Nonostante tutto, Cinecittà continua a creare aspettative, si spera che vada al di là, trovando nuovi orizzonti
Si lavora sulla Tuscolana, a Cinecittà che ha sistemato la cara e tradizionale facciata, ripulendola, dotandola di un ingresso elegante ispirato a quello di un vero e proprio cinema… la Mostra completa si avvicina…
A Cinecittà circolano tecnici e responsabili della produzione del remake di “Ben Hur”, in maniera molto discreta e riservata. “Ben Hur”, 1959, uno dei kolossal della Hollywood sul Tevere, uno dei più belli, se non altro per la travolgente corsa delle bighe diretta, voilà, da Sergio Leone, prezioso collaboratore alla regia di William Wyler (quello di “Vacanze romane”).
Una notizia, qualcosa molto d’importante, che non solo incuriosisce ma permette di sperare in un destino migliore della vecchia casa del cinema che ha scritto “pagine” di pellicola che hanno accompagnato gli spettatori di tutto il mondo soprattutto nel Novecento, fino “Gangs of New York” di Martin Scorsese, con l’antica New York ricostruita negli spazi della Tuscolana da Davide Ferretti, premio Oscar.
Intanto. Dopo molti mesi, quasi un anno, in cui il pubblico continua a visitare la prima sezione intitolata “Perché Cinecittà” di Cinecittà Si Mostra” è bello guardare indietro, passare dal presente e mirare al futuro; ora che si profila una imminente inaugurazione della restante parte prevista .
Si tratta di una storia cominciata come progetto nel 1936 e inaugurata nei primi mesi del 1937. Da allora, una produzione che è salita fino a circa 4000 film. Una storia mondiale fatta dagli autori, dai produttori e da migliaia di lavoratori e tecnici. Quasi una leggenda, su prestare attenzione e non smettere mai di pensare al futuro (tutti sanno che la Città del Cinema vive oggi con i suoi studi soprattutto di televisione, pubblicità, servizi vari). C’era una volta…
Una volta a Cinecittà c’era un custode che si chiamava Pappalardo, grande, grosso, ciccione, dagli occhi severi e dal vocione potente. Pare. L’ho visto solo nei bellissimi filmati del Luce e me ne parlò l’attrice Lilia Silvi, oggi quasi dimenticata, quando la intervistai per un film a puntate degli anni Ottanta che feci proprio su Cinecittà il cui titolo è “Il castello di sabbia”.
Lilia aveva quindici anni quando venne convocata per un provino. Aveva un’aria birichina e vivace, e si presentò accompagnata dalla madre. Ciò non bastò a rendere morbido Pappalardo nella sua intransigenza sugli ingressi di cui era tutore prima della seconda guerra mondiale (1939-45). Troppe erano le ragazzine e le mamme che sognavano un film da fare e si presentavano a centinaia, in un delirio che continuò dopo la guerra e fu raccontato da Luchino Visconti in “Bellissima” nel 1952, con Anna Magnani nel ruolo, eccolo di nuovo, di una mamma che pensava di accompagnare il “suo” personale sogno, scaricato sulla timida figlia poco propensa a fare del cinema.
La Silvi riuscì a convincere il Pappalardo con una certa intraprendenza (e con l’intervento della produzione che l’aveva convocata per il provino); da allora fu soprannominata Lilia, la Ragazza Terremoto.
Se ne accorse uno dei più famosi divi di allora, Amedeo Nazzari, che dovette “subirla” in una commedia leggera ispirata a “La bisbetica domata” di Shakespeare, 1942. Riprese agitate, se non burrascose, e forse inventate a bella posta per fare un po’ di glamour prima dell’uscita del film nelle sale. Così del resto si usava anche a Hollywood, spesso senza la stessa vana leggerezza da bolla di sapone. Anche perché Lilia, come mi raccontò Roberto Villa, un altro divo dell’epoca, sempre nel “Castello di sabbia”, aveva ottenuto di inserire nel contratto firmato una clausola a cui teneva particolarmente. Questa: la macchina della produzione doveva andare a prenderla a casa e subito accompagnarla in chiesa poiché lei, la “ragazza terremoto”, voleva ogni giorno assistere alla santa messa.
Questo è uno dei tanti piccoli particolari, fra storia e costume, di una storia grande. La storia del progetto di Cinecittà Si Mostra , destinato ad essere appunto permanente e alimentato di continuo da documenti, filmati di ieri ma anche di oggi, foto, manifesti, copertine di giornali e riviste, con molte sorpresa in elaborazione.
Storia e costume, dalla nascita di Cinecittà ai giorni nostri. Un progetto di Giuseppe Basso, direttore dei Cinecittà Studios, a cura degli architetti scenografi costumisti Alida Cappellini e Giovanni Licheri, due nomi noti, carriere importanti. Tre persone con cui sto collaborando. Un lavoro di consulenza storica e ricerca a largo raggio, che è iniziato da un paio di mesi e si rivela appassionante, coinvolgente già in questa fase.
Un impegno colossale, anzi kolossal. Una grande avventura da documentare con precisione e senso del valore dei passaggi storici: il fermo durante la guerra, il cinema del neorealismo, la ripresa del dopoguerra intensa, fortissima.
Un racconto con autori del passato e del futuro, uno per tutti: Federico Fellini che se ne andò vent’anni fa, dopo aver preso poco prima l’Oscar alla carriera. Fellini che disse di aver spesso pensato di abitare in una casa dentro Cinecittà per raggiungere più rapidamente gli studi e forse, dico io, per condividere con quelle mura interamente sogni, desideri, visioni, incubi e ancora sogni.
Quando Fellini pensava alla casetta- studio, Pappalardo non c’era più da tempo ai cancelli. Federico avrebbe potuto stare lì dentro, inquilino stabile nel moto perpetuo degli inquilini va e vieni, senza neppure fare il passi, dentro il ventre caldo delle sua creature di celluloide. Ne riparleremo. Questa è solo un’anticipazione-omaggio a chi ha preso l’ìniziativa di “riaprire” Cinecittà; e alla porta saranno sicuramente in tanti.