Piero Tosi, detto Pierino, premiato con l’Oscar alla carriera come costumista principe, non andrà a Los Angeles
Ce ne fossero! Tosi, grande artista che ha lavorato con grandi registi e dive famosi, era riservato, bravo e generoso, una rarità nel nostro cinema
Il 16 novembre prossimo a Los Angeles daranno l’Oscar alla carriera a Piero Tosi, uno dei più talentuosi costumisti italiani che siano esistiti. Ma Tosi non andrà. Ha 86 anni e non ha mai preso un aereo, ma soprattutto dice di essere incapace di sopportare la festa hollywoodiana così lontana dalle sue caratteristiche e dai suoi gusti. Ho avuto occasione di conoscere e frequentare Tosi detto anche Pierino quando stavo collaborando con Liliana Cavani per la sceneggiatura de Il portiere di notte, il grande film che guadagna stima col passare del tempo. Un film ormai classico e sempre visto con attenzione in una forte tensione emotiva (la storia di un amore tra un ufficiale nazista e una ragazza chiusa in campo di concentramento; i nazisti che sono una setta che intende sopravvivere e tramare; la paciosa e inquieta città di Vienna, suggestiva e livida).
Tosi ha fatto per quel film costumi meravigliosi. E scandalosi, lui che non ama e non amava dare scandalo. Ricordate? Una giovane Charlotte Rampling, magra e morbida (si disse che era incinta mentre girava a Roma), con le bretelle sul petto nudo, con il cappello e i pantaloni di una divisa nazista. Un’immagine, un manifesto che è diventato famoso.
Tosi aveva studiato a Firenze grafica ma i suoi occhi correvano, volavano inquieti verso l’arte, la bellezza. Verso la pittura di Ottone Rosai, l’artista con cui ebbe, lui stesso lo sottolinea in un’intervista, conversazioni illuminanti al Caffè Giubbe Rosse, il ritrovo di intellettuali e artisti. Verso Franco Zeffirelli, che aveva fatto i costumi di La terra trema di Luchino Visconti, di cui divenne amico, e da cui fu aiutato per entrare nella compagnia di Visconti per un memorabile “Troilo e Cressida” al fiorentino Giardino di Boboli. Poi ci fu il trasferimento a Roma, quando stavano arrivando gli anni Cinquanta. E Tosi andò ad abitare con un gruppo di amici toscani (Mauro Bolognini, lo stilista Umberto Tirelli) in una via del centro. Mi raccontò di una città meravigliosa, aperta, vivibile, affascinante.
Lo ascoltavo mentre con le parole dipingeva tavolozze di ritratti per quella era stata la Roma di Roberto Rossellini e di Anna Magnani, poi di Sophia Loren (“una ragazzaccia napoletana, di grande serietà sul lavoro”) e di Maria Callas (i costumi del soprano in Medea di Pasolini sono indimenticabili); ancora, di Claudia Cardinale, il cui abito da ballo nella scena del “Gattopardo” è indimenticabile, tra grazia e sensualità.
Mi propongo di scrivere una storia su Piero Tosi. Ci penso da tempo. Spiego: è il solo a raccontare il cinema, il teatro, la musica dal punto di vista di un lavoro vero e concreto. Mi colpì molto quando disse che il problema del nostro cinema quando propone i costumi è che non riesce a comporre pettinature credibili per le donne e per gli uomini. Il valore del dettaglio, del colpo d’occhio, della bellezza definita, non approssimativa. Da quel momento in poi, cominciai a fare confronti tra i film da lui seguiti e quelli di altri. La differenza mi balzò agli occhi immediata. Provate anche voi a fare i confronti. Vi renderete conto come lo sguardo di un costumista bravo riesca a trarre dai quadri quella ispirazione che poi trasferisce nella sua creazione. Com’è, come dev’essere nel cinema che ha occhi nel passato e occhi che sanno tradurre la contemporaneità. Concludo con una speranza: che gli facciano una vera festa a Roma, dopo che avrà ricevuto la sua statuetta da chi la ritirerà a Hollywood; e che la festa sia pensata con gusto, misura, eleganza. Tre parole che abbiamo sepolto.