Manta Ray: trailer italiano del film premiato a Venezia 2019
Manta Ray: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sul film drammatico di Phuttiphong Aroonpheng nei cinema italiani dal 10 ottobre 2019.
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Il 10 ottobre arriva nei cinema italiani Manta Ray, il film di Phuttiphong Aroonpheng vincitore della sezione “Orizzonti” al Festival di Venezia e nominato nella categoria Miglior opera prima al Festival di Toronto.
La trama ufficiale:
La storia di “Manta Ray” comincia in una foresta vicino a un villaggio costiero: un giovane pescatore dal biondo capello ossigenato (Wanlop Rungkamjad: attore thailandese affermato che partecipa allo sviluppo artistico del cinema indipendente nel suo paese) s’imbatte in un uomo ferito e privo di sensi (Aphisit Hama: per questo fashion stylist e DJ è primo ruolo al cinema) e decide di prestare immediatamente soccorso, portandolo al sicuro in casa propria. Lo sconosciuto però non proferisce parola, forse è muto oppure troppo scosso dal proprio viaggio per riprendere a parlare. Il pescatore decide quindi di assegnargli il nome di una pop star thailandese, Thongchai. Da lì a poco s’instaura un forte legame tra i due, fino a quando una mattina il pescatore scomparirà in mare (ma è una vera scomparsa? O solo il preludio di un ritorno inaspettato?). Thongchai lentamente, e quasi inesorabilmente, si ritroverà a prendere il suo posto, abitando nella sua casa, vivendo del suo lavoro e convivendo con la sua ex moglie (Rasmee Wayrana: è il primo ruolo al cinema di quest’amata cantante thailandese).
NOTE DI REGIA
Il fiume Moei. Un piccolo specchio d’acqua segna il confine tra la Thailandia e il Myanmar. Sono arrivato in questo posto nel 2009, solo ed emozionato, guardando il Myanmar. Non c’era nessun checkpoint per il controllo dell’immigrazione, nessun soldato di pattuglia, nessun filo spinato. Solo un torrente profondo fino alla cintola mi separava dall’attraversamento. Guardai dall’altra parte. Un bambino spuntò da un cespuglio. Entrò in acqua e cominciò a nuotare nella mia direzione, verso il mio paese. Sul mio lato della riva, a un paio di metri di distanza, altri due ragazzi stavano scherzando. Gridarono al ragazzo straniero di nuotare e unirsi a loro. Guardai come i tre ragazzi nuotavano e cantavano insieme nel Moei. Quello stesso anno, sulla costa thailandese, barche che trasportavano rifugiati furono respinte dalle autorità. Cinque barche di legno si rovesciarono. Trecento Rohingya scomparvero in mare. Avrei voluto per loro il destino di “Thongchai”, il personaggio principale della mia sceneggiatura; ferito e scaraventato sulla costa tailandese, ma vivo. Nel 2015, su una collina a Padang Besar, una città di confine della Thailandia meridionale, a 300 metri dal tunnel di Perlis che porta in Malesia, fu scoperta una fossa comune di Rohingya. La causa di quelle morti rimane un mistero. I cadaveri non possono parlare e gli eventi sono stati lentamente dimenticati. In una scena fondamentale del mio film, sentiamo molte voci nella foresta, piene di angoscia e lacrime. Sono voci di rifugiati Rohingya che avevo registrato. Queste voci non scompariranno e non saranno totalmente dimenticate. Continueranno ad esistere, nel mio film. Nel film, quando il personaggio del “pescatore dai capelli biondi” ritorna e vede come Thongchai, l’uomo che ha salvato, si è impossessato della sua casa e della sua donna, si genera improvvisamente una violenza. In questi anni continuo a sentire storie di rifugiati in fuga dal terrore che s’intrufolano nel mio paese. Molte persone qui li vedono come elementi indesiderati che rappresentano un pericolo. Ho dovuto confrontarmi con il nazionalismo estremo e la discriminazione dagli amici con cui sono cresciuto fin dall’infanzia: persone che hanno sviluppato risentimento ed egoismo, cui è stato insegnato a credere nell’idea di una nazione che va protetta ad ogni costo. Chiudo gli occhi e immagino una foresta oscura e isolata, completamente priva di rumore, salvo che per i suoni di uccelli e insetti. La luce della luna splende attraverso gli alberi. Osservo attentamente la mia foresta. A un tratto, un uomo squilibrato accende luci al neon in tutta la foresta: brutte luci in verde, giallo, blu e rosso. L’uomo squilibrato proclama che ogni pezzo di terra su cui le sue luci si poggiano appartiene “a noi”. E mette il suo braccio sulla mia spalla. Ho riaperto gli occhi. Il Moei era proprio di fronte a me. Il sole stava tramontando. Due giovani ragazzi salutavano il loro amico straniero. Il bambino camminava attraverso l’acqua, tornando da dove veniva. Ho guardato quel bambino straniero che lentamente scompariva dalla mia vista. Il sole a quel punto era tramontato. Le brutte luci cominciavano lentamente ad accendersi e a brillare al centro del fiume Moei di fronte a me. (Phuttiphong Aroonpheng)
Phuttiphong Aroonpheng, nato nel 1976, ha studiato arti visive all’Università Silpakorn di Bangkok. I sui cortometraggi sono stati programmati in festival come Busan, Rotterdam, Amburgo e Singapore: Ferris Wheel, in particolare, è stato presentato in più di venti festival e ha ricevuto dieci premi. Ha partecipato all’Asian Film Academy di Busan nel 2009 ed è stato anche nominato come “uno degli intellettuali pubblici asiatici” dalla Nippon Foundation. È stato anche direttore della fotografia dei seguenti film: Vanishing Point di Jakrawal Nilthamrong, The Island Funeral di Pimpaka Towira e Dolphines di Waleed Al-Shehhi. Manta Ray è il suo primo lungometraggio.