Patria: una clip in esclusiva per Blogo
La PATRIA di Felice Farina guarda gli ultimi 30 anni d’Italia dalla torre di una fabbrica che sta per chiudere con la protesta di 3 operai
Il 26 febbraio uscirà nelle nostre sale il film Patria, di Felice Farina, ispirato all’omonimo libro di Enrico Deaglio. Nel cast Francesco Pannofino, Roberto Citran, Carlo Giuseppe Gabardini: tre operai di una piccola fabbrica torinese che chiude e licenzia nel silenzio e nell’indifferenza generale. Oggi vi regaliamo una clip in esclusiva (qui sopra), dove l’argomento delle chiacchierate dei tre uomini è… il calcio. Qui sotto trovate il trailer.
Patria: un film operaio per guardare l’ultimo trentennio italiano
All’orizzonte dell’Italia messa in ginocchio da un sistema economico fallimentare, Felice Farina punta la telecamera sulla torretta di una piccola industria del torinese e i tre operai che la scalano per protesta, per non dire addio a lavoro, certezze e identità, mentre il padrone si prepara a chiuderla per trasferirla dove è più conveniente.
L’operaio destrorso siciliano (Salvatore) Salvo Brogna, interpretato da un arrabbiato Francesco Pannofino, si arrampica sulla torre della fabbrica, per protesta e rabbia, minacciando di buttarsi giu?.
“Sono incazzato di mio e in quanto italiano. Salvo è un uomo semplice, condizionato dai lustrini tv non ha mai approfondito il suo ruolo sociale se non nel momento in cui sta per essere licenziato e perde la donna” – Francesco Pannofino
L’operaio sindacalista Giorgio, interpretato da Roberto Citran, di carattere e fede politica agli antipodi, arriva per salvarlo dalla caduta, dopo aver dovuto condurre le trattative con l’azienda e comunicare l’esito agli altri operai. Lo stesso Citran che continua a scontrarsi con i personaggi di Pannofino, come già in Notturno bus e Scontro di civiltà per un ascensore in piazza Vittorio
“Anche lì ci scontravamo, i litigi ci vengono naturali anche per diversità di carattere. Ma qui i nostri personaggi comunicano alla fine una solidarietà umana da cui ripartire”. – Roberto Citran
Il terzo è il custode ipovedente e autistico Luca, interpretato da Carlo Giuseppe Gabardin, ‘assunto’ come categoria protetta e simbolo degli italiani che non riescono a leggere la realtà, ma scalano eroicamente la torre per far compagnia agli altri.
Tre uomini senza potere con tre diverse prospettive sul mondo che il regista porta sulla torre con tutte le loro emozioni e disperazioni, per ripercorrere un trentennio di vita del paese, di occasioni sprecate, speranze tradite, di crimini e di stragi, di ribaltoni e giochi di potere, da Aldo Moro alle migliaia di morti ammazzati di Palermo, passando per la piazza affollata dalla protesta degli operai licenziati dalla Fiat.
Una notte sulla torre con tre uomini abbandonati da tutti, in attesa di qualcuno (giornalisti) che raccolga la loro protesta disperata, per un viaggio nell’Italia raccontata nelle 900 pagine del libro omonimo di Enrico Deaglio, dalle quali è tratta la sceneggiatura di Farina con Beba Slijepcevich e Luca D’Ascanio, con il montaggio di materiale d’archivio che arriva da RAI TECHE, AAMOD Archivio Audiovisivo del movimento operai, Archivio lotte FIAT Pietro Perotti, Archivio Nazionale Cinema IMPRES, Centro Sperimentale di cinematografia, CRICD Filmoteca regionale siciliana, Telesud Trapani, Ferrovie Italiane dello Stato SPA, Guardia di Finanza, Paolo Micai, Luigi Perollo, Leonardo Tiberi, Radio Radicale, Repubblica TV.
Frammenti di storia fusi con il presente, tradendo le forme del documentario per sperimentare quelle utilizzate da Alain Resnais in Hiroshima mon amour, inseguendo cause e degli effetti che ci hanno portato dal 1978 a questo presente, sull’onda della domanda posta dai protagonisti all’inizio del film. “come siamo finiti così?”
Patria, prodotto da Felice Farina e Edoardo Rumolo per Nina Film, realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte, con il contributo di MIBACT – Direzione generale per il Cinema, dopo la presentazione a Venezia, arriva al cinema distribuito da Luce Cinecittà, dal 26 febbraio 2015.
Note di Regia
Il libro da cui e? nata l’idea del film l’ho comprato appena uscito, citato in un’ennesima serata di discussioni sull’anomalia politica berlusconiana. Le perplessita? si stavano facendo universali, cosi? come la sensazione di un cambiamento ormai irrimediabile; molti riflettevano su cosa fosse successo. Il bisogno di raccontare in qualche modo il Paese si e? condensato d’istinto nelle emozioni della lettura, nel racconto di trent’anni di turbinosi cambiamenti che cercano di rispondere alla domanda che i due protagonisti si pongono all’inizio del film: “come siamo finiti cosi??”. Un arco di tempo cosi? denso di fatti importanti non si puo? raccontare nel tempo di un film: questo era l’ostacolo da superare. Ho tradito le forme del documentario con un esperimento, inseguendo la memoria di un film amato, che e? Hiroshima mon amour di Resnais: quel modo di legare i frammenti di repertorio allo svolgersi di un racconto presente, quel fonderli in una sola cosa sincronizzando le emozioni della Storia a quelle dell’azione scenica. Il risultato e? indefinito, come indefinito e? l’oceano di ombre e luci della memoria. Durante il montaggio abbiamo scelto di affidarci sempre piu? a questo movimento, evitando di attribuire ai personaggi ricordi o evocazioni, e ricercando invece le emozioni possibili perche? fossero queste ultime a rivelare il racconto.
Felice Farina
Galleria fotografica
PATRIA – Una nota di Enrico Deaglio
Io mi sento onorato da questo film, in particolare perche? sono l’autore del libro da cui e? tratto. “Patria” lo scrissi in un anno, chiuso in casa con milioni di sigarette, e il conforto di Andrea Gentile a scrivere le note, a trovare le fonti, a dare gli spunti essenziali. Il titolo era imponente e provocatorio – Patria – e aveva l’ambizione di parlare di quello che era successo all’Italia negli ultimi trent’anni.
Il testo era una collezione di notizie, fatti, discorsi, statistiche, con la trovata di metterli tutti al tempo presente, come si fa nei film. “Un tipo entra in un bar… Un ragazzo entra con una borsa in una stazione affollata … Un banchiere vede entrare nella sua stanza d’albergo a Londra due strane figure e poi non ricorda piu? niente … Un giudice a Palermo parla dell’amore per la sua citta?, nel suo ultimo discorso pubblico prima di saltare in aria….”. L’Italia (la patria, il paese piu? bello del mondo, oppure ‘sto cazzo di posto in cui viviamo e che non cambiera? mai’, a seconda degli stati d’animo) e? stata tutto questo e mi era venuto in mente di avvertire il lettore: “e? come un film di carta”, pero? non e? come quei film americani dove c’e? un po’ di kiss kiss e un po’ di bang bang. Qui c’e? troppo bang bang, troppa violenza, troppa disperazione. Ed e? anche un po’ l’eco delle parole di Primo Levi, “racconteremo ma non saremo creduti”.
Io non avevo la piu? pallida idea pero? di come tutto questo potesse diventare un film. E? come fare un film da un dizionario o da una guida del telefono. Oppure bisognerebbe avere grandissimi mezzi e attori, locations, costumi, comparse, budget illimitati e trasformare tutta l’Italia in un teatro, far rivivere Aldo Moro e i ragazzi che lo uccisero, le masse degli operai licenziati dalla Fiat, le migliaia di morti ammazzati di Palermo. E come si fa? Sarebbe come in quel raccontino di Borges in cui si sviluppa talmente l’arte della cartografia, che la mappa di una regione copre una provincia; sarebbe come in quell’altro racconto di Borges dove un uomo dalla memoria prodigiosa ci mette un giorno intero a ricostruire il giorno precedente…
Io mi ero limitato a dare un clima generale, di quello che era successo in Italia e lo avevo preso da un altro libro disperato, il “Sotto il vulcano” di Malcolm Lowry, dove il protagonista entra in un giardino dove ci sono oggetti di lavoro che gli sembrano sinistri, appoggiati al muro insieme a un cartello: “Le gusta este jardin? Que es sujo? Evite que sus hijos lo destruyan”. E poi lo scrittore aveva scritto: “parole semplici, parole semplici e terribili… parole che non producevano comunque altra emozione di un sentimento freddo ed incolore, una bianca agonia, un gelo di agonia…”
Felice Farina ha fatto uno splendido lavoro sulla disperazione italiana – ha fatto un film “popolare italiano”, come non se ne facevano piu? da parecchio tempo. Altro grande pregio: l’ha fatto con pochi soldi.
Mi piace quella torre paurosa e monumentale, con la mia citta? sotto. Salire in alto per guardare, come fanno i suicidi; com’e? l’ultima visione degli impiccati.
Mi piace molto la sceneggiatura, i dialoghi, le facce degli attori. Mi piace che la sceneggiatura sia stata scritta da una giovane donna serba. Il montaggio di Esmeralda Calabria e? strepitoso. Perche? “strepitoso”? Perche? ha rotto la barriera tra fiction e repertorio, trasformando la realta? in un sogno e gli avvenimenti reali come quelle immagini che nei sogni veri appaiono come oggetti che risalgono in superficie o poi riscendono come nei gorghi, senza svelarsi completamente, oppure solo per poco tempo, senza parole, nel silenzio. Il film e? onirico, le immagini fluttuano, ripetendo l’esperienza che tutto il mondo ha avuto: stare per giorni, per settimane, per mesi di fronte alla televisione a vedere l’aereo che entra nella torre, e poi il secondo, e poi la nuvola di terra, e poi gli uomini e le donne che cadono dalle finestre, e poi di nuovo l’aereo, in un loop continuo, senza audio, ipnotizzante; il film e? il sogno della nostra storia, visto dall’alto. Comunica vertigini.
Per fortuna i nostri tre compagni di strada, di vita, di stabilimento, alla fine non muoiono.
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