Quando il cinema si insinua nella tv, e la seduce: “Il paese mancato” e “Lapsus”
Le tv stanno lavorando da anni, apertamente, senza remore, a sostituire il cinema; ce la possono fare?
Un tema che sfugge all’attenzione di molti, se non di tutti, è quella delle segrete cose che stanno capitando nascostamente tra cinema e tv. Ma non si tratta della trasmissione di film nei vari canali. Si tratta della reciproca influenza. Le televisioni con le fiction e i telefilm tendono a stabilire un’egemonia nei fatti che si vanno consolidando, per le tante ore che sfornano e per il numero degli spettatori che raccolgono. E’ qualcosa che non vediamo, a cui ci stiamo rassegnando, anche se sempre più spesso siamo meno contenti sia della fiction o dei telefilm, ormai omogeneizzati dal modello americano o inglese (sia pure meno sicuro di qualche anno fa).
Per quanto mi riguarda, spero che il cinema non rinunci, lavorando e inventando, al suo ruolo di guida dei linguaggi e dell’estetica visiva, usando le possibilità infinite dell’elettronica che abbassa i costi e consente una nuova fase sperimentale. Sono convinto che la televisione, le televisioni, abbiano bisogno di fare come non mai i conti con il cinema, il suo patrimonio. Propongo due esempi per i quali, senza la conoscenza e il gusto per il cinema, i risultati di racconto, di stile e di drammaturgia non sarebbero stati possibili.
Mi riferisco a due miei film per la tv, presentati in sedi di cinema, varie proiezioni, festival, scuole di cinema, cineteche: Il paese mancato (2005) di cui ho realizzato la regia, scrivendo la sceneggiatura con Guido Crainz, autore del libro dal titolo omonimo; Lapsus (1983) in cui sono stato autore, partendo dalle immagini di Renzo Costantini, per un film, trasmesso dalla televisione, che continua a circolare in Italia e all’estero, dedicato alla poesia e alle sue immagini.
Il paese mancato racconta la storia di trent’anni- dagli inizi degli anni Sessanta agli anni Ottanta, attraverso il decennio dei Settanta carico di tensioni, speranze, tragedie- secondo una scelta precisa: presentare i cambiamenti della società italiana in cammino verso i 150 anni dell’Unità del 2011, in un intreccio nuovo e appassionante , capace di suscitare memorie e riflessione, e nello stesso tempo di fare uno spettacolo vivace e rigoroso, con documenti inediti o poco conosciuti . Ne hanno tenuto conto i selezionatori della grande mostra dedicata ai Sessant’anni della tv (e i Novanta della Radio) che la Rai presenterà dal 31 gennaio al Vittoriano di Roma. “Il paese mancato” viene presentato con immagini tv rilette con un montaggio e un taglio cinematografico, recuperando i documenti ad una estetica ispirata alla qualità del cinema, ai suoi contenuti e soprattutto alle forme dei grandi autori, italiani e stranieri. La vera ricchezza non viene solo della tradizione ma scaturisce dal divenire delle immagini che si impegnano a narrare, sulla base delle innovazioni che si inseguono negli anni, e della storia che percorre. E’ il cinema con i grandi autori (Visconti, Fellini, Pasolini) a presentare il “miracolo economico” che assume una portata significativa quando la Rai ha da poco iniziato le sue trasmissioni (1954) e che diventerà sempre più importante, fino alla esplosione clamorosa e significativa del ’68 e al periodo successivo in cui l’Italia si è lasciata alle spalle la contestazione, e ha vissuto gli anni di piombo, gli scandali e le tensioni, l’assassinio di Moro, la ricerca di soluzioni politiche all’altezza delle situazione in continuo mutamento, fino all’esplosione delle televisioni private. E’ il cinema sostanzialmente, con apertura di soluzioni, che orienta con i film le vicende e la lettura di quel periodo. “Il paese mancato “ è un viaggio che presenta i fatti attraverso l’eco e il gusto del cinema per recuperare i documenti diretti e poco conosciuti ricavati soprattutto dagli archivi della Rai; e la citazione di programmi tv e di canzoni che hanno scandito i fatti stessi, contribuendo a restituire la temperatura di un lungo periodo carico di sorprese e di emozioni, che ha segnato la vita e le speranze del paese, coinvolgendo diverse generazioni, comprese quelle che non l’hanno vissuto e s’interrogano su di esso.
Lapsus, l’altro film, aveva cominciato, prima e tuttavia come “Il paese mancato”, a farsi ispirare e a prendere dal cinema e dai film gli indirizzi appartenenti ad una rappresentazione della realtà, sogni, illusioni della realtà, in modo che costituiscano nello stesso tempo il presente delle riprese e il futuro modulato dalle scelte libere degli autori, non degli schemi delle tv o dei media. “Lapsus” rappresenta i fervori, le meraviglie, le sorprese e le scoperte, anche le “follie” di una lunga stagione che provoca, interesse, suscita ancora emozioni. Documenta il Festival internazionale dei poeti a Piazza di Siena, Roma, dopo quello “mitico” di Castelporziano. Una serie di recital, concerti, performance affollatissime, ma anche toccanti, profonde, improvvisate o arruffate, che vedono alternarsi sul palco poeti noti e meno noti. Dario Bellezza e Josif Brodskij, Giulia Nicolai e Iolanda Insana, Renzo Paris, Allen Ginsberg, Arrigo Lora-Totino, Giovanni Giudici, Fernando Birri, Sebastiano Vassalli; e altri, misteriosi, anonimi, poeti. Il filo conduttore è affidato al commento illuminante- voce in campo e fuori campo- del poeta Andrea Zanzotto e al racconto, il reportage di Stefania Maggio, giovanissima “viandante” dei grandi raduni dell’epoca, come quelli del Parco Lambro a Milano documentati con foto e filmati da Alberto Grifi. Il film racconta gli anni Settanta e sconfina nel successivo decennio. Roma aveva vissuto, come altre parti d’Italia, quegli anni, detti anni di piombo culminati nel sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro. Per reagire, togliere ansia e angoscia, la capitale visse un periodo di ricerca di vitalità con l’Estate Romana, in cui il ritorno alla poesia fu sostenuto dai poeti della beat-generazione e dai giovani poeti italiani; il cinema e la musica furono le forme e le proposte di attenuare il buio delle notti e dei giorni. Un stagione irripetibile. “Lapsus” la documenta, raccontando e intrecciando i colpi di scena, le musiche, le parole piene e le mezze parole di chi cercava, tra scrittori e artisti, di rappresentare il bisogno di uscire dal pesante clima che derivava dalla paura che abitava le città, non solo Roma. Il commento di Moscati: “Una esperienza, quella di ‘Lapsus’, che è stata riscoperta di recente, da persone che ricordavano il film, e non avevano dimenticavano quegli anni violenti, enigmatici, vitalissimi nel rock e del cinema. Il film suscitò le polemiche violente che su accesero dopo la trasmissione tv a tarda ora. Fu una battaglia negli anni in cui le avanguardie del cinema,dell’arte, del teatro furono avversate, messe in crisi, usate e manipolate; mentre continuava a svilupparsi una vitalità oggi guardata con grande stupore e non soltanto un interesse molto spesso improvvisato, ma aumentava il coinvolgimento convinto di tanti, tantissimi, intanto si profilavano i fatti di terrorismo e di progressive difficoltà della politica ma anche della cultura nel nostro Paese che ra sono arrivati fino ad oggi, tra delusioni e rabbie nuove, mentre manca la voce della poesia”. Il film colleziona e presenta lapsus significativi, che mancano, lapsus che fanno muovono emozioni e pensieri, nel ri-vedere, nel ri-ascoltare. “Lapsus” verrà proiettato il 7 febbraio a Venezia, all’Ateneo Veneto nel pomeriggio.