Mia madre: recensione in anteprima del film di Nanni Moretti
Era da Caro diario che non si vedeva un Nanni Moretti così lucido ed ispirato. Mia madre è forse il suo film più intimo, senza mia sfociare nell’intimismo; in cui si ride e ci si commuove al tempo stesso. Ragionando sulla vita e forse pure sul cinema
Margherita (Buy) sta girando un film sull’ennesima rivolta operaia in fabbrica, ambientato ai giorni nostri; fuori tempo massimo, con gli operai che occupano i locali e minacciano di non cedere finché il “padrone” non riconsidera l’idea dei tagli al personale. Insomma, un film che Nanni Moretti non girerebbe mai. Ma le riprese del film non sono l’unico problema di Margherita: sua madre è infatti ricoverata in ospedale e, sebbene sia servita e riverita, oltre che dal personale anche dal fratello (Moretti), il pensiero di lei costretta su un lettino non la lascia in pace.
Una tensione che si manifesta nei modi più svariati, a casa così come sul lavoro. Mia madre è un film che nulla tace, se non totale certamente completo. C’è tanto cinema certo, proprio tanto; ma c’è anche la vita, quella che sta stretta dentro a una commedia così come a un film drammatico. Ed infatti ci pare il film più lucido ed equilibrato di Moretti per lo meno da Caro diario, sulla cui scia, volendo in qualche modo descrivere l’atmosfera ed il tenore di quest’ultimo lavoro, si pone pure Mia madre, tolta l’esuberanza. Ci si sofferma sulla morte più che sul lutto, il che rappresenta una differenza sostanziale rispetto a La stanza del figlio, al quale per certi versi ci si è riferiti nei mesi scorsi per trovare un vago appiglio.
Ma come abbiamo lasciato intendere poco sopra, non è comunque facile trovare un un riferimento, posto che: 1) chissenefrega, 2) Mia madre è un film che non ha bisogno di rivendicare una paternità che non è chiara solo a chi non vuole o non è in grado di riconoscerla. Un film di Moretti in tutto e per tutto insomma, dove il regista romano reitera il suo modo di raccontare attraverso situazioni ed episodi presi dalla vita di tutti i giorni, filtrati attraverso la lente a tratti ironica a tratti riflessiva degli ultimi lavori.
Ma davvero, forse in nessuno dei suoi precedenti film si riscontra una girandola così ampia di momenti e sensazioni diametralmente opposti; si ride e si sorride, ci si commuove e si piange. Facendo ricorso a una poetica asciutta, sobria, ma soprattutto di una lucidità disarmante, Moretti ci consegna il suo film più intimo ma mai intimistico, più toccante ma mai ricattatorio. Come abbiamo già scritto, in Mia madre c’è la vita, quella che non tollera ritocchi, siano essi per abbellirla o per renderla più pesante di quanto in realtà non sia. In più è una lezione di (e sul) cinema a tutti gli effetti, che lavorando per sottrazione si attiene all’essenziale, ovvero ciò che serve per andare al cuore di una storia e saperla veicolare.
Quasi nulla è fuori posto, anche a voler fare le pulci. La Buy mette in cassaforte una della prove migliori della sua carriera, facendo il verso ad un Moretti i cui riflessi sono evidenti ma che non per forza viene rispecchiato alla lettera. Moretti stesso, in versione regista, ha una mano così ferma e sicura che riesce a non concedere sbavature: quando la situazione vira al grottesco non si rischia in nessun caso la farsa, così come in nessun caso avviene che lo spettatore venga torturato in quei frangenti drammatici, piuttosto da lacrime sincere. La vita di una donna considerata nel suo insieme: la Margherita di Mia madre non è solo figlia, ma è anche regista, compagna, sorella e madre a sua volta. E tutte queste cose le è allo stesso grado.
Il film procede non solo mediante l’azione vera e propria che va consumandosi, bensì anche attraverso ricordi, sogni (o meglio dire incubi) ed estemporanee rappresentazioni per lo più immaginarie, che mescolano realtà e finzione così per come la protagonista le ricostruisce basandosi sul proprio stato d’animo. Eccola dunque risalire a ritroso un’interminabile fila davanti a un vecchio cinema di Roma; la Margherita adulta incontra la Margherita ragazza, in un passaggio meraviglioso, non solo onirico ma anche brillante («quella sono io»).
Senza mai appesantire lo scorrere della vicenda, la protagonista entra ed esce da queste dimensioni, mentre emergono le sue ansie, i suoi rimpianti, ciò che le dà un senso. Senza rinunciare all’ironia, che anche stavolta Moretti rivolge a sé stesso, come quando la Buy sbotta coi suoi collaboratori perché hanno fatto malissimo ad assecondarla: «i registi non vanno ascoltati!», dice, mentre il fratello, più avanti, scrive un promemoria per l’attore: «la regista ha sempre ragione».
Momenti esilaranti, come quello in cui ci viene presentato il personaggio di Turturro, il quale, lungo il tragitto che lo conduce dall’aeroporto all’albergo, sogna di essere stato rapito da Kevin Spacey. Riprendano perciò fiato i morettiani della prima ora, perché se è vero che Apicella è andato via per sempre, colui che l’ha plasmato ne rievoca lo spirito, tenendo giustamente conto del tempo e degli anni che passano.
Ma anche momenti di una tenerezza unica, come quando la madre non riesce a parlare per via di un tubo applicato alla gola o quando viene letteralmente sgridata dalla figlia perché non riesce a stare all’impiedi. Basta un’immagine, un gesto. Alternando il tutto con passaggi più leggeri, finanche divertenti, perché l’abbiamo già scritto: la vita è tutte queste cose insieme. Cose che, ci conferma Moretti, il cinema può ancora trattare come e meglio di altri mezzi. E forse deve.
Voto di Antonio: 9
Voto di Federico: 8.5
Voto di Gabriele: 8.5
Mia madre (Italia, 2015) di Nanni Moretti. Con Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini, Stefano Abbati, Enrico Ianniello, Anna Bellato, Tony Laudadio, Lorenzo Gioielli, Pietro Ragusa, Tatiana Lepore, Monica Samassa, Vanessa Scalera, Davide Iacopini, Rossana Mortara, Antonio Zavatteri, Camilla Semino, Domenico Diele, Renato Scarpa. Nelle nostre sale da giovedì 16 aprile.