improvvisate analisi nei media, poiché siamo in tempi in cui fa comodo lamentarsi a pagamento qui in Italia. Una lacrima, un euro. Come ai supermercati. La fine è la nostra salda produzione della contemporaneità.
Qual è la strada per uscirne?, chiedono il becchino in giacca cravatta come nodo scorsoio, la becchina in tailleur e tacchi tredici centimetri di assenza da tutto, il beota addetto ai lavori che si bea di continuare materia per i suoi singulti, coprendo così le sue colpe del tutto evidenti. Il coro, anzi il coretto risponde corretto: la strada delle idee? Ed ecco lo smarrimento che si alza venefico. Quali idee? Sono anni che non se ne vede qualcuna. Ma il nostro cinema può permettersi di avere idee quando il testo e il contesto della cultura del cinema sono a dir poco demenziali, senza rimedio? Spero proprio di no. Però, adesso, rispondo di no.
Il nostro cinema si è perduto negli anni Settanta quando la tv ha potuto fare quel che voleva, attaccandosi al cinema come ad una mammella, con la ipocrisia di dire che aiutava il cinema trasmettendo film a tutte l’ore; tendenza che si è aggravata con l’avvento della miriade di televisioni grandi e piccole che non succhiano più la tetta, sono diventate loro la tetta del cinema con il latte guasto alla gola.
Rispondo di no. Opinionisti e critici sono stati, e per molti versi lo sono ancora, i secondini del carcere delle idee, facendo credere di essere la caritas degli indigenti della pellicola, i forzati delle sovvenzioni, delle raccomandazioni. Essi hanno deciso ciò che era bene vedere, da quello che era il male assoluto, come il nazismo.
Ovvero, è bene vedere l’opera d’autore qualunque sia, meglio se straniera, laterale, underground, oltre i confini del globo, lunare. Essi hanno deciso, seguiti da drappelli e poi di masse massificate, che il cinema italiano, dalla gloriosa tradizione popolare e creativa, dovesse assimilarsi alle sguaite pretese elitarie di festival chiusi come case chiuse, festival mausoleo o fortezza da cui far uscire registi e autori schierati nel moralismo attuale. Ovvero, guai ai film che non siano bajadere della moda del momento, della angoscia esistenziale in provetta e proiettore, della innovazione senza innovazione, quindi innovazione che commemora se stessa, e propone un cinema con futuro findus, sterilizzato, senza gli zebedei, due palle e molto soldo, senza luna park.
Ma una cosa divertente, nel clima di un calo di presenze che non riguarda- bisogna precisarlo- solo il nostro cinema bensì tutto il cinema che passano i conventi e quindi anche il superconvento americano, scatta qui, in casa de noartri. Uso il romanesco, noartri, noi, per sottolineare un’altra tendenza che combacia con quella delle elite senza grandezza: quella del regionalismo spinto.
Non ho nulla contro le film commission, anzi. Pensavo con altri che qualcosa potevano e possono fare. Non lo penso più dopo gli incontri con i responsabili di alcune di queste film commission, presiedute da figure di grande astrazione, colte e illuminate solo da una abat jour. Alcuni di questi incontri, casuali, in occasione di convegni o viaggi in treno, si sono rivelati…illuminanti.
“Voglio che i film prodotti nella mia regione siano interpretati unicamente da attori della ragione stessa”. “Voglio che mostri i paesaggi della nostra bella ragione a vocazione turistica”. Obiezione: “Ma se sono deturpati!”. Risposta: “Provvederò, provvederemo. Il fascismo sapeva coprire le brutture quando il Duce veniva a vistare le nostre contrade!”. Obiezione: “E con la lingua?”. Risposta: “La lingua esce dalla bocca di un popolo e deve appartenergli per forza, avere suoni di casa, ispirare la lotta contro la morte dei dialetti, miniera di passato, astronave verso il futuro. Far sentire aliti nuovi”. Curiosità: “Aliti?”. Risposta: “Profumi della nostra terra”.
Domanda: “E la musica?”. Risposta: “La musica va tradotta, a parte il fatto che abbiamo fior di compositori”. Domanda: “Tradotta?”. Risposta: “Certo. Non abbiamo forse noi italians tradotto tutte le canzoni angloamericane, che hanno distrutto l’anima della nostra gente?”.
Ecco, ci vogliono le idee. Torneremo sopra all’argomento. Anche le idee possono essere “tradotte”? Già ma come? Il seguito alla prossima puntata.