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Filmmaker 2019, Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin, recensione – Werner Herzog al proprio meglio

Più che la vita, il passaggio di Bruce Chatwin visto attraverso gli occhi di un fratello spiriturale quale Werner Herzog, il quale certi ritratti è difficile che li sbagli

pubblicato 16 Novembre 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 15:37

C’è un momento in cui, a Punto Arenas, in Cile, una persona del luogo, che Herzog e Chatwin avevano incontrato anni prima, comincia a vezzeggiare il regista tedesco; qualche ricordo, nulla di particolare. A Werner non dispiace, tanto che asseconda quel rimembrare estemporaneo per qualche battuta, finché, in maniera altrettanto estemporanea, solenne, interrompe: «questo però non è un film su di me, è su Bruce». Come ogni singolo aspetto nel cinema di Herzog, nulla è casuale, men che meno una linea di dialogo del genere, spontanea o meno che fosse. In fondo lo si sa… che si tratti di documentari o di film di finzione, finché restiamo nell’alveo della sua filmografia, si può fare sempre lo stesso ragionamento: tutti e ciascun film di Herzog parlano di lui.

Anzi, ogni film che ha girato questo particolare cineasta è lui, non si scappa. Chi scrive ha sempre sostenuto che il personaggio Werner Herzog costituisca la vera forza, fino al paradosso (ma neanche tanto), che il personaggio superi l’opera stessa. Certo, poi a fronte di una carriera costellata di così tanti lavori, c’è dove questa dinamica emerge di più e dove di meno, ma in linea di massima si sbaglierebbe chi pensasse che Herzog appaia nei propri film solo laddove intervenga di fronte alla macchina da presa o in veste di voce narrante. Fitzcarraldo (1982) su tutti, ma anche Aguirre, furore di Dio (1972), gli esempi più immediati, mentre in altri casi il discorso andrebbe illustrato meglio, sebbene altri come Grido di pietra (1991) o L’ignoto spazio profondo (2005) confermino questa tesi.

Ecco allora perché appioppare il termine di biopic a Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin dice poco, rischiando di rivelarsi addirittura inopportuno. Non tanto perché si tratti di un documentario, ma perché il vibrare che attraversa l’intero lavoro attiene alla poesia, qualcosa a cui il trattamento tendenzialmente descrittivo, il raccogliere una serie di eventi nella vita di una persona, non può a priori aspirare. I passi di cui al titolo sono di Chatwin ma anche di Herzog; dapprima fuor di metafora, proprio in virtù del passaggio fisico, il tornare presso quegli stessi posti che lo scrittore aveva a sua volta bazzicato. Non per niente queste sequenze appartengono al primo degli otto capitoli, perché dopo il discorso, che ha il tenore del componimento, assume una prospettiva differente, più sfumata.

Come nelle biografie di Chesterton, dopo le quali non è più possibile tornare indietro, quantunque nessuno sia riuscito ad andare avanti, Herzog mescola ricordi, suggestioni, sogni, plasmando un po’ alla volta il suo racconto intriso di un insolito statuto di verità. Negli ultimi anni gli è riuscito sempre meno al regista bavarese, va detto, ma quando imbocca il sentiero giusto e la sua prosa così erratica ma affascinante prende il sopravvento, pochi, forse addirittura nessuno è in grado di tirare fuori spezzoni di vita mista a verità in maniera altrettanto corroborante.

Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin è carne, la stessa di cui è fatto un cinema così materico, estremo come quello di Herzog. Senza compromessi, rotondo, come il capo di una tribù in Ghana ebbe a dire di un libro di Chatwin, il quale incassò l’uscita come un grosso complimento. Lungo il vagare di questa libera rievocazione che il regista fa dello scrittore, amici anzitutto per affinità spirituale, è possibile riscontrare frammenti di entrambi, raccolti e presentati alla rinfusa, facendo capo ad una visione dell’esistenza precisa. Camminare come espressione del fare, dello stare al mondo, che è sempre un combattere con e per il mondo, affrontando in primis sé stessi, nel continuo tentativo di battersi, dunque di superarsi.

Non urla alcunché Herzog, men che meno rivendica un’idea che oramai considera acquisita, incarnatasi appunto in quell’inesausta attività che è stato il fare cinema per oltre quarant’anni. È tempo di celebrare quel che è stato, chi c’è stato, ricordando magari perché non se n’è mai andato; Bruce, perciò, per Werner (ri)vive ancora in quello zaino di cuoio che ne ha viste tante, passate altrettanto, prima indosso allo scrittore, poi sulle spalle del regista. «Gesù aveva una tunica senza cuciture», queste pare siano state le ultime parole scritte da Chatwin. Per (an)notare certe cose può volerci una vita. E quale vita…

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

Nomad: In the Footsteps of Bruce Chatwin (Regno Unito, 2019) di Werner Herzog. Con Werner Herzog, Bruce Chatwin, Karin Eberhard, Nicholas Shakespeare, Elizabeth Chatwin, Petronella Vaarzon-Morel, Glenn Morrison, Michael Liddle Pula, Marcus Wheeler e Stefan Glowacz.