Matteo Garrone: i 45 anni del regista di Gomorra e Reality. Gli auguri di Cineblog in 5 film
Nato il 15 ottobre 1968, ex promessa del tennis, Matteo Garrone ha iniziato poco più che ventenne con un corto vincitore del Festival Sacher organizzato da Nanni Moretti. La svolta nel 2002 con il film L’imbalsamatore.
Strana storia, quella di Matteo Garrone, fatta di coincidenze: nato a Roma da un padre critico teatrale e da una madre fotografa, da adolescente è una promessa del tennis, ma dopo un infortunio dovette abbandonare l’agonismo e “ripiegare” su altre passioni extrascolastiche. Dopo il diploma al Liceo Artistico inizia a bazzicare l’ambiente del cinema, partendo dalla gavetta: nel ’96 gira il suo primo corto, Silhouette, vincitore al Festival Sacher di Nanni Moretti e che poi verrà inserito nel suo primo lungometraggio, Terra di mezzo.
Storie di emarginati, di vite periferiche, sia in senso urbanistico che emotivo: immigrati, prostitute, senzatetto. Garrone indaga con occhio clinico e taglio chirurgico sul mondo invisibile della sua città natale: un fil rouge che l’accompagna per tutta la sua produzione artistica, a cominciare anche dal secondo lungometraggio, Ospiti (1998), storia di due ragazzi albanesi immigrati in Italia e di cui viene messa in scena l’incertezza esistenziale e il dramma di un’esistenza non integrata, ai margini.
Nel 2000 gira Estate Romana, che rispetto ai precedenti parla di nostri connazionali in una capitale-cantiere all’alba del giubileo. Il taglio è sempre documentaristico ma emerge un piacevole senso della commedia e del grottesco che avrebbe caratterizzato anche altre opere successive del regista. Un film fatto di attimi, gesti, modi di dire, che ci proietta nella calura romana tra patite di calcetto e pranzi della domenica.
Nel 2002 la svolta con L’imbalsamatore, prima produzione mainstream per Garrone e primo contatto con llaltra città simbolo del regista, Napoli. Presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al 55º Festival di Cannes, L’imbalsamatore è un film dalla trama surreale, che vede protagonisti un tassidermista omosessuale e affetto da nanismo che incontra un giovane aiutocuoco bisognoso di lavorare. Ancora emarginati, ancora realismo, noir, nonostante il surreale.
Nel 2004 è al volta di Primo amore, film dai temi attualissimi come l’ossessione per il corpo e l’anoressia, che il regista come sempre prende di petto, senza giudicare, solo, apparentemente, esibendo dei fatti, delle prove.
Nel 2008 la fama mondiale con Gomorra, tratto dal celebre romanzo di Roberto Saviano e vincitore del Grand Prix al Festival di Cannes: un pugno nello stomaco, un documentario sullo sfacelo di una regione, cuore pulsante della malavita internazionale, un film splendido e disgustoso allo stesso tempo. Una rara pausa di riflessione.
Quattro anni dopo Gomorra il regista torna per raccontare un piccolo flagello dei nostri tempi: Reality ci porta dentro la follia del popolo panem et circensem, con la grazie del teatro di Eduardo de Filippo. Commovente, grottesco, crudele, un precipizio verso l’abisso, abilmente interpretato da Aniello Arena.