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Venezia 2018, Non-Fiction (Doubles vies): recensione del film di Olivier Assayas

Festival di Venezia 2018: Assayas stavolta vira verso una commedia più leggera, marcatamente francese, girando attorno al tema attuale su come reperiamo informazioni, ma soprattutto cosa ce ne facciamo un volta in possesso

pubblicato 31 Agosto 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 17:02

Che ne sarà dell’editoria? Come industria, certo, ma la domanda posta da Assayas in Doubles vies è necessariamente più profonda. Non si tratta di numeri, sebbene se ne parli, ma di come diventeremo; perché, inutile negarselo, se è vero che «la nostra vita dipende da come pensiamo», è innegabile che ciò che leggiamo e come leggeremo dirà molto di ciò che siamo e saremo. Alain (Guillaume Canet) è un editore che per lungo tempo ha creduto che l’ebook si sarebbe imposto sul cartaceo, mentre adesso non ne è più così certo. Léonard (Vincent Macaigne), amico e scrittore pubblicato dalla casa editrice di Alain, propone a quest’ultimo l’ennesimo manoscritto incentrato sulla sua burrascosa vita sentimentale.

Ed è di questo che in fondo si tratta, ossia di una commedia romantica. Come in Sils Maria e forse ancora di più in Personal Shopper (ma potremmo citarne altri a ritroso pure Irma Vep), Assayas cavalca il genere per ragionare su un dato fenomeno, sempre di estrema attualità. E lo fa nella maniera più semplice possibile, ricostruendo con una finezza rara l’ordinarietà persino nella sua ovvietà, nel ricorrere di conversazioni anche dozzinali se vogliamo, chiacchiere e nulla più, che in qualche modo il regista francese nobilita grazie al suo tocco.

Francese fino in fondo, nei vari intrecci amorosi, le relazioni “clandestine”, nemmeno troppo intricate, con quel tipico approccio appunto francese che rifugge la tragedia, l’avanspettacolo, perché in fondo l’infedeltà non sempre è vista come una condizione cronica, anzi, un passaggio a volte fondamentale per cementare rapporti diversamente portati a sfaldarsi. Assayas, che scrive come pochi, ha l’invidiabile capacità di fermarsi sempre un attimo prima, quando pare che una scena sia destinata ad arenarsi per un qualche motivo, lui interviene sempre in tempo: uno spunto, una reazione, un cambio di registro, e via.

Tutto molto alla portata peraltro, malgrado quanto evidenziato in apertura rispetto alla volontà di toccare argomenti un po’ più complessi. Complessi sì, ma che vengono per lo più evocati, sapendo che insistere troppo vorrebbe dire alienarsi uno spettatore il quale, da un certo punto in avanti, è più interessato a capire se e come certe coppie scoppieranno, certi precari equilibri verranno definitivamente meno. In questo Assayas c’è semplicemente la vita, quella che conduciamo al giorno d’oggi; si parla di come si parla, si discute, di come sia impossibile sui social, i quali sconfessano l’impressione che si aveva fino a qualche anno fa, secondo cui alla gente non interessava più nulla di niente, mentre, al contrario, è interessata eccome, anche troppo. Alain lo dice a Léonard: nessun problema, dico solo che è meglio se tu resti con le tue d’idee ed io con le mie.

Il tenore è grossomodo questo qua, niente di trascendentale insomma, il che, in tutta onestà, mi pare di gran lunga più difficile del mero alzare l’asticella, portando la qualità del discorso su un altro livello. Mi pare che Assayas tuttavia qualche seppur piccola aspirazione la coltivi, quel sano briciolo d’ambizione senza il quale non capisco davvero perché qualcuno dovrebbe prendersi la briga di girare un film. Vuoi o non vuoi tutti questi aggeggi tecnologici, questa miriade di dispositivi che ci sommerge, come avviene con la ragazza di Lèonard, Valérie (Nora Hamzawi), stanno modificando il nostro modo di relazionarci a tutto, gli affetti, il lavoro, lo svago etc.

Frasi fatte quasi, ma in fin dei conti attualmente il tema dei temi mi pare sia questo, quintessenzialmente legato a quel fenomeno che chiamiamo «fake news», non per niente evocato dallo stesso Alain, senza star lì ad approfondire, ché tanto sa di parlare ad un pubblico che di familiarità con certi concetti, certi definizioni ce l’ha, anche se magari si tratta di una conoscenza superficiale. Lo statuto di verità, volendo, sta al cuore di Doubles vies, vite doppie in quanto c’è differenza tra ciò che è e come ce la raccontiamo; come Léonard, che insiste a chiarire che quella riportata nei suoi libri non è la sua vita bensì la sua vita romanzata, magari perché modifica elementi apparentemente secondari tipo una fellatio praticata al cinema mentre si vedeva Il nastro bianco anziché Il potere della Forza giusto perché il film di Haneke fa più colto, è quello che un pubblico francese forse si aspetterebbe.

Non-Fiction, titolo inglese, non-finzione, ma nemmeno realtà insomma, sia mai verità. Pare che Assayas abbia colto una delle tare con cui abbiamo a confrontarci di più in questo inizio secolo, ossia avere a disposizione tutta una serie di strumenti e di fenomeni che ne derivano, dinamiche che innescano per coprire o quantomeno giustificare incongruenze, atteggiamenti, abitudini e inclinazioni che c’erano pure prima, forse da sempre. Forse che il tradimento sia una novità? Oppure l’andare a puttane? No, il punto è che oggi le notizie girano come mai prima d’ora, e a fregarci è soprattutto l’immediatezza, l’impossibilità di metterci una pezza, porre un argine non tanto al proliferare dell’informazione in sé bensì alle varie riscritture che se ne fanno, finché, in men che non si dica, non ne prevale una, giusto perché la più virale.

Un susseguirsi di dialoghi, questo è in buona sostanza Doubles vies, di cui però ci frega qualcosa, a seconda dei casi ci frega addirittura molto, proprio perché in fin dei conti in alcuni frangenti, mentre due o più persone conversano fra di loro, facendo finta di capirsi e tollerarsi, noi spettatori veniamo un po’ messi spalle al muro, con dolcezza, mica sbattuti con violenza. A monte di quello che abbiamo definito, non senza forzare un pochino, il tema dei temi, ce ne sono altri, che sono in circolazione da molto più tempo, sul perché dell’esigenza o anche solo la voglia di dissimulare, talvolta per convincere noi stessi, molte altre il prossimo, la cui opinione, come affermava Schopenhauer, c’interessa così tanto che tale preoccupazione è fonte della metà dei nostri problemi. Allora meglio chiudere come fa Assayas, nota garbata e premurosa, con un nuovo ciclo che si apre.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]

Non-Fiction (Doubles vies, Francia, 2018) di Olivier Assayas. Con Guillaume Canet, Juliette Binoche, Vincent Macaigne, Christa Théret, Nora Hamzawi, Pascal Greggory, Laurent Poitrenaux, Sigrid Bouaziz, Lionel Dray, Nicolas Bouchaud e Antoine Reinartz. In Concorso.