Notte con Tonino e Michelangelo negli anni di Breznev
Ricordi personali di Italo Moscati su Tonino Guerra e Michelangelo Antonioni.
Stava bene Tonino Guerra la sera in cui lo incontrai in una stanza dell’Hotel Ucraina, a Mosca, sul finire degli anni Settanta. Il 1989, con la caduta del Muro di Berlino, e poi dei comunisti dell’Est, era lontano. Nella stanza c’era anche Michelangelo Antonioni, tra alcuni altri, amici italiani. Con lui Tonino si era recato in Urss perché speravano di trovare finanziamenti per il loro film L’aquilone che non fu mai fatto, credo, ne ho perduto il ricordo. Eravamo stati a vedere uno spettacolo, su consiglio di amici di Tonino e di Michelangelo, molto amati in quel paese. Uno spettacolo di musica zingara, chiassoso e folcloristico. Ce lo avevano descritto come un chicca popolaresca.
Beh, eravamo rimasti basiti. In una Mosca che guardava con sospetto gli spettacoli di Liubimov ritenuti troppo di avanguardia, la zingarata non ci pareva neanche troppo suggestiva. Tornammo in albergo a ora tarda per quella Mosca (le dieci!). Non c’era nulla da mangiare. Ci arrangiammo con salumi locali, molto aglio, e vodka, deliziosa, nella etichetta si vantava che fosse stata assai gradita dallo zar Nicola, spazzato via dalla rivoluzione. Chiacchierammo molto. Tra di noi. Le due interpreti a cui eravamo stati affidati sapevano poco della situazione del cinema: ricordavano il grande Adriano Celentano, di cui erano stati proiettati alcuni film. E sapevano anche di altri cantanti di cui conoscevano le canzoni, tra cui ad esempio Toto Cutugno che con L’italiano aveva stracciato in popolarità anche Adriano.
Poi, ci lasciarono ai nostre soliti, insopportabili, perché ripetitivi coretti sul cinema italiano in crisi. Vennero le ore piccole. Bisognava andare, salire in camera, passare il controllo delle guardie (patetiche guardie: rotonde signore anziane) e rifugiarsi nei loculi del silenzio a noi assegnati. Ma Antonioni si ribellò e ci trascinò nella sua stanza, per continuare a parlare, non aveva sonno, voleva sfogarsi, rimediare al pessimismo di cui si era nutrito in quei giorni; era preoccupato perché la Mosfilm (la sosia di Hollywood sul Volga) non dava ancora risposte concrete sulle riprese dell’Aquilone.
Le ore si fecero ancora più piccole. Il sonno stava bussando nelle nostre teste. Ma il bussare, confondemmo, non veniva da dentro di noi ma da fuori, da fuori la porta. Ci guardammo. Chi poteva essere. Il Kgb? Forse nella stanza erano state piazzate delle cimici per ascoltare quel che stavamo dicendo. Qualcuno di noi decise di avere coraggio e di andare ad aprire. Era un gruppo di giovani. Uno di loro sapeva un poco di italiano. Altri parlavano francese, nessuno parlava inglese. Tutti conoscevano Michelangelo e Tonino, considerati artisti eccelsi per i loro film, la loro cultura, la loro nazionalità italiana.
Si avviò una conversazione non facile, tra citazioni di film e storie di cinema, storie orecchiate non si sa come, fatte dai giovani. Emerse una voglia di sapere ancora ancora. Ma soprattutto la voglia di raccontare come mancavano loro cinema e musica che il potere sovietico bloccava alle frontiere e in ogni modo. Volevano sapere di Fellini, di Rosi e di altri registi e scrittori di casa nostra. Li accontentammo come potevamo. La vodka era finita. Importava a noi e non a loro. Non chiedemmo neppure come erano riusciti ad arrivare fin nella stanza di Michelangelo.
Tacevamo. Di fronte alla curiosità, emozione, passione, voglia di capire e di sapere; di fronte all’amore per l’Italia, la sua arte, la sua cultura. Cominciarono a commuoversi. Erano lacrime vere. Solo Tonino che della lingua russa tra di noi era conoscitore riuscì a interloquire,a intenderli come si doveva. Eravamo stupefatti. Tonino era un incantatore. Le sue parole placarono i ragazzi, parole di speranza.
Ecco dev’essere stata quella sera la sera in cui Tonino ha trovato la sua frase pubblica più nota: L’ottimismo è il profumo della vita. Perché lo ricordo ispirato e profondamente toccato dai resoconti addolorati di quei ragazzi che pensavano che eravamo noi gli abitatori di un sogno chiamato cinema, cinema italiano.
E’ vero, la frase è finita in pubblicità e lì giace. Per Michelangelo, gli altri e per me è viva, vera, e lascia il sapore lezioso perché quei ragazzi cercavano qualcosa che fosse il profumo della loro vita, un ottimismo a loro sconosciuto. Oggi che il grande Tonino è morto c’è da chiedersi: e il nostro ottimismo dov’è finito? E i nostri profumi?
Foto: TMNews