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Oscar 2015, miglior regia: Birdman, Boyhood, Foxcatcher, Grand Budapest Hotel, The Imitation Game

Il prossimo 22 febbraio saranno annunciati i vincitori degli Oscar 2015. Scopri e vota con Blogo tutti i candidati alla categoria miglior regia.

pubblicato 18 Febbraio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 18:01

La notte degli Oscar si avvicina e Blogo prosegue i sondaggi e gli approfondimenti sulle categorie degli Oscar 2015.

Dopo avervi proposto i candidati per scenografia, costumi, trucco, sonoro, montaggio sonoro, fotografia, colonna sonora, canzone originaleeffetti speciali, sceneggiatura non originale, sceneggiatura originale, corto live-action, corto documentario, corto d’animazione, montaggio, attore non protagonista, attrice non protagonista, attore protagonista, attrice protagonista, film d’animazione e film straniero è il turno dei cinque nominati per la Miglior regia.

I registi in lizza per questa ottantasettesima edizione degli Academy Awards sono Alejandro González Iñárritu (Birdman), Richard Linklater (Boyhood), Bennett Miller (Foxcatcher), Wes Anderson (Grand Budapest Hotel) e Morten Tyldum (The Imitation Game).

A seguire trovate il sondaggio in cui potete esprimere la vostra preferenza sulla categoria e a seguire video e info sui cineasti candidati.

Alejandro González Iñárritu per “Birdman”

– Sono in totale 9 le candidature collezionate dall’acclamata e pluripremiata dark-comedy di Alejandro González Iñárritu interpretata da Michael Keaton, Zach Galifianakis, Emma Stone e Edward Norton.

– Quinta candidatura per Alejandro González Iñárritu (Biutful), 3 in questa edizione (Miglior film, sceneggiatura originale e regista) e due nel 2007 per Babel (miglior film e regia).

– Iñárritu quest’anno per Birdman ha già vinto un Golden Globe per la migliore sceneggiatura.

Iñárritu afferma di essersi identificato con alcuni elementi della storia di Riggan thomson (Michael Keaton), in particolare la natura effimera del successo e la considerazione di sé. “Mi interessava esplorare la lotta contro il proprio io interiore e l’idea che il successo, a prescindere da quanta ricchezza e celebrità porti con sé, è sempre fugace. Quando cerchi qualcosa, dai agli altri il potere di legittimarti, e quando lo ottieni ti accorgi che la gioia è provvisoria”. “Riggan è profondamente umano”, spiega Iñárritu. “Lo vedo come una sorta di Don Chisciotte, con l’umorismo che nasce dalla discrepanza permanente tra le sue ambizioni grandiose e la realtà mediocre che lo circonda. Fondamentalmente, è la storia di tutti noi”. “Amo i personaggi imperfetti, insicuri, guidati da dubbi e contraddizioni… vale a dire tutti coloro che conosco. Le scelte passate di Riggan sono state poco felici e quest’ultima coinvolge tutte le persone che lo circondano. Riggan ha sempre confuso l’amore con l’ammirazione e solo quando capisce l’irrilevanza di quest’ultima può iniziare a imparare, non senza difficoltà, ad amare se stesso e gli altri”

Richard Linklater per “Boyhood”

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– Sono in totale 6 le candidature collezionate dal dramma di Richard Linklater in pole position per la vittoria nelle categorie Miglior film, regia e sceneggiatura originale. Boyhood è un progetto oltremodo singolare, girato per brevi periodi dal Linklater tra il 2002 e il 2013, il film è un’esperienza cinematografica innovativa che copre 12 anni di vita di una famiglia. Al centro della storia c’è Mason, che assieme alla sorella Samantha, vive un viaggio emozionale e trascendente attraverso gli anni, dall’infanzia all’età adulta.

– Quinta candidatura per Richard Linklater (Prima dell’alba) e prima per la miglior regia. Tre nomination Linklater le ha ricevute in questa edizione (miglior film, regia e sceneggiatura originale) e due lo scorso anno per Before Midnight (miglior sceneggiatura non originale) e nel 2005 per Prima del tramonto (miglior sceneggiatura non originale).

– Linklater per la regia di Boyhood ha già vinto un BAFTA e un Golden Globe.

Linklater sapeva che razionalmente c’erano un mucchio di motivazioni per cui tale impresa non poteva essere presa in considerazione: era creativamente sbalorditiva; finanziariamente impossibile; nessun cast o troupe , tantomeno una compagnia cinematografica, avrebbe potuto impegnarsi a lungo, per un tempo indeterminato; e andava contro i meccanismi dell’industria cinematografica moderna. Malgrado ciò ci si è buttato a capofitto, senza neanche pensarci più di tanto. “E’ stato come fare un grande atto di fede verso il futuro, ” riflette Linklater. “La maggior parte degli sforzi artistici per forza di cose devono essere mantenuti sotto controllo, mentre in questo caso alcuni elementi erano fuori dal controllo di chiunque. Inevitabilmente ci sarebbero stati cambiamenti fisici ed emotivi, e questo è stato considerato. Ero sempre attento a rimanere fedele all’idea originale che avevo del progetto, ed alla realtà dei cambiamenti che avrebbero subìto gli attori lungo la strada. In un certo senso, il film è il frutto di una collaborazione con il tempo; e il tempo stesso a sua volta può diventare un ottimo collaboratore, sebbene non sempre prevedibile”.

Wes Anderson per “Grand Budapest Hotel”

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– Sono 9 in totale le nomination ricevute dal film di Wes Anderson che narra la storia di Gustave H., il leggendario concierge del Grand Budapest Hotel interpretato da Ralph Fiennes, e del suo giovane protetto Zero, alle prese con il furto e il recupero di un dipinto rinascimentale inestimabile e la battaglia per un enorme patrimonio di famiglia.

– Sesta nomination per Wes Anderson (I Tenenbaum) e prima per la miglior regia. Tre candidature Anderson le ha ricevute quest’anno (miglior film, regia e sceneggiatura originale) e altre tre nel 2002 per I Tenenbaum (miglior sceneggiatura originale), nel 2010 per Fantastic Mr. Fox (miglior film d’animazione) e nel 2013 per Moonrise Kingdom (miglior sceneggiatura originale).

Il regista Wes Anderson dice che il suo ottavo film nasce da un mix di ispirazioni, tra cui le commedie degli anni ’30 e le storie e memorie dello scrittore viennese Stefan Zweig. “Ho avuto un’idea insieme al mio amico Hugo… ricorda Anderson riguardo gli inizi della sceneggiatura. “Lui e io avevamo discusso di un personaggio ispiratoci da un nostro amico, persona dall’eccezionale ed enorme fascino, un rapporto unico e magnifico con le parole ed uno sguardo molto speciale sulla vita, diverso da chiunque altro da noi conosciuto al mondo. Successivamente  pensai di fare una sorta di film europeo, ispirato in particolare da Stefan Zweig, scrittore che son giunto a amare seriamente negli ultimi anni. Ci sono altre cose che stavo leggendo che potrebbero non sembrare connesse a questo film, come ‘ Eichman in Jerusalem’ di Hannah Arendt, che ha molto poco a che fare con esso, ma contiene un’analisi avvincente di come ciascun paese europeo si è posto di fronte ai nazisti, e come tutto impazzì; e anche ‘Suite Française’ di Irène Némirovsky. Sono queste alcune delle cose da cui sono partito e che ho mescolato all’idea che Hugo e io avevamo avuto sul nostro amico. E questo, in un certo senso, è ciò che il film è…

Morten Tyldum per “The Imitation Game”

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– Sono 8 in totale le nomination collezionate da The Imitation Game di Morten Tyldum, con protagonista Benedict Cumberbatch nei panni del matematico e crittoanalista Alan Turing. La pellicola è l’adattamento cinematografico della biografia “Alan Turing. Storia di un enigma” scritta da Andrew Hodges nel 1983.

– Prima nomination per il regista norvegese Morten Tyldum (Headhunters) alla sua prima produzione internazionale.

Per Tyldum rimanere fedele alle radici iconoclaste di Alan era essenziale per realizzare The Imitation Game. “E’ una storia molto importante che rende omaggio all’essere diversi e quanto sia fondamentale in una società avere persone che la pensano differentemente e che non seguono la norma,” dice Tyldum. “Turing subì una grande ingiustizia, ma non scese mai a compromessi con i suoi ideali. E il mondo è migliore grazie al suo coraggio.” Tyldum, nel suo ruolo, si è sentito un po’ nella medesima condizione di outsider ed ha voluto sfruttare la sua eredità non-britannica a vantaggio del film. “Penso che sia un bene avere una visione esterna, poiché questo porta a fare particolare attenzione a tutti elementi della storia. Fu un periodo importante nella storia britannica, non si poteva commettere errori. Ma le idee di Alan erano molto più grandi e importanti rispetto al periodo e alla guerra. Per questo penso che questo non sia solo un film storico. E’ molto di più.

Bennett Miller per “Foxcatcher”

AFI FEST 2014 Presented By Audi Closing Night Gala Premiere Of Sony Pictures Classics' "Foxcatcher" - Red Carpet

– Sono 5 in totale le nomination collezionate dal dramma biografico diretto da Bennett Miller, con protagonisti Channing Tatum, Mark Ruffalo e Steve Carell. La pellicola tratta la storia vera dell’assassinio del lottatore campione olimpico alle Olimpiadi del 1984 a Los Angeles Dave Schultz, avvenuta nel 1996 per mano di John du Pont, amico e allenatore del lottatore. Il film è l’adattamento cinematografico dell’autobiografia “Foxcatcher. Una storia vera di sport, sangue e follia” scritta nel 2014 da Mark Schultz.

– Seconda candidatura alla miglior regia per Bennett Miller (L’arte di vincere) dopo quella ricevuta nel 2006 per il dramma biografico Truman Capote – A sangue freddo.

“Trasformo un fatto reale in finzione per permettere di risalire alla verità”, dichiara Bennett Miller. “Alcuni mesi dopo l’uscita di Truman Capote – A sangue freddo, ho ricevuto una lettera di Harper Lee. Sosteneva che il film fosse una dimostrazione che la finzione può essere un mezzo per arrivare alla verità. Sottolineava il fatto che una buona parte della trama fosse inventata, ma anche che ‘il film raccontava la verità su Truman’. Ho cercato di fare la stessa cosa con Foxcatcher – Una storia americana.” Miller sente parlare per la prima volta della storia dell’eccentrico plurimiliardario John Eleuthère du Pont (Steve Carell) e dei due fratelli campioni di lotta libera, Mark (Channing Tatum) e Dave Schultz (Mark Ruffalo) quando i produttori esecutivi Michael Coleman e Tom Heller gli mostrano un articolo di giornale che illustra la vicenda. “Le circostanze mi sono sembrate comiche e assurde, ma le conseguenze erano terribili e reali”, ricorda il regista. “Le cose stranissime che sono avvenute in quella villa non assomigliavano a nulla che io avessi sperimentato in prima persona in vita mia, ma nonostante questo ho subito provato una sensazione di familiarità. C’era qualcosa in quella storia o forse sotto a quella storia che sentivo essere tutt’altro che stana. Anzi, l’esatto contrario”. Benché il primo istinto di Miller sia stato di accettare immediatamente il progetto, il tempo e l’energia che vi ha dedicato in seguito sono stati enormi. Come aveva fatto in precedenza per Truman Capote – A sangue freddo e L’arte di vincere, il regista si è imbarcato in un intenso percorso di ricerca e documentazione che si è protratto per diversi anni. “Volevo scoprire gli aspetti sconosciuti della vicenda e per farlo ci vuole tempo. Occorrono anni e bisogna essere animati da un forte interesse e dotati di una grande attenzione”, dichiara. “È una storia che nasconde delle verità scomode: tutte le persone con cui ho parlato mi hanno dato la sensazione di custodire un qualche aspetto segreto di quanto è accaduto”. Miller ha percorso in lungo e in largo gli Stati Uniti, viaggiando in Iowa, California, Colorado, Missouri e Pennsylvania, per scovare materiali e intervistare decine di persone, compresi Mark Schultz, la vedova di Dave Nancy, gli amici e colleghi lottatori dei due fratelli, persone che avevano lavorato per conto di du Pont, poliziotti e chiunque fosse stato testimone di qualche capitolo della storia. Oltre a tutti questi resoconti di prima mano, il regista ha anche messo insieme una miniera di video sia di du Pont sia dei fratelli Schultz.

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