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Monos – Un gioco da ragazzi, recensione, la guerriglia della gioventù colombiana

Ragazzini a cui vengono sottratte infanzia e adolescenza per elaborarci sopra uno spettacolo estremo nella forma ma più contenuto nella sostanza

pubblicato 3 Marzo 2020 aggiornato 29 Luglio 2020 13:00

È uno spettacolo da mozzare il fiato quello che si staglia davanti ai ragazzi che compongono questo insolito gruppo di guerriglieri, che prende il nome di Monos. Giovani, prendono ordini da un adulto affetto da nanismo il quale li allena, li carica, li motiva, decide su certe dinamiche; insomma, passa tutto da lui. Con altrettanta facilità il comandante però improvvisamente scompare, ed allora il gruppo è in balia di sé stesso. Alejando Landes fa cominciare il suo Monos nella cornice sopra evocata, una distesa con in mezzo una struttura rocciosa, circondata da nubi che non consentono di avere alcun riferimento spaziale; per quel che ne sappiamo, questa zolla di terra potrebbe persino trovarsi fra le nuvole.

Quest’ultimo appunto non è tirato fuori dal cilindro a caso: uno degli aspetti più interessanti di Monos sta infatti nel mix di registri che propone da subito. È chiaro che Landes voglia prendere spunto dalla realtà di un contesto che definire tumultuoso è dire poco, con questi soldati-bambino chiamati a rispondere come dei robot, eppure ancora ragazzini per l’appunto, chi più chi meno. Per buona parte del film si fa leva su tale opposizione, ossia la missione che viene assegnata al gruppo, quella di tenere in vita una dottoressa straniera (Julianne Nicholson), e la quasi impossibilità di tenere a freno il loro impeto ora infantile ora adolescenziale, che rimanda ad un reame che, se non entra nel fantastico, per lo meno lo costeggia.

Si formano coppie, si disfano rapporti, il tutto nell’ambito di dinamiche che hanno appunto a che vedere con gruppi composti da giovani; ora si scherza, un istante dopo si è seri, un attimo dopo ancora si torna a fare gli scemi. Il punto è che a certe condizioni tutto appare molto instabile, e lo è, perciò, finché la naturalezza di questi ragazzini che giocano si scontra con gli eccessi e la posticcia seriosità militaresca a loro imposta, il discorso regge. Ed è come se Monos funzionasse proprio per reggere fino a quel punto, finché insomma non deve in qualche modo tirare le somme, messo all’angolo dagli eventi che racconta.

Ecco, qui forse viene meno un pizzico di coraggio, il voler trarre le opportune conseguenze e quindi adeguarvisi, anche a costo di apparire spiacevole. Ma Monos è un film più educato ed innocuo di quello che da a vedere in un primo momento, lusso che può concedersi anche in virtù di quanto evidenziato poco sopra sul non porsi come parabola necessariamente realistica ma nemmeno troppo fiabesca. Gli echi dei fratelli Grimm vengono non solo temperati ma quasi dissipati da riferimenti di altro tipo, ossia quello che rimanda a Il signore delle mosche di William Golding.

Certo, resta un’impalcatura notevole, oltre alla percezione, forte, di un film piuttosto complesso da girare, in alcuni casi quasi estremo – da cui altri possibili influssi, come quelli di un Herzog. In primo piano restano tuttavia loro, questi ragazzi e ragazze catapultati in un mondo di abiezione; più che alle vicende che li vede coinvolti si assiste a come loro guardano a queste vicende, perciò è più un osservare uno sguardo sulle cose che le cose stesse. E per uno scenario così orribile, terrificante, al nostro di sguardo viene forse sottratto qualcosina di troppo, quel poco che però, al netto di una scorza accattivante, in alcuni casi addirittura strabiliante, fa comunque suonare il tutto, da un certo momento in avanti, un pelo insincero. In questo caso credo infatti che la nota onirica che si percepisce non sia sufficiente a rendere credibile il modo in cui viene gestita e quindi mostrata la brutalità del gruppo, in larga parte contenuta.

Come accennato, trincerarsi dietro la poesia, da cui Monos è senza dubbio attraversato, mi pare semplicistico. C’è una forza innegabile dietro questo ritratto così ben condotto, senonché viene tenuta a freno, forse per paura di essere troppo esplicito, di mostrare un volto ben meno accettabile di quello che alla fine ci sottopone. Il talento, quello è innegabile, Landes ne ha e non servono troppe parole; la musica a ragione veduta tormentata e tormentosa di Mica Levi, unita alla fotografia di Jasper Wolf, danno un tono quasi etereo che a tratti quasi incanta. Tutto sommato, nondimeno, potrebbe addirittura distogliere però.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]

Monos – Un gioco da ragazzi (Monos, Colombia, 2019) di Alejandro Landes. Con Julianne Nicholson, Moises Arias, Sofia Buenaventura, Julian Giraldo e Karen Quintero. Nelle nostre sale da giovedì 26 marzo 2020.