Non ci sono più Futuristi: cinema e tv assistono a nuovi scenari che incalzano velocemente. Che fare?
A giorni comincia la Mostra del Cinema, cosa mostrerà? Da pochi giorni la Rai ha un nuovo consiglio d’amministrazione: cosa farà?
In una intervista a Repubblica, il direttore della Mostra, Alberto Barbera, è come sempre prudente e prudentemente ottimista. Alla Mostra sono giunti oltre duemila filmati aspiranti alla partecipazione. La scelta non deve essere stata facile, come non lo è stata in passato. Quest’anno, poi, tre film di campioni e campioncini italiani (Moretti, Garrone, Sorrentino) sono stati risucchiati al Festival di Cannes, e non hanno preso premi. Del resto anche Cannes, più ricca, più stabile, non se la passa bene, la nave va meglio, va… ma… dove? I problemi sono gli stessi in tutto il mondo. Troppi film fioriscono ovunque ma sono diversi, disparati, disperati, disperati ripeto a caccia di riconoscimento e un possibile domani o dopo domani.
La massiccia produzione non ha confini. Ormai le immagini dominano l’immaginario come non è mai successo, e non si fermano. Ondate tra le quali è sempre più difficile pattinare col surf. Dallo spot pubblicitario al film d’entertainment, dal film d’autore (il più in crisi) al kolossal, dal documentario al docufilm, la montagna di immagine sta crescendo come un iceberg e minaccia il Titanic del cinema tradizionale. E’ un classico.
La prudenza e la paura di sbagliare cresce. A togliere le castagne dal fuoco si provvede con un investimento volenteroso, sperando che la scelta sia stata indovinata, anzi abbia fortuna. Come? Mah. La sfera di cristallo anche nel cinema non esiste. E i giovani rampanti non ci sono più, ci sono giovani che documentano l’incertezza e gli interrogativi su cosa fare. Ma l’attesa è sempre fiduciosa, Venezia è sempre Venezia. In concorso c’è l’ultimo film di Marco Bellocchio (Sangue del mio sangue) proprio nell’anno in cui il suo film d’esordio “I pugni in tasca” compie mezzo secolo! Forza ragazzi vecchi e nuovi. Il problema del futuro è forte anche alla Rai, dalla tv alla radio, ai canali infiniti sul digitale e tanto altro ancora. Uomini a tentoni in una stanza buia per fiction e tutto il resto: cartelloni che denunciano la difficoltà di inventare, reinventare i massmedia.
Ogni volta che cambia la governance della Rai- è stata appena cambiata- tutti si domandano se può cambiare anche la Rai. La vita dei media, del resto, è all’insegna di cose che spesso vorticosamente prendono d’assalto le situazioni passate o ancora in atto; e non lasciano tregua. Spesso, anzi, asciugano le parole degli esperti, autori, studiosi così via. Anche i più preparati dentro e fuori la Rai hanno imparato a misurare le parole non per presa d’atto, convinzioni, opinioni aggiornate ma per pura prudenza. Meglio non rischiare. Lezione consigliata dalla esperienza soprattutto di questi ultimi anni.
La prova è che le televisioni (non solo la Rai) si sono abituate a ricordare e a festeggiare -quando è il caso, ma ormai sembra che lo sia sempre- la loro storia e il loro ruolo nel raccontare (così viene detto) il Paese e addirittura il Mondo. Ma il vecchio valzer melodioso appare ogg un super movimento lento, pigro, che mima i passi in avanti mentre si tratta di passi indietro.
Le tv “servizio pubblico”, soprattutto in Europa, sono fedeli a un modello che le mette tutte sullo stesso piano: affermano e non collaudano; poco inventano, pensando che tutto sia già stato inventato e messo in pratica da loro stesse. In realtà, queste tv poco cercano perché ormai non si sa dove cercare, e pare che solo network recenti, recentissimi (cito Hbo fra i primi) siano stati capaci di agire sveltamente per una rapidità e abilità di manovra che i “mastodonti” (anche “non pubblici” come i principali network americani) non hanno più o stanno perdendo.
Le televisioni tradizionali, “pubbliche” o “private”, fanno i telegiornali in modo simile, poco variato, solitamente corrispondente a schemi fissi e prefissati; fanno lo spettacolo di varietà o musicale nello stesso modo, legato a forme ripetitive o a forme che scambiano sguaiataggine e superficialità per orizzonti di rinnovamento se non per novità futuriste o futuribili. Queste televisioni, salvo rare eccezioni, ad esempio, confezionano le fiction con pensantezza di contenuti, poiché vogliono fare o ribadire le “morali” imposte dalla banalcultura; o praticano, nelle commedie o nelle mini serie, insulse proposte comiche, d’intrattenimento, scritte male, dirette e interpretate peggio.
Pensiamo, per questo ultimo “capitoletto” del viale del tramonto televisivo, cosa erano in Italia gli attori e i comici degli anni dal 1950 al 1990, da Totò a Manfredi, a Sordi, a Tognazzi: una “bomba comica”, paradossale, capace di mostrare in controluce non solo il nostro Paese ma un grottesco stare al mondo… del Mondo, proiettato senza prospettive in una orgia di parodie e di imitazioni, in cui è morta la satira tv, una risorsa “fatta spegnere”. Ma ciò che manca oggi, e per domani, una progettualità capace di fare quel che fece il neorealismo: grandi autori e grandi attori per raccontare il difficile, tormentoso, appassionante cammino nella vita globale in cui siamo entrati, siamo costretti a entrare, spesso a mani vuote.
Ecco, ho elencato alcuni temi di fondo. Il futuro delle tv così come sono fatte adesso, è molto precario e offuscato anche da nebbie mentali che vagano dalla politica alla cultura preoccupate di create consenso anzi consensi su tutto nella confusione e nella convenzionalità. Nebbie che hanno preso e aggravato un vecchio vizio italiano: scarsa conoscenza delle realtà veloci, esigenti, spiazzanti, realtà che se ne infischiano di sicurezze di qualsiasi tipo.
Studiare Studiare Studiare. Sperimentare Sperimentare Sperimentare. Fare con umiltà Fare con umiltà Fare con umiltà.
Avere riscosso Potere non significa necessariamente Sapere. Quel Sapere su cui si si accomoda. Auguri a una nuova Rai, che aspettiamo, con i robusti cambiamenti che Servono.