Mario Bava: 100 anni di genio del brivido in 10 film del maestro italiano
“Sono sicuro di aver fatto solo grandi stronzate. Sono un artigiano. Un artigiano romantico, di quelli scomparsi. Ho fatto il cinema come si fanno le seggiole.”
Belle ‘seggiole’ però … di un abile artigiano capace di forgiare il terrore che si nutre di desiderio, il piacere che si fonde con l’orrore, rendendo sublimi baci necrofili e intuizioni figurative, sensuali le relazioni con la luce e l’uso espressionistico del colore, conturbanti i doppi malvagi che rincorrono se stessi.
La preziosa eredità di Mario Bava, del pioniere italiano del brivido, visionario esploratore di sentieri e generi, maestro indiscusso del cinema horror italiano, che a 100 anni dalla nascita, la XXXIV edizione del FANTAFESTIVAL (Mostra Internazionale del Film di Fantascienza e del Fantastico – dal 14 luglio al 7 settembre 2014) omaggia con l’istituzione del premio “Mario Bava” per la Migliore Opera Prima italiana, e noi con 100 anni di puro genio condensati in 10 film, per un viaggio che rende bella anche la paura.
1960 – La maschera del demonio (The Mask of Satan)
Tim Burton cita esplicitamente il film ne Il mistero di Sleepy Hollow e rimase molto sorpreso quando alcuni giornalisti italiani dichiararono di non conoscere Mario Bava, durante la presentazione del film avvenuta a Roma. Quentin Tarantino ha dichiarato che dietro ogni sua inquadratura c’è il genio di Mario Bava. Dichiarazioni contenute nel documentario trasmesso da Sky nel 2004, Mario Bava – Operazione Paura, diretto da Gabriele Acerbo e Roberto Pisoni, insieme ad interviste e dichiarazioni di Dario Argento, Daria Nicolodi, Dino De Laurentiis, Ennio Morricone, Roger Corman, Mario Monicelli, Sergio Stivaletti, Lamberto Bava, Roman Coppola, John Philip Law, Elke Sommer e Alfred Leone.
1962 – La ragazza che sapeva troppo (The Girl Who Knew Too Much)
Il film oggi è considerato in tutto il mondo un cult movie. Morando Morandini nel suo Dizionario dei film loda questo
“esercizio di regia anche perché la paura e il fantastico non nascono dal buio, dall’ombra, ma dalla luce in un suggestivo bianconero”.
1963 – I tre volti della paura (Black Sabbath)
“Giravo sempre in fretta. Dodici giorni al massimo per fare un film. Con tutte le battute già in testa. Avevo già chiaro il montaggio, e on sciupavo niente, neanche un metro di pellicola. Ho girato film con 8.000 metri di pellicola a disposizione. Gli americani, Walsh per esempio, si “coprivano”, come dicono loro. L’unica preoccupazione loro non era inventare, ma “coprirsi”, cioè essere sicuri di averci messo tutto. Giravano la stessa scena venti volte, per paura di sbagliare. Una volta ho detto a Walsh, sul set di “Ester e il re”, “Perché non dite tutte le battute del copione inquadrando un braciere, così siete sicuri di non dimenticarvi niente?” Capì l’antifona, e ci rise su”. Mario Bava “L’Espresso”, 1979
1963 – La frusta e il corpo (The Whip and the Body), con lo pseudonimo John M. Old
Bava fu sempre molto critico nel dare giudizi ai propri film, ma alcuni li detestava in modo particolare, come la commedia Le spie vengono dal semifreddo, il thriller Quante volte… quella notte e soprattutto Cinque bambole per la luna d’agosto.
1964 – Sei donne per l’assassino (Six Women for the Murderer)
«Sono venuti quelli dei Cahiers du cinéma, e mia figlia mi diceva che volevano sapere il tessuto connettivo tra quella targa che oscilla all’inizio del film Sei donne per l’assassino, dove c’è un temporale, e il telefono che casca quando la Bartok muore. Io non mi ricordavo neanche come finiva il film… » Mario Bava
Nel film, quando viene bruciato il viso di Mary Arden su una piastra rovente, Bava decise di inserire nella colonna sonora il rumore di una bistecca che sfrigola in padella.
1965 – Terrore nello spazio (Planet of the Vampires)
«Costretto a lavorare con un budget ridotto, Mario Bava sfrutta con intelligenza i risvolti orrorifici del soggetto per trasmettere visivamente il senso del mistero e della minaccia. Con pochi trucchi artigianali il regista crea un mondo silenzioso, soffuso di ombre e di nebbie avvolgenti, pronto ad esplodere ad un bagliore improvviso o ad un grido di terrore […]
Caso più unico che raro per la fantascienza all’italiana, su Terrore nello spazio è stato scritto molto e in termini elogiativi, spesso con l’occhio rivolto al posteriore Alien e che ne riprende, con tutta evidenza, alcune situazioni chiave e l’opprimente atmosfera.» Fantafilm
Con Terrore nello spazio, Bava padre inaugura la carriera cinematografica del figlio Lamberto Bava.
1966 – Operazione paura (Kill, Baby… Kill!)
Dopo due settimane di riprese del film, i produttori erano rimasti senza budget, così Mario Bava e il cast decisero di continuare a girare il film senza essere pagati.
David Lynch, nell’ultimo episodio della serie televisiva I segreti di Twin Peaks, rese omaggio a Bava filmando la sequenza in cui l’agente Dale Cooper viene inseguito dal suo doppio malvagio, evidente riferimento all’analoga scena presente in Operazione paura.
1971 – Reazione a catena (Ecologia del delitto, Bay of Blood)
Il film preferito da Mario Bava, porta sul grande schermo un pazzo criminale a volto coperto, un gruppo di giovani vittime potenziali, una serie efferata di violenze, con mutilazioni e uccisioni a raffica, ovvero gli ingredienti per quello slasher movie che vanta saghe come Venerdì 13 e Scream.
(Alberto Pezzotta, Mario Bava, Il Castoro Cinema, Milano, Marzo-Aprile 1995)
1972 – Lisa e il diavolo (Lisa and the Devil, rimontata anche come La casa dell’esorcismo)
Quando Lisa e il diavolo uscì al cinema per la prima volta, fu accolto molto freddamente e non ebbe un grande successo. Dopo il successo de L’esorcista di William Friedkin nel 1975 – contro il volere del regista Mario Bava, che non si fece accreditare) – il produttore Alfredo Leone, aggiunse alcune scene molto violente al film, stravolgendone totalmente il significato, e cambiandogli il titolo, per distribuirlo come La Casa Dell’esorcismo.
1974 – Cani arrabbiati (Semaforo Roso, Rabid Dogs, Kidnapped)
Per Alberto Pezzotta Cani arrabbiati è
«un vero viaggio all’inferno, dove la situazione classica del road movie diventa viaggio all’interno degli orrori dell’anima umana»