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Prometheus – di Ridley Scott: la recensione

Scopri “Prometheus” la trama, il trailer e le recensioni, leggi le critiche riservate al film di Ridley Scott fra sostenitori e detrattori.

pubblicato 16 Settembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 22:58

Prometheus è uscito nei cinema l’altro giorno, venerdì 14 settembre. L’avete visto tutti? Per l’occasione vi riproponiamo la recensione che avevamo pubblicato ad agosto (in anteprima) in modo da discutere con voi del film. Vi è piaciuto? Troppo confuso? Vi ha soddisfatto o deluso? Parliamone, scrivete nei commenti!

Nel 2089, i ricercatori Shaw e Holloway scoprono alcuni graffiti in una grotta nell’isola di Skye, in Scozia. Vi sono raffigurate alcune creature umanoidi che indicano una costellazione: per i due è un chiaro indizio sull’origine della razza umana. Due anni più tardi Shaw e Holloway si svegliano sul Prometheus, un’astronave della Weyland Industries: la missione è quella di arrivare in un preciso pianeta di quella costellazione, LV-223… Ma il viaggio metterà alla prova i limiti fisici e mentali dei componenti del gruppo, e li porterà in un mondo lontano, dove scopriranno le risposte alle domande più profonde dell’uomo e al mistero ultimo della vita.

L’incipit di Prometheus, con il suo meraviglioso panorama scozzese, è di quelli che non si dimenticano, e che tuttavia possono già insinuare dubbi sul tipo dell’operazione. Una creatura umanoide gigantesca, un Ingegnere, beve un linquido nero e letteralmente si disintegra. Un sacrificio? Una metafora? Un rimando ai miti greci? Bisogna ovviamente continuare a vedere il film, che getta domande su domande, questioni su questioni, quasi senza soluzione di continuità.

Ridley Scott torna al genere che ha contribuito a definire“, ci vanno ripetendo da mesi. Però non si tratta mica di una bugia, anzi. Siamo convinti di aver perso il buon Ridley già da un po’ di tempo, ma nessuno potrà mai mettere in dubbio l’importanza di questo regista un tempo fenomenale e unico, capace seriamente di riscrivere le coordinate della mappa dell’universo cinematografico sci-fi. Solo per Alien e (soprattutto, per chi scrive) Blade Runner, Ridley Scott si merita rispetto a vita: nonostante Hannibal, Un’ottima annata, Nessuna verità o Robin Hood.


Allo stesso tempo, pare diventata un po’ a pilota automatico quella fetta di critica che guarda ad ogni suo film come l’ennesima opera di un autore perso in progetti che non gli appartengono, o ai quali non riesce a dare un’impronta personale e convincente. Non sarebbe male, invece, leggere Prometheus per quello che è: un film dalla base contraddittoria, pasticciata, forse pretenziosa, al quale però un regista che sembrava davvero perso per sempre riesce ad imprimere un’impronta molto affascinante. Perché sì: Ridley Scott è semplicemente fatto per la fantascienza, con buona pace dei detrattori.

Il problema di Prometheus si chiama solo in un modo: Hollywood. La mecca del cinema non è più il posto dove creare sogni ed incubi capaci di influenzare l’immaginario collettivo: perché domina ormai il concetto di franchise, quindi del riciclo. Ad esso si accompagna il concetto, ormai “vecchio” di qualche annetto, ma in realtà assai recente nel panorama cinematografico, di reboot. Volendo andare più a fondo, il problema di Prometheus non starebbe nemmeno qui: l’idea di Scott, onestamente intrigante, era quella di ricostruire un nuovo immaginario su quello generato dal suo primo Alien.

Il problema alla base dello script di Prometheus (perché le colpe vanno cercate qui) è un altro, e si chiama serializzazione. Il termine viene dal mondo della tv, e richiama i serial che, per molti, sono uno dei pochi luoghi virtuali dove trovare la qualità rimasta nelle produzioni statunitensi. Si tratta di prodotti professionali ed avvincenti, ma il punto non è neanche questo: conta però parecchio, invece, come i telefilm abbiano ormai influenzato in modo ferreo l’immaginario dello spettatore, e quindi di conseguenza il modello produttivo di Hollywood stesso. Che ormai si lancia su remake e reboot, in attesa degli scontati sequel e prequel, per (ri)lanciare saghe celebri.

La sceneggiatura di Damon Lindelof ragiona in questo modo: tratta la materia di un film come fosse quella di un serial. Ma uno degli scarti tra cinema e tv sta proprio qui, però l’autore della sceneggiatura di Lost pare invece non averlo capito. Così Lindelof si pone domande esistenziali più grandi dell’uomo, senza avere i mezzi (e il tempo materiale?) per poter sviluppare in modo adeguato le risposte. Il problema è che Prometheus non avvolge le sue questioni etiche di quell’ambiguità ermetica tipica del genere, ma vuole rispondere a queste questioni (!): ma forse, per avere le risposte, bisognerà aspettare il secondo episodio, se non il terzo (!!). Capita l’antifona?


Come si giustifica altrimenti la presenza di Guy Pearce nei panni del signor Weyland, con ridicolo trucco da anziano, che non si vede “da giovane” manco in un frame? Va bene, ci sono i filmati virali antecedenti all’uscita del film, ma sinceramente chi se ne importa. La puzza di “necessità di un sequel” a tutti i costi, in Prometheus, si sente lungo tutta la seconda parte, quando il castello di Lindelof inizia a sgretolarsi. Concentrandosi poi sul meccanismo della serializzazione a tutti i costi, Lindelof rischia perennemente di dimenticarsi dei propri personaggi: e spesso ci “riesce”.

Gli elementi per affondare Prometheus ci sarebbero quindi tutti: e non aiuta di certo la Shaw di Noomi Rapace, la protagonista “erede” della Ripley di Sigourney Weaver, la quale, durante questo viaggio ai confini dell’universo che assume il carattere di una ricerca esistenziale, filosofica e persino religiosa, tiene in mano la sua croce e dice che “è quello in cui ho scelto di credere”. Però Prometheus ci sembra comunque, dopotutto, un film da difendere, perché dimostra che una regia importante su uno script debole può fare davvero la differenza.

Come hanno già sottolineato alcune personalità del panorama americano cinematografico (e non) che si sono sentite di prendere una posizione nettamente positiva verso il film, da Roger Ebert a Bret Easton Ellis, quando c’è un’atmosfera del genere come quella di Prometheus, buchi di sceneggiatura e scemenze varie contano quel che contano. Ridley Scott conferma che, con uno script diverso e (chissà?) anche con scelte registiche precedenti diverse, potrebbe essere ancora lui una delle voci fondamentali del genere fantascientifico americano odierno.

Scott, nonostante sia passata l’epoca in cui ci si poteva sbizzarrire con una certa libertà, si prende comunque tutti i suoi rischi. Perché se è vero che le questioni che il film tratta sono sviluppate in fase di sceneggiatura con mano un po’ pesante e dalla metafora facile, Prometheus è sci-fi seria, che non perde di vista il nucleo del genere e continua a porsi domande: sulla necessità di avere una guida e sullo scontro con i padri, sulla creazione e, quindi, sulla natura umana. E non è detto che tutte le “risposte” siano alla fin fine consolatorie.


Restano in mente, in questo senso, i personaggi di Meredith Vickers e soprattutto dell’androide David, a dimostrazione che sono i personaggi che non cercano le risposte all’ambiguità, ma che sono già ambigui “per natura”, ad essere i più interessanti. La prima è la tostissima, fredda ed incattivita funzionaria delle industrie Weyland a capo della spedizione: un personaggio perfetto per Ridley Scott, ma alla quale comunque non è stato dato tutto lo spazio necessario (e la sua “ultima scena” urla vendetta). Meglio, quindi, l’androide di Michael Fassbender: un personaggio curioso, intraprendente, perfetto, e per questo “pericoloso”, ed interpretato in modo sublime.

La sua “prima scena”, con il suo girovagare per il Prometheus, è da maestri. Molte delle sue azioni e molti dei suoi dialoghi sono tra le cose migliori del film. Basta sentire il dialogo che ha con Holloway, deluso dopo aver scoperto che gli Ingegneri ritrovati durante la prima esplorazione nelle caverne sono morti: “Quello che speravamo era incontrare i nostri creatori, per sapere innanzitutto il perché ci hanno creato”, “Perché tu credi la tua gente abbia creato me?”, “Lo abbiamo fatto perché abbiamo potuto”, “Puoi immaginare quanto sarebbe deludente per te sentire la stessa cosa pronunciata dal tuo creatore?”.

Scott si prende il rischio anche di confenzionare un prodotto R e non PG-13, e si dimostra ancora cattivo, disposto a macchiarsi le mani di fluidi e sangue, di creare raccapriccio nel pubblico con ossa spezzate e occhi in cui c’è qualcosa che non va. Senza paura. Così facendo, riesce anche a creare una scena da manuale che SPOILER vede Shaw alle prese con… un’inattesa gravidanza. La sua auto-operazione di un cesareo in quella straordinaria cabina chirurgica crea addirittura un bel precedente… FINE SPOILER.

Prometheus è anche indubbiamente un’opera a livello visivo potentissima, in cui gli effetti speciali sono tutti necessari alla costruzione di quell’atmosfera cupa ed intrigante che permette al suo regista di sollevare il film da terra. Non è il capolavoro che molti volevano (troppe sciocchezze in sceneggiatura, troppi personaggi che si comportano come non avessero mai visto un film in vita loro), ma il livore versatogli addosso lascia un po’ perplessi.

Come se, tra l’altro, nessuno si ricordasse nemmeno come furono accolti all’epoca Alien e Blade Runner. Dubitiamo che Prometheus possa avere un simile destino, con tutti i detrattori pronti a fare mea culpa tra una decina di anni: però, chissà… Se non siamo nemmeno capaci di dare ad un film come Prometheus almeno il beneficio del dubbio, a chi lo si vuole dare?

Voto di Gabriele: 7
Voto di Federico: 7+
Voto di Carla: 7
Voto di Simona: 6,5

Prometheus (id., USA, 2012, Fantascienza) di Ridley Scott; con Noomi Rapace, Michael Fassbender, Charlize Theron, Idris Elba, Ben Foster, Guy Pearce, Logan Marshall-Green, Kate Dickie, Sean Harris, Rafe Spall, Patrick Wilson. Qui il trailer italiano. Uscita in sala il 14 settembre.