Venezia 2018, Nuestro Tiempo: recensione del film di Carlos Reygadas
Festival di Venezia 2018: povero ed estenuante, per quanto a tratti ispirato, il discorso di Reygadas intorno ad amore e tradimento
Ancora una volta Reygadas lascia che siano i bambini ad aprire. Sono lì che giocano beati, ripresi da vicino, quasi si è lì con loro. Prima i maschi, poi le femmine, finché i primi non organizzano un’imboscata ai danni delle seconde; è ancora tutto un gioco. In questo stesso grande stagno con attorno una distesa sconfinata alla vista, tra l’acqua e il fango, qualche sequenza dopo si passa agli adolescenti; la loro è la «primavera classica degli idilli romantici», come scriveva Papini, che prosegue, quella «in cui ogni sguardo è un desiderio di piacere, e tutte le mani cercano un corpo da carezzare, e i baci son caldi come di febbre sulle labbra che non sanno, non vogliono, non possono staccarsi». Anche Juan Diaz (il protagonista interpretato dallo stesso Carlos Reygadas) è un poeta, e quanti sono i dettagli dei corpi su cui si soffermano le sue inquadrature, che indugiano pure su questi primi, goffi innamoramenti.
L’innocenza inserita nella natura, che è selvaggia per definizione. Nel sin troppo esplicito Post Tenebra Lux il regista messicano non ci aveva girato attorno, e in Nuestro Tiempo tende a reiterare concetti analoghi, talvolta in maniera analoga, altri in maniera diversa. L’introduzione di cui sopra serve solo a comprendere cosa si sono lasciati alle spalle i due protagonisti, il già citato Juan ed Esther (Natalia López, moglie di Reygadas anche nella vita). Lui è un poeta con la passione per questo tipo di vita ai margini della civiltà; civiltà che però incensa, su cui è imperniata la sua produzione letteraria. E vive con la famiglia in un ranch, nel quale lavora anche Esther.
Poco alla volta, dopo una prima parte, tolto il prologo, eccessivamente interlocutoria, viene fuori l’oggetto del discorso, ossia il rapporto perverso tra marito e moglie. Quest’ultima ha un’avventura con uno straniero e a quanto pare ciò che davvero disturba Juan è il fatto che Esther gliel’abbia tenuto nascosto. Poco alla volta scopriamo che non si è trattato di un caso isolato e che tale relazione si basa proprio sull’assenso rispetto a situazioni di questo tipo, con Juan che spinge la moglie verso queste parentesi, queste pause extraconiugali, al tempo stesso soffrendone dannatamente, tanto lui quanto lei. Nato probabilmente come amore, sincero, nobile addirittura, Reygadas tratteggia a conti fatti un’ossessione, su cui s’indulge a tal punto da farsi malattia.
Parliamo di un cinema che non fa sconti, che non si nasconde dietro alcunché, alimentato da un cinismo che ne informa la struttura, i contorni. Passi l’avversione ad ogni forma di sentimentalismo, condivisibile malgrado non ci si sforzi più di tanto a motivarla, ma questo compiacimento rispetto alla debolezza dell’uomo, una debolezza che può mutare e difatti muta in cattiveria, o che comunque reca danno proprio a colui/colei al/alla quale si dice di tenere più di ogni altra cosa, lascia francamente tiepidi. Non basta, sul finire, inserire una nota meno amara, un guizzo di positività rispetto ad un’altra possibile faccia dell’amore, quello che appunto resta tale fino alla morte, per aggiustare il tiro, far venire meno quel senso di parzialità e stringatezza su cui sin lì l’intero argomentare si è basato.
Non dubito che là fuori vi sia, e magari sono tanti, chi è in linea con una prosa e un approccio così poco concilianti, d’altronde Reygadas tutto è fuorché uno sprovveduto. Ma indugiare per tre ore (qualcosa meno se si toglie la parte iniziale e i pochi minuti finali, speculari) su una coppia destinata inesorabilmente a fallire, perché vittime e carnefici al tempo stesso, non regge. Sul tema del tradimento, portante in Nuestro Tiempo, non sembra si abbia realmente qualcosa da dire o anche solo suggerire, se non che il sesso e la sessualità rappresentano un affare complicato, su cui non di rado sta o cade la sopravvivenza di una qualunque relazione, specie se di matrimonio si tratta.
Direi pochino, ancor meno se si guarda a cosa si ha da dire sull’uomo o la donna tout court, il loro essere ineludibilmente votati al Male, anche nel senso di fare del male, a sé stessi e agli altri, tesi che oggi più che mai hanno un disperato bisogno di essere sorrette non da principi o concetti, bensì da situazioni, episodi, eventi et similia che diano contezza di questa propensione, dalla quale nessuno è escluso. Non è che l’uomo possa commettere azioni o dire cose deprecabili: il problema è che sembra non poter fare altro che questo. Con questa esaltazione, oramai pericolosamente didascalica, dell’infanzia prima e giovinezza poi quali periodi aurei della vita, gli unici prima che qualcuno o qualcosa li corrompa in maniera irreparabile, rendendo l’uomo duro e ostinato come i tori a perseguire la propria rovina. Argomentazioni un tantino rozze sebbene maneggiate in guanti di seta.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]
Nuestro Tiempo (Messico/Francia/Germania/Danimarca/Svezia, 2018) di Carlos Reygadas. Con Carlos Reygadas, Natalia López, Eleazar Reygadas, Rut Reygadas e Phil Burgers. In Concorso.