Mister Chocolat: 4 clip in italiano e un video backstage del film con Omar Sy
Mister Chocolat: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sul dramma biografico con Omar Sy nei cinema italiani dal 7 aprile 2016.
Aggiornamento di Pietro Ferraro
Debutta oggi 7 aprile nei cinema italiani il film Mister Chocolat. Dopo lo straordinario successo di Quasi Amici, Omar Sy torna al cinema con l’incredibile interpretazione del primo artista nero della storia francese. Due milioni di spettatori in Francia, per un film che ha conquistato pubblico e critica.
Videa ha reso disponibili nuovi contenuti per il film che includono 4 clip in italiano con scene tratte dal film e un video backstage che trovate in apertura di articolo.
Omar Sy racconta di come ha scoperto la storia di Chocolat:
Non la conoscevo, l’ho scoperta nel 2011. Stavo girando Due agenti molto speciali (di David Charhon) per la Mandarin Cinéma, quando una sera Nicolas Altmayer, uno dei produttori, entrò nel mio camerino e mi disse che aveva intenzione di produrre un film basato sulla vita di Chocolat. Non aveva ancora la sceneggiatura ma solo poche note che però hanno stuzzicato la mia curiosità. È così che ho scoperto che Chocolat è stato il primo artista nero agli inizi del secolo scorso in Francia ad avere successo formando un duo con George Footit e ispirando l’idea del clown bianco e l’augusto. Conoscevo l’espressione francese être chocolat (rimanere con un palmo di naso), senza sapere che ha avuto origine con il suo clown. Dopo aver letto il libro di Gérard Noiriel (Chocolat clown nègre), il mio interesse è accresciuto e sei mesi più tardi, ho letto una prima bozza della sceneggiatura di Cyril Gély. La storia di Chocolat mi ha toccato, il suo essere nato schiavo, riuscire a fuggire e diventare un artista famoso, è incredibile. Posso solo immaginare la quantità di lavoro e di coraggio necessaria per arrivare così lontano. Ho trovato altrettanto interessante la storia della sua caduta. Chocolat faceva ridere la gente sfruttando gli stereotipi sui neri. Ma man mano che la società si è evoluta e la considerazione dei neri si è fatta più elevata e rispettosa, le persone non hanno più trovato nulla di comico in quegli stereotipi e sebbene questa sia stata una cosa positiva per le vittime di razzismo, non lo è stata per Chocolat che è caduto nell’oblio. Chocolat era un artista e desideravo che la sua storia, il suo lavoro e il suo talento venissero riconosciuti. Sono pochi i film d’epoca con ruoli per attori neri.
Clip – Io non ho padroni:
Clip – Mai un nero è stato così celebre:
Clip – Fate di me un’attrazione, un animale da fiera:
Clip – Controllo d’identità:
Mister Chocolat: trailer italiano e spot esclusivo
Dalla Belle Epoque francese al cinema, con la grande amicizia tra il clown nero Chocolat di Omar Sy e quello bianco di James Thierrée
Dopo il trailer italiano, ecco arrivare per i lettori di Cineblog, uno spot in italiano in esclusiva di Mister Chocolat, film drammatico diretto da Roschdy Zem e interpretato da Omar Sy, James Thierree, Clotilde Hesme, Olivier Gourmet, Frédéric Pierrot, Noémie Lvovsky, Alice de Lencquesaing, Olivier Rabourdin. Al cinema dal 7 Aprile 2016.
Dal circo al teatro, dall’anonimato alla fama, l’incredibile destino del clown Chocolat, il primo artista nero in Francia. Il duo, senza precedenti, formato insieme a Footit, divenne molto popolare nella Parigi della Belle Époque, fino a quando questioni legate al denaro, al gioco d’azzardo e alla discriminazione razziale compromisero l’amicizia e la carriera di Chocolat. La straordinaria storia vera di un artista eccezionale.
Mister Chocolat: trailer italiano con il clown nero di Omar Sy
Dal trionfo di Quasi amici e l’interpretazione da Premio César di Omar Sy, sono passati cinque anni e un numero impressionate di repliche televisive (che mia madre rivede puntualmente), insieme a blockbuster hollywoodiani con gli X-Men di Bryan Singer, l’ultimo capitolo della saga Jurassic World creata da Steven Spielberg e l’Inferno di Ron Howard, ma è molto probabile che sia stata la sua verve comica e il sorriso contagioso a candidarlo come il Mister Chocolat di Roschdy Zem.
Del resto chi meglio di Omar Sy poteva ridare lustro ad una star nera della Belle Epoque francese e la storia di una struggente amicizia capace di spingersi oltre pregiudizi e discriminazioni?
Sarà lui a vestire i panni da clown nero di Rafael Padilla, con il nome d’arte di Chocolat e l’incredibile destino che lo parta dal circo al teatro, dall’anonimato alla fama, in coppia con il clown bianco e grande amico Footit, fino a quando tutto viene compromesso dal il successo travolgente, i soldi facili, il gioco d’azzardo e la discriminazione razziale.
Il film liberamente tratto da “Chocolat Clown negre” di Gerard Noiriel, con adattamento del regista Roschdy Zem con Olivier Gorce e la sceneggiatura di Cyril Gely, è una coproduzione Mandarin Cinema, Gaumont, Korokoro e M6 FILMS, con la partecipazione di CANAL+ CINE+ M6. Un film campione di incassi in Francia, che arriverà nelle nostre sale distribuito da Videa, dal prossimo 7 aprile.
Intervista a Roschdy Zem
Conosceva già la storia di Footit e Chocolat?
No, l’ho scoperta leggendo la sceneggiatura. Quando Nicolas ed Eric Altmayer mi hanno proposto questo progetto, la sceneggiatura era già a buon punto con tutti i personaggi definiti e un soggetto sviluppato in modo interessante. E’ raro trovare un’idea originale in Francia, come forse altrove. Il merito va a Eric e Nicolas.
A cosa è dovuto il Suo entusiasmo per il progetto che Omar stesso descrive come contagioso?
È stata la convergenza di diversi fattori: da un lato, la prospettiva di girare un film ambientato nella Parigi di inizio secolo in tutta la sua grandiosità; dall’altro il fatto di essere una storia incentrata sull’amicizia tra due uomini e il personaggio di Chocolat, un epicureo che vive la vita al massimo senza dimenticare il suo passato di schiavo. Egli sfrutta le opportunità che gli si presentano e diventa una grande star. La positività del personaggio ci ha permesso di affrontare l’aspetto del colonialismo francese senza calcare troppo la mano sull’argomento con eccessivo pathos e questo è stato un fattore essenziale per me.
Come ha lavorato sull’adattamento della sceneggiatura con Cyril Gély?
Per sentirla veramente mia, dovevo poterci lavorare con un altro sceneggiatore. In questo caso con Olivier Gorce, con il quale ho co-scritto OMAR KILLED ME. Entrambi ci siamo focalizzati sulla relazione tra Footit e Chocolat non solo quando si esibiscono, ma soprattutto quando sono fuori dalla pista del circo.
Questo è il Suo primo film in costume. Come si è preparato per le riprese?
I nostri capi dipartimento – primo assistente alla regia, direttore della fotografia, scenografo, costumista – si sono tutti resi disponibili sei mesi prima dell’inizio delle riprese per poter affrontare il lavoro di ricerca necessario. Con un film in costume la vera difficoltà è la logistica. Abbiamo scelto di girare a Parigi anziché in uno studio a Praga o altrove. Quando si gira sul posto un film ambientato un secolo fa, pur curando tutti i dettagli della scenografia, c’è sempre una gru che spunta da qualche parte in lontananza. In quei casi si cerca di sfruttare al meglio le angolazioni di ripresa e si ragiona sugli effetti speciali da apportare in un secondo momento.
Come ha stabilito l’estetica del film? Ha fatto riferimento a qualche film?
A diversi; insieme al nostro costumista Pascaline Chavanne, lo scenografo Jérémie Duchier, il direttore della fotografia Thomas Letellier abbiamo guardato molti film. Ho tratto ispirazione da diverse sequenze de LA VIE EN ROSE (di Olivier Dahan) e BARRY LYNDON (di Stanley Kubrick) è stato un punto di riferimento per il trattamento delle immagini. L’estetica e lo stile sono fondamentali per questo genere di film. Per quanto riguarda la scelta dei colori e dei tessuti, ci siamo basati su documenti e dipinti storici; abbiamo poi verificato la loro resa sulla pellicola perché in digitale alcuni colori non rendono bene indipendentemente da quanto magnifici appaiono a occhio nudo. Abbiamo prestato la stessa attenzione al trucco dei clown e per questo motivo ho preferito che nessuno dei capi dipartimento lavorasse da solo. Abbiamo progettato le luci sulla base dei costumi, i costumi secondo i set, i costumi maschili su quelli femminili e quelli dei personaggi principali sulle comparse. Un colore sgargiante in background può rovinare l’armonia emotiva di un’intera scena.
Quando le hanno proposto il progetto, Omar ne faceva già parte. Quando ha pensato a James Thierrée per il ruolo di Footit?
Si potrebbe pensare che la scelta migliore fosse quella di optare per un altro attore noto al pubblico, ma per questo ruolo avevamo bisogno di un esperto e James non è solo un attore, lui stesso crea i propri spettacoli. L’entusiasmo è stato unanime: Omar Sy e James Thierrée, un’accoppiata perfetta e unica nel suo genere già per le loro qualità intrinseche. Sapevo che avrebbero dato vita a qualcosa di esplosivo e non sono rimasto deluso.
James Thierrée dice che Lei è riuscito a placare le sue ansie in merito alle scene circensi. Come le ha affrontate?
James si occupa di tutto nei suoi spettacoli: regia, scenografia, sceneggiatura e recitazione. Mi sembrava ovvio lasciarlo libero, chi poteva coreografare meglio di lui? Gli ho dato carta bianca, ho solo chiesto di aggiungere qualche tocco moderno. Ho incoraggiato Omar e James a sentirsi liberi da ogni restrizioni nei movimenti: “Se ti stai divertendo, anche noi ci divertiremo”. Il mio compito è stato quello di selezionare e scegliere le scene migliori durante il montaggio e devo dire che avevamo ottimo materiale, divertente e originale. Ma ho potuto utilizzare solo due o tre minuti su dieci di girato per ogni scena. Il cinema non è una semplice registrazione video. Avrei voluto usare tutto, ma proprio non è stato possibile.
Qual è stato il tuo approccio con Omar e James quando recitano insieme?
Ho subito capito che avevano un rapporto reale, vero. James è più esperto del mondo circense. È molto esigente con se stesso, a volte persino autoritario. Quando durante le prove vedevo un sorriso sui volti dei tecnici, sapevo che avevamo qualcosa di buono. Omar si è preparato molto per interpretare il suo personaggio. Poi si è lasciato andare, la sua postura e la sua voce sono cambiati, è stato il risultato di tutto il lavoro di preparazione precedente. Quanto a James, potevo sentire la sua “follia”, il suo essere sempre in perpetua ricerca. Il mio unico timore era che la magia svanisse, ma non è mai accaduto.
Come avete scelto il resto del cast?
Tutti gli attori che abbiamo contattato hanno accettato. Per alcuni miei film precedenti, mi è capitato di ricevere dei rifiuti e c’erano attori che non osavo contattare avendo da offrire solo piccoli ruoli o 5 – 6 giorni di lavoro. Per questo film, attori abituati a ricoprire ruoli principali hanno accettato subito come Bruno e Denis Podalydès che interpretano i fratelli Lumière anche se la loro parte richiedeva un solo giorno di riprese. Lo stesso entusiasmo lo hanno dimostrato Olivier Gourmet, Noémie Lvovsky, Clotilde Hesme, Frédéric Pierrot. Desideravano tutti lavorare con Omar. Come regola generale, credo più negli incontri personali che non nei provini.
James e Omar hanno parlato del coinvolgimento con i ruoli comprimari.
Spesso si dice che il regista è il barometro in un film, ma vale lo stesso per gli attori. L’energia di Omar e James illuminava veramente il set. Ogni giorno, per dodici giorni, la loro straordinaria vitalità ha ispirato la troupe e mi ha aiutato molto. Ed anche gli attori con ruoli non protagonisti hanno percepito il vantaggio di uno scambio così stimolante.
Il fatto che Lei sia un attore influenza il Suo modo di dirigere?
Ovviamente! Mi rapporto agli altri come vorrei che fosse fatto con me, in modo paziente e gentile. Io non credo nelle relazioni conflittuali. Inoltre, preferisco non usare il termine ‘dirigere’. Gli attori sanno come recitare ed è più una questione di indurli a variare le loro emozioni in modo da permettermi maggiore scelta durante il montaggio. Ciò che conta per me è ottenere il giusto tono, il mio obiettivo è quello di aiutare l’attore a trovare la chiave giusta. A volte questo avviene subito, a volte no. Bisogna essere in due per ballare il tango.
Come ha gestito l’apprensione di Omar in merito alle scene dell’Otello?
Omar pensava di camminare su un terreno sacro. Avevamo tutti in mente la versione di Orson Welles. Ma gli ho detto: “Dimenticati tutto questo! Interpretare Otello significa seguire il proprio istinto e tu sai come fare”.
Quali sono state le scene più complicate da girare?
Non le scene di violenza. Quella in cui Omar viene torturato in carcere è una scena forte e potente perché la situazione stessa lo è. Ma volevo ottenere lo stesso tipo di intensità in scene che erano teoricamente banali. Come quella in cui i passanti si girano a guardarlo mentre lui cammina. La peggiore violenza è quella che Chocolat subisce quotidianamente. Poi ci sono le scene per le quali non avevamo il set, come ad esempio quando Chocolat visita l’Esposizione Universale. Filmare in un set che sarebbe poi stato creato in post-produzione era un’esperienza nuova per me e un po’ disorientante. In altri casi, per le scene del circo, James aveva bisogno di molta libertà di movimento sulla pista. Ci siamo dovuti adeguare soprattutto perché non hanno mai recitato due volte la stessa scena nello stesso modo. Il che è anche ciò che li rende così sorprendenti.
Cosa ha imparato da questo film?
Ad osare! I limiti finanziari, il tempo a disposizione, cerco di non avere rimpianti. Al mio primo film non ero molto audace. Ho iniziato con il secondo e continuato con il terzo, osare è diventato un mio leitmotiv. Ogni mattina mi sono chiesto: “Come posso migliorare la scena di oggi? Quale valore aggiunto? Come posso superare la sceneggiatura?” Ma ho anche imparato molto come attore, su come affrontare un ruolo. Come Frédéric Pierrot che, come gli altri ruoli non protagonisti, è stato sempre coinvolto pur non essendo al centro del film. Per non parlare di James e Omar che sono stati sempre concentrati sui loro personaggi anche a telecamera spenta, manifestando il loro costante desiderio di superare se stessi.
Quali ricordi conserverà di questa esperienza?
Il ricordo di una lunga e meravigliosa avventura, la più bella esperienza professionale fino ad oggi. Non sarò mai in grado di ringraziare abbastanza Nicolas ed Eric Altmayer. È stato un periodo affascinante, fatto di incontri straordinari che mi hanno fatto scoprire il mondo del circo e i sacrifici che richiede. Non potrò mai più assistere ad uno spettacolo circense allo stesso modo. Ricorderò sempre l’ultimo giorno delle riprese perché quando si lavora ad un film, si vive come in una bolla sia per il tempo che si trascorre sul progetto che per l’atmosfera che si crea. Questa volta la bolla è durata molto e uscirne è stato difficile. L’euforia era finita, mi sono improvvisamente ritrovato solo al montaggio con un senso di tristezza ma al contempo felice di ciò che avevo ottenuto perché di solito solamente il 10% dei progetti arriva davvero a compimento.
Cosa vuole comunicare al pubblico con questo film?
La storia di due persone che si incontrano, formano una coppia e creano qualcosa insieme e poi si separano. L’emancipazione di un uomo – Chocolat – che scopre la vita, diventa una persona più riflessiva e meno servile e remissiva. La storia di una Francia dove Chocolat viene dimenticato senza alcuna colpa. E non è l’unico. Parlare di lui ci aiuta a conoscere meglio il nostro passato ed ho sempre pensato che fosse essenziale per vivere meglio il presente.
Cosa l’ha commossa del destino di Chocolat?
L’analogia tra il percorso di Chocolat, quello di Omar e il mio”. Omar è un grande attore e molto generoso e si merita il successo che sta avendo. Ma la nostra generazione è cresciuta senza mai vedere il figlio di un immigrato guadagnare come una star. Per quasi 20 anni, mi sono aspettato che qualcuno mi dicesse: “Ehi! Che stai facendo lì? Tu non appartieni a questo mondo” e sapevo che avrei risposto “mi scuso, mi hanno detto che potevo ma me ne vado subito.” Oggi quel senso di inappropriatezza è svanito. Ma scoprire che un secolo fa un artista di colore ha avuto tanto successo mi commuove e al contempo mi rattrista perché non ne è rimasto nulla! Forse questo film cambierà le cose. Fa riflettere sul proprio percorso. Cosa resterà di quello che abbiamo fatto?
Intervista a Omar Sy
Conosceva già la storia di Chocolat?
No, l’ho scoperta nel 2011. Stavo girando DUE AGENTI MOLTO SPECIALI (di David Charhon) per la Mandarin Cinéma, quando una sera Nicolas Altmayer, uno dei produttori, entrò nel mio camerino e mi disse che aveva intenzione di produrre un film basato sulla vita di Chocolat. Non aveva ancora la sceneggiatura ma solo poche note che però hanno stuzzicato la mia curiosità. È così che ho scoperto che Chocolat è stato il primo artista nero agli inizi del secolo scorso in Francia ad avere successo formando un duo con George Footit e ispirando l’idea del clown bianco e l’augusto. Conoscevo l’espressione francese être chocolat (rimanere con un palmo di naso), senza sapere che ha avuto origine con il suo clown. Dopo aver letto il libro di Gérard Noiriel (Chocolat clown nègre), il mio interesse è accresciuto e sei mesi più tardi, ho letto una prima bozza della sceneggiatura di Cyril Gély.
Cosa L’ha affascinata di questo progetto?
La storia di Chocolat mi ha toccato, il suo essere nato schiavo, riuscire a fuggire e diventare un artista famoso, è incredibile. Posso solo immaginare la quantità di lavoro e di coraggio necessaria per arrivare così lontano. Ho trovato altrettanto interessante la storia della sua caduta. Chocolat faceva ridere la gente sfruttando gli stereotipi sui neri. Ma man mano che la società si è evoluta e la considerazione dei neri si è fatta più elevata e rispettosa, le persone non hanno più trovato nulla di comico in quegli stereotipi e sebbene questa sia stata una cosa positiva per le vittime di razzismo, non lo è stata per Chocolat che è caduto nell’oblio. Chocolat era un artista e desideravo che la sua storia, il suo lavoro e il suo talento venissero riconosciuti. Sono pochi i film d’epoca con ruoli per attori neri.
Perché è interessante recitare in un film in costume?
Ho sperimentato il futuro in X-MEN GIORNI DI UN FUTURO PASSATO (di Bryan Singer), ma immergersi nel passato, in un’epoca che è realmente esistita, è un po’ come viaggiare nel tempo. È stato divertente e non mi ricapiterà presto. Quando ho saputo che avrei dovuto dedicare almeno un giorno a provare i costumi mi sono innervosito ma mi sono anche reso conto che era necessario per farmi avvicinare al personaggio. Ogni prova è stata come un nuovo incontro con Chocolat, anche prima di iniziare le riprese. La mia postura cambiava in base ai costumi che provavo. La costumista Pascaline Chavanne e il suo team hanno fatto un lavoro meticoloso e sublime. Nelle prime settimane, abbiamo girato i giorni di gloria di Chocolat durante i quali era sempre ben vestito. Una sera, indossando un mio completo, mi sono reso conto che mancava qualcosa: il gilet e tutti quei dettagli tipici dello charme e del fascino di inizio secolo. E anche se il mio completo era ben confezionato mi sentivo come se stessi indossando una tuta da ginnastica.
Dietro la maschera da clown di Chocolat, c’è l’uomo Rafaël Padilla. Come lo immagina?
Come un bambino cresciuto che ha bisogno di divertirsi. Deve essere stato un fardello pesante da portare l’essere nato figlio di uno schiavo ed esserlo stato anche lui. Anche se non sei più uno schiavo, non ti senti mai libero veramente. Mi sono chiesto cosa significasse vivere questa condizione di non completa libertà. Eppure Chocolat ci riuscì ed è segno di grande forza, ha trovato la libertà nella recitazione, nella risata e nel divertimento. I momenti di gloria devono essere stati i più duri. Mi immagino una vita a forma di montagne russe: momenti straordinari seguiti da periodi di solitudine. Francamente credo che se è finito per strada, potrebbe essere stato anche perché inconsciamente era quello che voleva.
Ci sono somiglianze tra di voi?
Non ho mai cercato punti di somiglianza con i miei personaggi, ho già difficoltà a definire me stesso essendo sempre in continua evoluzione. Penso sia complicato sapere chi si è veramente. D’altra parte, cerco sempre di comprendere i miei personaggi e in un certo senso mi sento vicino a Chocolat, anche se non viviamo nello stesso periodo storico. Rispetto a lui, non ho mai avuto reali difficoltà, ma posso capire l’impegno e lo sforzo di un artista. Posso solo immaginare il senso di colpa che deve aver provato per il suo successo, l’ho sperimentato anche io pur in misura diversa. Quando paragono la mia situazione con quella di altre persone come me, mi chiedo: “Me lo merito davvero? Perché io? Perché è così difficile per gli altri?” Per Chocolat però, la differenza tra la sua vita e quella di altri neri era enorme.
Chocolat ha dovuto dimostrare che non era solo un comico, ma un attore. Anche per Lei è stato così?
No, essere un attore in una commedia o in un film drammatico è la stessa cosa. Tuttavia sono sempre stato attratto dai ruoli drammatici sebbene non ci sia arrivato subito ma a poco a poco. Mi piace mettere alla prova i miei limiti e cercare di superarli. Ma questo non ha nulla a che fare con il dimostrare agli altri che sono un bravo attore, è piuttosto una sfida personale. Voglio vedere fino a dove posso spingermi.
Questa è la prima volta che Lei interpreta un ruolo che si sviluppa partendo dalla giovinezza fino alla vecchiaia in un film che tocca molti registri. È stata una sfida?
Sì, per un attore, questo personaggio è un vero dono, perché la vita di Chocolat è piena di alti e bassi. È stata l’occasione perfetta per recitare sia scene comiche che drammatiche, scene ambientate nel circo, scene d’amore, scene di combattimento; trasmettere l’euforia che deriva dal successo, e poi il suo declino con l’alcool e la droga. Ho dovuto esercitarmi per mantenere la coerenza temporale poiché non abbiamo girato in modo cronologico e non mi era mai capitato prima. Le scene del teatro classico sono state un’altra sfida per me. Era una di quelle che temevo di più perché non ho mai recitato a teatro o seguito alcun corso e non volevo apparire ridicolo. Chocolat deve dimostrare che lui può interpretare il ruolo di Otello ed io mi sono detto: “Se sbaglio è una vergogna per me, ma peggio ancora per Chocolat che non ha mai chiesto niente di tutto questo.” Ho interpretato il ruolo meglio che ho potuto per rendergli giustizia sentendo un’immensa pressione. Mi sono fatto forza cercando di “dissacrare” il teatro e Shakespeare stesso, imponendomi di recitare quella scena come ogni altra. Sento ancora la tensione perché non avevo alcuna esperienza a cui rifarmi, nessun elemento di supporto. È difficile per me valutare il mio lavoro.
Quanto tempo è stato necessario per prepararsi al ruolo?
Oltre a parlarne con con Roschdy Zem e Gérard Noiriel, ho fatto delle ricerche per assimilare il contesto sociale e politico del tempo. Il mondo del circo era un territorio inesplorato per me. Fortunatamente James Thierrée che interpreta Footit, conosceva bene quel mondo. Abbiamo provato per quattro settimane e mi sono esercitato con Fred Testot. In un certo senso siamo “discendenti dei clown” e James mi ha insegnato le particolarità dei movimenti del corpo e il loro ritmo. Ho dovuto imparare ad usare il mio corpo in modo diverso. James mi ha mostrato come si muove un clown ma quello era “il suo clown” ed io dovevo trovare il mio. Ci siamo esercitati molto ed è stato faticoso, ma mi piace prepararmi a fondo perché in questo modo supplisco alla mia mancanza di tecnica e posso recitare più liberamente. Ho sempre bisogno di un paio di giorni per mettere a punto il mio personaggio e discussione dopo discussione, scena dopo scena, riesco a trovare un equilibrio tra la mia visione e quella del regista.
James Thierrée viene da un mondo dello spettacolo diverso dal tuo. Come siete riusciti a trovare un terreno comune?
Non è stato facile. Ognuno di noi ha la sua personalità e il proprio universo. Avevamo bisogno di conoscerci meglio e trovare lo stesso tipo di complicità che esisteva tra i nostri personaggi. So come lavorare con un partner, ho lavorato in un duo ma James no. Abbiamo discusso e litigato, ci siamo confrontati. È stato intenso ma utile. Abbiamo cercato di trovare una complicità che non fosse vincolata solamente al lavoro e abbiamo portato questa esperienza sul set, diventando un vero e proprio duo. James è stato per me un incontro straordinario, a volte dimostra grande fiducia in se stesso e a volte sprofonda nel dubbio più assoluto e questo è un aspetto commovente. Ha una tale passione per la sua professione. A me piace sedermi e pensare in pace e tranquillità nella pausa tra due scene, cosa impossibile per lui perché è iperattivo e sempre alla ricerca di una nuova idea. È un po’ folle e mi diverte. Ma alla fine, se i nostri duetti sono così convincenti è grazie alla sua ispirazione e al suo lavoro. Ho imparato molto lavorando con lui.
Cosa Le ha insegnato?
Mi ha aiutato a crescere. Migliore è il tuo partner, migliore diventi tu. È come nel tennis, se ti lanciano dei buoni tiri, devi aumentare di livello per rispondere adeguatamente e rimandare la palla oltre la rete. James ama spingersi oltre i suoi limiti ed anche io ma non nello stesso modo. Devo a lui e al suo desiderio di esplorare l’aver scoperto cose che non avrei mai conosciuto. A lui piace provare e riprovare mentre io preferisco conservare un po’ di naturalezza e freschezza nel mio modo di recitare, ma imitandolo ho capito che le due cose non sono inconciliabili e che puoi perfezionare la tua performance esercitandoti più volte senza per questo rendere meccanico il tuo modo di recitare.
Come vede il rapporto tra Footit e Chocolat?
Simile a quello che ho con Fred. Ciascuno nella propria bolla. Un duo è un po’ come una storia d’amore ma a livello artistico. Solitamente è amore a prima vista, capisci che con quella persona potrai condividere le cose e migliorare reciprocamente. Ho provato questo con Fred ed anche con James ma in modo più condensato. Mi sono rifatto alla mia esperienza per immaginare il rapporto tra Footit e Chocolat; so che le relazioni possono essere favolose sul palco ma più complicate nella vita reale perché si tratta di due mondi separati. Footit e Chocolat occupavano posti diversi nella società pur crescendo insieme, ma per portare avanti un rapporto di amicizia è necessario essere in condizioni di parità. Footit considera Chocolat un suo pari sulla pista del circo ma non all’esterno.
È la prima volta che lavora con il regista Roschdy Zem …
In un primo momento, quando i produttori mi hanno fatto il suo nome, sono rimasto sorpreso. Anche se ammiro molto il suo lavoro, non avevo pensato a lui. Ma non appena Roschdy mi ha parlato del film, ho capito che era un’ottima idea. Abbiamo una base comune, siamo entrambi figli di immigrati, proveniamo entrambi dalla periferia. Ma Roschdy ha iniziato a farsi strada a metà degli anni ’80, quindi per lui è stato più complicato che per me. Quando ho iniziato io, lui ed altri avevano già spianato la strada. Ho capito che la sua esperienza avrebbe conferito un approccio interessante al film.
Com’è stato lavorare con lui?
Roschdy ha una qualità che facilita i rapporti: la franchezza. In questa professione, spesso si deve leggere tra le righe. La stessa chiarezza e facilità l’avevo avuta con Eric Toledano e Olivier Nakache. Il fatto che Roschdy sia un attore facilita le cose, sa come formulare una richiesta, perché conosce la tua condizione, sa come ti puoi sentire. Ho molta stima per il suo lavoro e non volevo deluderlo e questo è un altro aspetto che contribuisce ad alzare il livello della recitazione.
Questa è anche la prima volta che ha lavorato con attori che provengono dal cinema e dal teatro d’autore …
L’altro grande merito di Roschdy è stato quello di saper scegliere ogni attore in base al ruolo e non per ragioni di prestigio o di fama. Per il casting si merita un 10: Clotilde Hesme, Olivier Gourmet, Alex Descas, Olivier Rabourdin, Frédéric Pierrot, Noémie Lvovsky, sono tutti attori di alto livello. Io ancora mi considero un principiante, quindi è stato molto gratificante per me. Si sono immedesimati nei loro personaggi portando sul set la nostra stessa energia e passione. Quando mi capita di recitare solamente una piccola parte, non mi sento così coinvolto come hanno fatto loro. Forse è il loro normale modo di lavorare, ma mi piace pensare che lo hanno fatto per il film. La bellezza delle scene e dei costumi fa capire come nessuno ha preso il suo compito alla leggera. Condividevamo l’ambizione di fare un bel film su questi due clown e sulla carriera di Chocolat.
Parliamo di Marie. Che ruolo ha avuto nella vita di Chocolat?
Un ruolo importante. La vera Marie ha divorziato per stare con Chocolat, immaginare cosa abbia significato il divorzio a quei tempi, per non parlare dell’andare a vivere con un nero, fa capire che grande coraggio abbia richiesto da parte sua. L’amore che Marie ha per Chocolat mi commuove. Quando lui deve tornare a vivere in una roulotte, Marie lo segue.
Clotilde Hesme è stata in grado di incarnare quell’amore senza limiti. C’è una tale intensità nel suo sguardo che diventa facile interpretare l’uomo che se ne innamora. Si può pensare che Chocolat abbia fatto un disastro con la sua vita ma al contrario io penso che sia stato un successo. Voleva essere un uomo come gli altri e agli occhi di Marie lo era.
In che misura questo film rappresenta un punto di svolta nella Sua carriera?
E’ stata un’esperienza unica. Un incontro con un personaggio e con una professione, per non parlare dell’opportunità di conoscere persone meravigliose come James, Roschdy, Clotilde. Ho avuto la fortuna di vedere grandi attori lavorare con metodi diversi. Mi piace guardare gli attori al lavoro, prendere qualcosa da ognuno di loro. Sono un po’ un “ladro” in questo. Normalmente non sono invidioso degli attori che posseggono molta tecnica, il mio approccio è più istintivo. Ma quando ho visto Clotilde recitare ho capito che la sua tecnica non le impedisce di essere libera e questo mi ha fatto venir voglia di acquisire anche io un po’ di tecnica.
Tra le cose in comune che Lei ha con il suo personaggio c’è il fatto di essere sposato con una donna bianca, e che entrambi lavoriate con bambini malati. Non è un po’ strano?
Mia moglie è impegnata da dieci anni con un’associazione in favore dei bambini malati e io vado a fargli visita in ospedale per intrattenerli. Quindi sì, ho avuto la pelle d’oca quando ho scoperto che Marie e Chocolat hanno fatto la stessa cosa, e questo è un altro motivo per cui questa storia mi tocca così particolarmente. Io non sono nato schiavo, sono un uomo libero come qualsiasi altro, e questa è una condizione molto diversa da quella di Chocolat. Ma posso immaginare cosa sia successo nella sua mente e per cercare di capire lui, ho capito molte cose su di me.
Cosa Le piacerebbe che il pubblico conservasse dopo aver visto il film?
Sarei felice se venissero incuriositi a saperne di più su Chocolat perché essere un artista significa lasciare una traccia di sé e quelle di Chocolat sono state cancellate. Vorrei che riapparissero, che dimostrassero che non tutto di lui è andato perduto. E, sempre come artista, credo che Chocolat avrebbe voluto essere considerato alla pari di Footit, sul quale invece c’è molto materiale d’archivio. Spero che avvenga questo e che lui, ovunque si trovi, apprezzi il film e possa sentire tutto l’amore che vi abbiamo dedicato. Infine ho un desiderio più personale. Quando QUASI AMICI ha avuto un successo così clamoroso, ed io ho ricevuto un César, ho spesso sentito dire che sono stato il primo artista nero in Francia ad ottenere tale fama. Vorrei che le persone ricordassero da ora in poi che prima di me c’era stato Chocolat.
Intervista a James Thierrée
Aveva già sentito parlare di Footit e Chocolat?
No, sebbene sia cresciuto nel mondo del circo. I miei genitori hanno messo su spettacoli che oggi sono chiamati ‘The New Circus’. Da un ragazzino ho conosciuto molte famiglie circensi e i miei genitori possiedono alcune belle locandine dei clown Tutor, Dudule, o dei Fratellini Brothers. Ma fino a che Roschdy non mi ha raccontato la loro storia, non sapevo nulla di Footit e Chocolat.
Ha recitato in quindici film, senza mai interpretare il ruolo di un clown…
Era quasi un tabù, per i miei genitori e per me, tutto ciò che aveva a che fare con il circo tradizionale. Come il loro, il mio approccio artistico è guardare avanti. Il naso rosso è l’opposto di quello che faccio in teatro. Quando mi è stato offerto il ruolo, in un primo momento ho provato una sensazione di incompatibilità. Mi sono chiesto: “Che cosa intendono fare con i numeri da circo? Vogliono raccontare solo una storia umana o trattare la loro relazione artistica?” Mi sono subito confrontato con Roschdy sottolineando che i numeri circensi sono spesso disastrosi se trasportati nel cinema. Ciò che può essere fatto sotto il tendone non necessariamente funziona sul grande schermo. Roschdy mi ha detto che il nucleo centrale del film era il rapporto tra George (Footit) e Rafael (Chocolat). Non volevo che Omar ed io sembrassimo delle marionette perdendo ogni senso realistico. Le mie origini mi consigliavano di procedere con cautela. Tuttavia, il personaggio di George Footit mi attraeva molto e sarei stato un imbecille se avessi rifiutato.
Che cosa ha di così attraente il personaggio di Footit?
George è particolare: duro, ritirato, un fascio di emozioni e fragilità. Sulla pista del circo sembra essere in osmosi con Chocolat. Ma una volta che torna nel suo camerino, è tutto finito. Quando si rende conto che si sente così vicino al suo partner vorrebbe poter dire: “Sei il mio migliore amico” ma non può. Teme la povertà e a quei tempi o guadagnavi bene o eri finito, non c’era una via di mezzo. Footit affoga la sua angoscia nel lavoro, è ossessionato dal creare numeri con standard elevati. Questa è la bellezza del suo personaggio. Non è mia abitudine prendere le difese dei miei personaggi a qualsiasi costo e la mancanza di comprensione da parte di Footit per la condizione di Chocolat è imperdonabile. Ma è un essere umano e le cose non sempre sono romantiche. Quando Footit incontra Chocolat, gli dice: “Non sto cercando un negro, cerco un clown”, e questa è la sua visione artistica. Dove altri vedono solo un uomo nero, egli percepisce il potenziale comico di Chocolat. Ottengono il favore del pubblico e quando il duo si divide, George la sente come un’ingiustizia. E’ importante per me che ci si dispiaccia per la loro separazione.
Cosa ha in comune con il Suo personaggio?
Sono cresciuto in teatro. Il circo per George, come il teatro per me, è un tempio, una chiesa, un’arena. C’è qualcosa di esistenziale e sublime nel confronto tra un essere umano e un pubblico che assiste. E poi c’è la sua fiducia, George è convinto di poter continuare ad arrivare sempre più in alto. Anche per me il mio lavoro è vita, non mi basta andar bene, desidero rimanere all’interno di questo “tempio” ma so che è anche necessario sapersi confrontare con il mondo, avere degli amici e cercare delle risposte.
Come si è preparato per interpretare Footit sulla pista del circo e come nella vita reale?
C’è un contrasto incredibile tra i due aspetti, un po’ come Dottor Jekyll e Mr Hyde. Fuori dal tendone, George è asociale, sempre teso, un uomo cupo vestito con abiti scuri degni di un impiegato d’ufficio. È difficile immaginare che sia un clown. Sulla pista è un altro, è colorato, variopinto come un caleidoscopio. Per quanto riguarda il suo make-up, insieme a Nathalie Tissier abbiamo lavorato sull’evoluzione della maschera dietro la quale si cela George: gli angoli della bocca rivolti verso il basso come se man mano mordicchiassero la sua voglia di vivere. Un po’ come il ritratto di Dorian Gray. E per i suoi capelli, siamo rimasti fedeli alle immagini storiche con il ciuffo ribelle sulla fronte che lo fa assomigliare ad un punk. Mi sono anche molto confrontato con Pascaline Chavanne in merito ai costumi. Ho dovuto accettare di vestire i panni di un personaggio che sembrava un grosso e grasso bonbon con grande difficoltà a muovermi. Ho trascorso ore al trucco per non parlare dei cambi di costume e ogni volta che sentivo la fatica delle riprese mi dicevo: “quando ti ricapita di interpretare un ruolo così camaleontico?”
Come si è preparato per le scene riguardanti i numeri da circo?
Ci sono poche tracce dei loro duetti ma sono sufficienti per definire il colore, il livello di energia. Omar e io non siamo Chocolat e Footit e abbiamo dovuto trovare il nostro stile comico e incorporarlo nella visione di Roschdy. Ci siamo rinchiusi per quattro settimane. Omar è già un clown ed ha recitato come tale. Dovevamo lavorare sull’aspetto fisico e primario. Omar mi ha detto: “Per me, tutto dipende dalle parole.” Ho risposto: “Per me dal corpo”. Ognuno di noi ha fatto uno sforzo. Mi sono abituato a usare la mia voce e lui ha lavorato sul suo corpo. Un duo è complicato, ma a forza di provare le cose vanno a posto naturalmente. L’unica cosa che non abbiamo fatto è stato un giro di prova basandoci sulla reazione del pubblico. Nel cinema è impossibile! Ci siamo messi davanti alla macchina da presa sperando che la magia funzionasse, scegliendo poi le scene migliori nella fase di montaggio.
Come ha fatto a entrare in sintonia con Omar?
È stata una sfida! Dovevamo imparare a conoscerci e poi a comunicare per raggiungere una sorta di fusione. Ci urlavamo in faccia cose del tipo: “Chi diavolo ti credi di essere? Io non sono come te, va bene? Ora cosa facciamo?” e dopo esserci sfogati tornavamo al lavoro. E abbiamo finito per divertirci come bambini. Avremmo potuto mantenere le distanze. È bello essere un professionista ma credo che la cinepresa faccia capire se le cose sono vere o meno. Se nel film si avverte solo un briciolo della complicità che abbiamo provato, abbiamo vinto.
Cosa ti ha dato lavorare con Omar?
Nei momenti di incertezza Omar è stato un pilastro per me. Ha una sorta di energia, di intelligenza, di istinto ed è incredibilmente rilassato mentre io sono una persona che riflette continuamente ed è faticoso. Ho sempre potuto contare su di lui. È stato un film complicato, con un sacco di logistica, vincoli tecnici, segni sul pavimento da rispettare. Sono più abituato al palco dove mi sento molto più libero. Omar si districa con naturalezza all’interno di questi vincoli, è capace di concentrarsi con nonchalance. Mi ha insegnato i suoi trucchi e segreti.
Che rapporto ha con il cinema?
Mi sento un visitatore. Recito sul palco da quasi 20 anni e nei film solo occasionalmente. Il cinema ha molto da insegnarmi. Quando, come me, avete il vostro universo, la vostra compagnia, si fa tutto da soli, e si acquisisce il know-how che può costituire una trappola. Nel cinema, devo lavorare su ciò che ho dentro: la finezza, l’ironia i dettagli, la vita; si è costantemente sotto esame con se stessi.
Come è lasciarsi dirigere da qualcuno quando tu stesso sei un regista?
Sono profondamente consapevole dell’importanza per un attore di mantenere la mente aperta. Non potrei mai intraprendere un progetto come questo e prendere la strada sbagliata. Sarei di ostacolo quando devo essere uno strumento. Questa è una delle professioni più belle. Desidero essere un attore che sa corrispondere alla visione di qualcun altro.
Che tipo di regista è Roschdy Zem?
In un primo momento mi ha spiazzato. Ha una sorta di fiducia negli attori che io ho scambiato per insoddisfazione o malcontento. Poi ho capito che Roschdy dà carta bianca ai suoi attori: “Ti affido questa missione, portala avanti al meglio. Io mi preoccupo di riprenderla nel modo migliore.” Ti viene data un’immensa responsabilità ed a volte è emozionante, a volte snervante. Alla fine mi sono affidato alla mia recitazione. D’altra parte, questo non è il tipo di film in cui il regista segue i suoi attori con la cinepresa in spalla, in attesa di vedere cosa succederà dopo. Non c’è spazio per l’improvvisazione. È un film grande con un esercito di persone e tutto è sottoposto a rigida disciplina. È necessario trovare la propria libertà tra due segni sul pavimento e dargli vita. È una sfida sanguinosa!
Ci parli degli altri attori.
È bello lavorare con grandi attori, si migliora. Oltre a me ed Omar ci sono due famiglie circensi, la prima di provincia, con Frédéric Pierrot nel ruolo del Maestro di Cerimonie Delveaux, Noémie Lvovsky nel ruolo di sua moglie, il nano Marval, il gigante. Per tre settimane abbiamo girato con entusiasmo nonostante il freddo e l’umidità che rispecchiavano bene il mondo della storia permettendoci di immedesimarci al meglio. E poi il nuovo circo di Parigi diretto da Olivier Gourmet. Sono tutti attori esperti.
Cosa ricorderà di questa esperienza?
Il ricordo di un lungo cammino! Le mie preoccupazioni iniziali sono scomparse. Non volevo che le scene di circo fossero trattate come semplici informazioni estetiche, e desideravo che la gente capisse l’evoluzione del rapporto tra Footit e Chocolat. So che Omar ha provato le stesse cose. Nonostante la stanchezza dei tre mesi di riprese, avrei voluto che l’esperienza con lui si prolungasse. Insieme abbiamo realizzato una storia avvincente, ed è stata una grande avventura.
Cosa spera che il pubblico comprenda del rapporto tra Footit e Chocolat?
Seguiamo la loro caduta inesorabile, ma c’è una sorta di redenzione, perché è evidente che sono stati legati da un profondo affetto e che i loro cuori non cessarono mai di battere all’unisono, anche quando le cose si fecero difficili. Ciò che li univa era più forte di ciò che li spinse a separarsi.
Intervista a Eric & Nicolas Altmayer
Come ha scoperto l’esistenza di Chocolat?
NICOLAS ALTMAYER: Assolutamente per caso! Era il 2009 e stavo sfogliando le pagine culturali della rivista francese Express quando un articolo ha attirato la mia attenzione. Si parlava di uno spettacolo diretto da Marcel Bozonnet, basato su un testo di Gérard Noiriel, una conferenza-spettacolo sulla vita del clown Chocolat. Ho così scoperto che il primo artista nero della scena francese era un clown e che era stato una grande star degli inizi del secolo scorso. Come molti, pensavo fosse Joséphine Baker. Ho fatto subito qualche ricerca e guardato il film dei fratelli Lumière citato nell’articolo: un film sul duo Chocolat e Footit. L’idea di un film ha cominciato a germogliare nella mia mente.
Cosa Le ha fatto pensare che la vita di Chocolat potesse essere un buon soggetto per un film?
ERIC ALTMAYER: Il suo destino incredibile: nato schiavo a Cuba, è diventato una grande star a Parigi per quasi 15 anni, per poi morire in povertà e dimenticato da tutti. L’unica cosa che è rimasta è l’antica espressione francese être chocolat che significa rimanere con un palmo di naso. Uno straordinario ma dimenticato destino, era un argomento avvincente. Ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di straordinario in questa storia. Ma, visto che un film in costume è costoso, mi sembrava complicato da finanziare. Avevamo bisogno del sostegno della notorietà di un attore per ottenere un finanziamento, e nel 2009 nessun attore nero era sufficientemente famoso. Così abbiamo deciso di accantonare l’idea.
Alla fine il progetto ha preso corpo proprio quando la carriera di Omar Sy stava decollando …
NICOLAS ALTMAYER: Sì, nel 2011, il successo di QUASI AMICI ha accelerato la carriera di Omar. Aveva già talento ed ora anche la notorietà per poter sostenere un film importante. Il primo passo è stato quello di trovare Gérard Noiriel, l’autore del testo che stava scrivendo un libro sulla vita di Chocolat. Gli abbiamo proposto un’opzione sui diritti.
ERIC ALTMAYER: Inoltre, il caso ha voluto che avevamo da poco incontrato lo sceneggiatore Cyril Gély. La sua prima commedia THE OTHER DUMAS era stata adattata per il cinema. Ci ha invitato a vedere il secondo adattamento: DIPLOMACY – UNA NOTTE PER SALVARE PARIGI. Conoscendo la sua predilezione per i soggetti storici, gli ho raccontato la storia di Chocolat, per misurare il suo interesse. Cyril Gély non aveva mai scritto per il cinema ma è rimasto affascinato dalla storia e ci ha chiesto di dargli la possibilità di scrivere la sceneggiatura.
Come ha reagito Omar Sy alla proposta di interpretare Chocolat?
NICOLAS ALTMAYER: I suoi occhi si sono illuminati. È accaduto durante l’inverno del 2011. Stavamo producendo DUE AGENTI MOLTO SPECIALI (di David Charhon), un film in cui Omar aveva uno dei due ruoli principali. Una notte, mentre la troupe stava preparando una scena con gli stunt, sono entrato nella roulotte di Omar. Saranno state le 2 del mattino. Gli ho chiesto se avesse mai sentito parlare di Chocolat e gli ho raccontato la storia della sua carriera. Omar mi è sembrato subito entusiasta all’idea di interpretarlo. Ma prima di accettare, voleva leggere la sceneggiatura. Eric e io abbiamo deciso di correre il rischio di far sviluppare a Cyril Gély la sceneggiatura senza sapere se Omar avrebbe accettato il ruolo. In attesa della prima bozza da fargli leggere, gli ho dato un piccolo dossier.
Cosa conteneva?
ERIC ALTMAYER: Alcune note bibliografiche basate sul lavoro di Gérard Noiriel; alcuni documenti fotografici, come gli annunci pubblicitari per i quali Chocolat aveva prestato la sua immagine, alcune foto del duo formato con Footit, elementi che dimostravano la sua esistenza e ne testimoniavano la popolarità come artista. Quella breve presentazione di cinque o sei pagine ha fatto presa su Omar in attesa di leggere una sceneggiatura. Le corrispondenze tra il suo passato e quello Chocolat erano tali da convincerci che era lui l’attore perfetto.
Quali sono gli aspetti in comune tra Omar e Chocolat?
ERIC ALTMAYER: la stessa natura entusiasta e focalizzata sulla risate e sul divertimento. Ci siamo resi conto che c’erano anche altri elementi comuni. Omar è certamente il primo nero ad essere considerato una grande star del cinema francese. Come Chocolat, si è fatto strada e vive in una coppia mista. Ha iniziato la sua carriera in un duo con Fred così come Chocolat con Footit. Entrambi gli artisti sono impegnati nell’attività negli ospedali con i bambini malati. Non avremmo mai immaginato che avremmo trovato un attore così simile a Chocolat, o che James Thierrée avrebbe accettato di interpretare Footit.
In quali aspetti James Thierrée è simile a Footit?
NICOLAS ALTMAYER: Per la sua conoscenza del linguaggio del circo, del mimo e dei movimenti del corpo. Come Footit con Chocolat, è una persona sempre preoccupata, pensierosa. Chocolat era più giocoso e spensierato. Quando Omar e James si sono conosciuti nei nostri uffici, ci siamo sentiti come se avessimo la coppia Footit e Chocolat di fronte a noi. I due attori avevano un rapporto simile come nel film. Hanno avuto modo di conoscersi, discusso, fatto pace, e, infine, il loro rapporto ha trovato una certa armonia.
Questo non è un film biografico, ma un film di finzione ispirato al libro di Gérard Noiriel sulla vita di Chocolat …
NICOLAS ALTMAYER: Gérard Noiriel non ha trovato sbagliato il fatto che ci prendessimo alcune libertà e licenze rispetto alla realtà storica. La cosa importante era non tradire il suo spirito e rimanere il più possibile fedeli e plausibili rispetto agli eventi. Per quanto riguarda il contesto storico, i nostri ricercatori e Cyril hanno fatto in modo che rispettassimo la realtà dell’epoca.
Come ha lavorato con Cyril Gély?
ERIC ALTMAYER: Cyril ci ha fornito un primo trattamento con un buon filo narrativo e delineando bene i personaggi. L’evoluzione ha avuto luogo nel corso di quasi tre anni, con un sacco di avanti e indietro in cui Cyril ci inviava il suo lavoro e noi gli rimandavamo le nostre note e osservazioni. Infine ci ha inviato un’altra versione e dalle 6 o 7 pagine di osservazioni siamo arrivati a una pagina mezzo, e infine solo poche righe.
Cosa vi ha fatto pensare a Roschdy Zem come regista?
ERIC ALTMAYER: Roschdy Zem è un gran narratore e un abile regista nel rapporto con gli attori. Sentivamo che avrebbe apportato un punto di vista intelligente e sensibile dato il suo percorso personale, che non è solo quello dell’artista ma anche di chi sa cosa significa essersi dovuto far strada.
Come siete riusciti ad armonizzare i vostri punti di vista?
NICOLAS ALTMAYER: Quando selezioni un regista è perché sei alla ricerca di una certa visione di una storia, di un certo modo di vedere. Il punto di vista del regista è determinante. La nostra visione del film e quella di Roschdy si sposavano perfettamente. Avevamo avvertito Cyril Gély che il regista avrebbe dovuto adattare la sceneggiatura al suo punto di vista al fine di farla propria. È una cosa che può dispiacere ad uno sceneggiatore, ma è normale. Roschdy e il suo co-autore Olivier Gorce hanno iniziato a lavorare sulla sceneggiatura prima con Cyril, poi, in un secondo momento, da soli.
Quanto è cambiato il film dal progetto che Lei aveva in mente?
ERIC ALTMAYER: Ogni film è in costante mutazione. L’idea originale filtra attraverso sceneggiatori, adattatori e il regista prima di assumere la sua visione finale. Ma senza tradire la nostra. Spesso iniziamo un progetto, sosteniamo il suo sviluppo. Passare la palla al regista è parte del processo. Chiedevamo notizie regolarmente, ma da certa distanza, in modo da permettere alla troupe di esprimersi liberamente. Poi, nella fase di montaggio si torna ad avere un dialogo più intenso con il regista.
Cosa rappresenta per Lei Chocolat dal punto di vista personale e professionale?
NICOLAS ALTMAYER: Un’avventura che sintetizza tutte le ragioni per cui si fa questo lavoro: si parte con un’idea, con il desiderio di raccontare una storia, e poi si mettono insieme tutti gli elementi necessari per dar vita al progetto. Si scelgono gli attori e i collaboratori, si tenta di convincere i partner finanziari, i canali TV e distributori della validità della nostra idea. È sempre difficile mettere insieme il budget di un film, ma in questo caso c’era grande entusiasmo; il destino di Chocolat aveva suscitato molto interesse. È stata l’occasione per resuscitare la memoria di un artista dimenticato. La nostra convinzione è che questo film possa essere un film che resterà nel tempo. Speriamo sia così.
Cosa pensa che questo film possa trasmettere al pubblico?
ERIC ALTMAYER: Chocolat è chiaramente un film tradizionale, nel senso migliore del termine. Volevamo un film spettacolare, sensazionale, ricco di emozioni. A nostro parere, questo è il piacere primario del cinema. Vorrei che il pubblico fosse toccato vedendo la storia di Chocolat e del suo partner, soprattutto dal momento che la sua incredibile esperienza dimostra che quando c’è entusiasmo ed energia, tutto è possibile.
Photo | © 2015 MANDARIN CINEMA – GAUMONT / JULIAN TORRES