Overlord, recensione: fantascienza applicata alla Seconda Guerra Mondiale in salsa videoludica
Così come i nazisti che descrive, Overlord, ultimo di una lunga sfilza, implementa un linguaggio a sua volta “geneticamente modificato”, dando vita ad una divertente operazione tra distopia e fantascienza
Il D-Day è alle porte, ma le truppe statunitensi non si limitano a sbarcare in Francia solo via mare. La prima sequenza di Overlord, concepita prima ancora che diretta con criterio, non si discosta da scene viste e riviste in un numero considerevole di film così come di videogiochi: all’interno di un aereo, due file di soldati l’una davanti all’altra, tesi come corde di violino per quanto dovranno apprestarsi a compiere. Questa prima scena ha da un lato il merito di rivelare immediatamente cos’abbiamo davanti, ma al tempo stesso, per certi versi, ci depista in maniera tutt’altro che contrariante, poiché la familiarità a cui si allude poco sopra ci lascia immaginare un prosieguo altrettanto scontato, il che sarà pure vero ma fino a un certo punto.
Dopo aver preso confidenza con i soldati che ci accompagneranno da lì in avanti ed assistito allo spettacolare salto nel vuoto, tra fiamme ed esplosioni in aria, Overlord comincia non appena a terra. La Francia è in mano ai nazisti, la missione del caporale Ford (Wyatt Russell) e della sua squadra è quella di distruggere una torre. Di lì a poco, preso riparo a casa di Chloe (Mathilde Ollivier), intraprendente ragazza del luogo, i paracadutati scoprono che qualcosa di strano sta accadendo da quelle parti, e che tutto ciò con la guerra che credevano di combattere ha relativamente a che fare. Boyce (Jovan Adepo), a conti fatti il protagonista in pectore di questa storia, riesce rocambolescamente ad infiltrarsi in una base tedesca, scoprendo che nei suoi sotterranei un medico nazista sta conducendo degli strani esperimenti.
Sta qui il valore aggiunto di Overlord, al di là dell’azione e di un’intuizione che in fondo non c’è, dato che deriva in toto da altre fonti (si è parlato per esempio di Wolfenstein, ma la fantascienza laddove non la distopia applicata ai nazisti non rappresenta certo un’esclusiva). No, Julius Avery, in tal senso corroborato dalla sceneggiatura di Ray e Smith, ha buon gioco nella gestione degli spazi, se non proprio delle location. Un film che si svolge infatti per lo più in due soli ambienti, all’interno dei quali avviene ogni cosa. È raro che un action-horror d’impronta fantascientifica riesca a reggere tali premesse, quantunque poco tempo addietro qualcosa di ancora più “estremo” è stato proposto in 10 Cloverfield Lane, uscendone peraltro piuttosto bene; qui però i presupposti per l’ennesimo clone pretestuoso e confusionario ci sono tutti, senonché tale esito viene sventato.
Overlord si rivela infatti sorprendentemente divertente, anche un po’ spinto per certi versi, considerato che si rivolge al grande pubblico: non mancano infatti alcuni di quelli elementi che da un horror di questo tipo in fondo ti aspetti e vorresti, sia esso un po’ di splatter o il sapersi rapportare in maniera quantomeno dignitosa con la suspense. In relazione a quest’ultimo aspetto, Avery e soci si prendono il loro tempo prima di spiattellarci in faccia la verità alla base dell’intero racconto, anche qui, senza rinunciare alla vocazione principe di questo prodotto, totalmente votata all’intrattenimento.
Non vi sono ragionamenti, né tentativi di sorta anche solo nel provare ad elaborare questa pagina storica, di cui ci si serve solo nella misura in cui offre uno sfondo, un quadro entro il quale calare quest’assurda vicenda che, possiamo pure dirlo senza timore di svelare troppo, fa leva sull’ambizione del Fuhrer circa la durata del suo Reich, l’aspirazione all’Impero millenario. È chiaro che tutto venga palesemente trivializzato, gli stessi tedeschi, a parte uno, ridotti a macchiette, automi manovrati in remoto anziché persone. Però insomma, fa parte del gioco, del patto implicito stipulato all’inizio, per cui nulla di ciò che si vede è verosimile, perciò inutile andare oltre quanto si può e si deve trarre a livello immediato.
Anima da b-movie sotto la scorza da blockbuster blasonato, Overlord tiene botta dall’inizio alla fine, consegnando peraltro alcune scene degne di nota, specie sul finire, a carte oramai scoperte. E si capisce perché si sia fatto riferimento a Wolfenstein e, più vagamente, al linguaggio videoludico in generale: quali che siano i riferimenti più o meno espliciti, è proprio su quel terreno lì che Overlord viene sviluppato, tirato su alla luce di dinamiche che non sono puramente videoludiche bensì di cui i videogiochi si sono appropriati nel corso di quel processo che li ha visti avvicinarsi a certe megaproduzioni hollywoodiane; insomma, è un po’ come se ci si riappropriasse di quanto ceduto in prestito, solo che l’oggetto in questione ha subito alcune modifiche nel corso di questo avanti e indietro.
Il risultato è questo film qui, che, tolta inevitabilmente la componente interattiva, si basa fortemente su tale premessa, non solo e non tanto a livello narrativo, paradossalmente quello più ostico nell’ambito del quale riscontrare certe differenze oggigiorno e limitatamente a certi prodotti, ma, ed è forse l’elemento più interessante, quello che si presta a più profondi margini speculativi; il livello è quello atmosferico, che va percepito subito. Barriera all’ingresso non da poco, se vogliamo, poiché Overlord presuppone una certa familiarità, anche superficiale, con la pletora di sparatutto non solo ambientati nella Seconda Guerra Mondiale, da cui appunto mutua mood e meccaniche, queste sì inerenti a come la trama va dipanandosi.
Operazione su cui in larga parte si riesce tuttavia ad esercitare un certo controllo, ecco perché, pur non potendone cogliere a pieno la portata in base a quanto appena evidenziato, l’unico ragione per non godersi questa giostra è un seppur legittimo pregiudizio verso un genere che va imponendosi sempre di più. Ci si ritrova infatti spesso a ricorrere ad espressioni come «genere nel genere»: succede quando vengono riscontrare delle variazioni, magari appena percettibili, rispetto non tanto a una definizione quanto a ciò che in concreto troviamo in concreto tra le opere.
Overlord non sposta nulla in tal senso, ma prosegue un discorso le cui implicazioni andranno a tempo debito soppesate; esperimenti per lo più di natura commerciale, che magari ci dicono qualcosa (quando la dicono) loro malgrado. Progetti come Overlord, per esempio, partono dal fondato assunto che per una cospicua fetta di consumatori l’intrattenimento non passi più anzitutto dal grande schermo; ecco perché è quest’ultimo a doversi adeguare. Un processo che sta in piedi da almeno un decennio ma che col tempo va sempre più strutturandosi, tanto che certi prodotti cominciano ad acquisire quella credibilità che, limitantamente alle premesse, al loro puntare alla pancia, li rende sempre più accessibili laddove non addirittura apprezzabili.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”4″ layout=”left”]
Overlord (USA, 2018) di Julius Avery. Con Jovan Adepo, Wyatt Russell, Pilou Asbæk, Mathilde Ollivier, John Magaro, Iain De Caestecker, Dominic Applewhite, Bokeem Woodbine, Jacob Anderson, Marc Rissmann e Michael Epp. Nelle nostre sale da giovedì 8 novembre 2018.