Venezia 79, Love Life: due clip in italiano e anticipazioni del film di Kōji Fukada in concorso alla Mostra del Cinema
Tutto quello che c’è da sapere su “Love Life” il film con Fumino Kimura in concorso a Venezia 79 e al cinema dal 9 settembre 2022.
Il nuovo film di Kōji Fukada, Love Life, sarà presentato in concorso alla 79. Mostra del Cinema di Venezia e uscirà nelle sale italiane il 9 settembre con Teodora Film. Considerato uno dei maggiori registi del cinema giapponese contemporaneo e già premiato a Cannes per lo straordinario Harmonium, Fukada firma un nuovo, eccezionale ritratto femminile, una riflessione sull’imprevedibilità della vita che appassiona e commuove.
Trama e cast
Protagonista del film è Taeko (Fumino Kimura), la cui vita scorre tranquilla accanto al marito e al figlioletto Keita, finché un evento drammatico segna il ritorno del padre biologico del bambino, di cui la donna non aveva notizie da anni…
Il cast di “Love Life” imclude anche Atom Sunada, Kento Nagayama,, Hirona Yamazaki, Misuzu Kanno, Tomorowo Taguchi, Tetsuta Shimada e Mito Natsume.
Love Life – trailer e video
Trailer italiano ufficiale italiano pubblicato il 10 agosto 2022
Due clip ufficiali in italiano pubblicate il 3 settembre 2022
Chi è Fumino Kimura?
Fumino Kimura nata il 19 ottobre 1987 a Tokyo, è un attrice e doppiatrice giapponese molto popolare in patria. Kimura è nota per la serie tv di Netflix The Many Faces of Ito (2018) e per il ruolo di Yoko nella commedia d’azione The Fable (2019), ruolo che l’attrice ha ripreso nel sequel The Fable: The Killer Who Doesn’t Kill (2021). Altri crediti di Kimura includono ruoli in Love for Beginners (2012) dal manga “Kyō, koi o hajimemasu” di Kanan Minami, nel dramma The Little House (2014) dal racconto di Kyoko Nakajima, in Piece of Cake (2015) dall’omonimo manga di George Asakura e nel dramma mistery Reminiscence (2017) di Yasuo Furuhata.
Chi è Kōji Fukada?
Nato nel 1980, Kōji Fukada studia letteratura alla Taisho University e regia alla Film School of Tokyo, dove è allievo di Kiyoshi Kurosawa. L’esordio nel lungometraggio avviene con The Chair (2004), a cui segue Human Comedy in Tokyo (presentato al Festival di Roma), ma la popolarità internazionale arriva nel 2010 con Hospitalité (Kantai), che vince il Tokyo International Film Festival. Dopo Au revoir l’été (Hotori no sakuko, 2013) e Sayonara (2015), nel 2016 firma Harmonium (Fuchi ni tatsu), che vince il Premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes e lo consacra come uno degli autori di spicco
del nuovo cinema giapponese. Nel 2018 Fukada viene nominato in Francia Cavaliere dell’Ordine delle arti e delle lettere e gira in Indonesia la coproduzione internazionale Man from the Sea (Umi wo Kakeru). Tra i suoi ultimi film ricordiamo A Girl Is Missing (Yokogao, 2019, presentato a Locarno) e la versione per il cinema della serie tv da lui ideata, The Real Thing (Honki no Shirushi: Gekijo ban), che finisce in selezione ufficiale a Cannes 2020. Fondatore della Japanese Independent Film Guild e promotore con Hirokazu Kore-eda della creazione di una versione giapponese del CNC, durante la pandemia si è impegnato con Ryūsuke Hamaguchi, regista di Drive My Car, in una campagna di raccolta fondi per sostenere le sale indipendenti, coronata da un enorme successo.
Intervista al regista
Come è nata l’idea del film? In che modo la canzone che sentiamo alla fine, Love Life di Akiko Yano, è stata d’ispirazione?
Ho sentito per la prima volta la canzone di Akiko Yano, Love Life, quando avevo vent’anni e mi ha subito catturato. Avendola ascoltata più e più volte, ho iniziato a pensare al modo migliore di tradurla in un film. Mi è venuta allora in mente questa storia, la storia di una coppia con un bambino piccolo che non riesce a condividere il dolore di una perdita. Ci sono molto modi di intendere le parole della canzone e una grande ispirazione per me è stato il verso “Qualunque sia la distanza tra di noi, niente può impedirmi di amarti”. Non credo che sia la canzone ad essere al servizio del film, piuttosto il contrario.
Nella prima parte del film ci viene presentata quella che sembra una famiglia felice, intenta a festeggiare insieme. Ma le tensioni interne diventano presto evidenti: perché scegliere questo contesto familiare per il film?
Per me, una famiglia in cui tutti vivono vicini, nonostante siano tutti in qualche modo soli, non ha alcun senso. Non fa differenza se la struttura familiare è comune o insolita, quello che conta è la capacità di comunicare. La coppia protagonista ha impostato la propria vita in modo da trascorrere una diversa quantità di tempo con il bambino e per questo motivo il loro dolore non viene condiviso in modo paritario.
Il tragico incidente dà al film un tono diverso e spinge i personaggi su nuove traiettorie. Perché questa scelta? Quali temi ti ha permesso di esplorare?
Per raccontare questo evento così drammatico, ho creduto fosse importante considerare come la morte può essere rappresentata realisticamente in un film di finzione. Non intendo solo la verosimiglianza dell’evento in sé, ma il problema del mostrare come la morte può intromettersi improvvisamente nella nostra vita quotidiana, senza alcun preavviso e senza alcun significato. Per trasmettere questa sensazione al pubblico, ho inserito diversi eventi casuali, apparentemente estranei alla morte di Keita, per distogliere l’attenzione. Poi la morte interrompe bruscamente tutto e i diversi personaggi devono affrontare questo evento all’interno delle proprie relazioni, dandogli ciascuno un significato proprio.
Il film ruota attorno a Taeko. Come descriveresti il suo personaggio? Come hai lavorato con la protagonista Fumino Kimura?
Taeko è una persona gentile, disposta a lavorare sodo per gli altri e ad aiutare le persone bisognose. D’altra parte, la sua identità non è fissata. Al di là dei suoi ruoli di moglie e madre e del suo lavoro, Taeko non si prende il tempo necessario per esaminare chi sia la donna al centro di tutto ciò. In altre parole, è una persona normale, di quelle che trovi ovunque. La presenza di Park illumina la sua gentilezza nel tentativo di aiutare gli altri, ma mostra anche la sua arroganza nell’assumere tale ruolo di protettrice. Era la prima volta che lavoravo con Fumino Kimura, quindi abbiamo iniziato semplicemente conoscendoci come attrice e regista. Attraverso le prove, penso che siamo riusciti a creare insieme una Taeko convincente. Quello che voglio dire è che il personaggio che abbiamo costruito è da qualche parte tra la Taeko della sceneggiatura originale e la reale Fumino Kimura. Lei è stata anche entusiasta di imparare la lingua dei segni e questo atteggiamento ha avuto un effetto molto positivo sull’intera produzione del film.
L’ex marito di Taeko (Park) è sordo e parla attraverso il linguaggio dei segni. Questo contribuisce alla sua vicinanza nei confronti di Taeko, poiché lei è l’unica che lo capisce. La lingua dei segni è anche al centro di alcune scene chiave del film (Taeko nella vasca da bagno, la confessione di Jiro nell’appartamento vuoto). In che modo questo personaggio ti ha permesso di percorrere delle nuove strade in termini di scrittura e regia?
La prima volta che ho pensato di rendere sordo il personaggio di Park è stato quando tenevo alcune conferenze in un seminario per non udenti nel 2018, organizzato dal Tokyo International Deaf Film Festival. Solo allora – un po’ tardi, temo – mi sono reso conto che la lingua dei segni è una lingua a sé stante, proprio come possono esserlo il giapponese, l’inglese o il francese. È anche un linguaggio che funziona molto bene sullo schermo. Più tardi, mentre scrivevo la sceneggiatura di Love Life, la sfida era quella di rendere visibile la tensione che esiste nel triangolo amoroso tra Taeko, Jiro e Park, l’ex marito di Taeko: così mi è venuta l’idea che ci fosse un linguaggio condiviso solo da Taeko e il suo ex. Era dal 2018 che volevo includere il linguaggio dei segni in uno dei miei film, quindi ho deciso di cogliere l’occasione e rendere sordo Park. Il linguaggio dei segni mi ha aperto a un’ampia varietà di idee visive e cinematografiche, ma ciò che mi ha colpito in particolare è stato il fatto che chi lo usa presta una grande attenzione alle espressioni facciali e ai movimenti delle mani.
“Love Life” è in sintonia con i tuoi lavori precedenti, sia dal punto di vista tematico che visivo. Ma sembra anche un film più aperto, forse anche più accessibile a un pubblico più ampio. Come ti senti a presentare questo film in concorso a Venezia?
Se pensi che il film sia più aperto degli altri miei film, credo sia dovuto al potere positivo della canzone di Akiko Yano. Spero che, attraverso la Mostra del Cinema, più persone possibili possano apprezzare il fascino di questo brano.
La colonna sonora
- Il film è ispirato all’omonima canzone registrata nell’album “Love Life” pubblicato dalla musicista Akiko Yano nel 1991.
- Akiko Yano (13 febbraio 1955) è una musicista e cantante pop e jazz giapponese. Nata a Tokyo e cresciuta ad Aomori ha iniziato la sua carriera di cantante a metà degli anni ’70. È stata definita “uno dei maggiori talenti musicali del mondo della musica popolare giapponese”, e la sua voce e il suo stile di canto sono stati paragonati alla cantante britannica Kate Bush. Yano ha collaborato con lo Studio Ghibli componendo le musiche del film d’animazione I miei vicini Yamada (oltre a interpretare un ruolo minore come voce di Fujihara-sensei) e ha creato ed eseguito gli effetti sonori, usando solo la sua voce, per due cortometraggi Yadosagashi e Mizugumo Monmon del regista Hayao Miyazaki. Nel 2008, Yano si è esibita come doppiatrice in Ponyo sulla scogliera nei panni delle sorelline di Ponyo.