Quanti Pasolini e Fellini: il bisogno di credere in qualcuno di degno spinge il cinema italiano a rivangare…
I tamburi rullano i nomi di grandi artisti, grandi registi, mentre si attendono i film delle generazioni degli anni 2000
Non si fa molta fatica. Basta guardarsi intorno. I tamburi suonano non tam tam bensì parole, nomi, nomi e cognomi. Di Pier Paolo Pasolini e adesso, nell’anno della morte vent’anni fa e dell’Oscar alla carriera sempre vent’anni fa, di Federico Fellini. Di Fellini e della sua “Dolce vita” si parla in lungo e in largo a proposito del film di Paolo Sorrentino La grande bellezza che sta andando al Festival di Cannes, una sorta di dolce vita vicina a noi.
Di Pasolini si parla per via di un nuovo film “Sesso in Italia” di Italo Spinelli, ispirato, sulle orme di “Comizi d’amore” che il regista di “Accattone” (1961) girò nel 1963, una indagine sui comportamenti e le arretratezze del costume sui temi dell’amore e dell’eros. Ma di lui si parla in un ennesimo libro intitolato “Frocio e basta” di Carla Benedetti e Giovanni Giovannetti, preparazione sulla morte del regista-poeta, i segreti, le illazioni, il complotto.
Giornali, riviste, tv, siti internet grondano. Lacrime asciutte, lacrime dentro che cercano una grondaia sfondata. Cercano frasi, foto, righe, notiziole, versi preziosi, sequenze, dicerie. Tutti coloro che lacrimano e anche noi che ci facciamo forza, siamo trascinati dalla corrente. Ci fa specie. Siamo abituati a far i cuori duri di coloro che sono ipocriti, scafati, schizzati. Al punto tale che non ci accorgiamo di saltare in blocco i film di PPP e di Federico l’Imperatore di Amarcord, e andiamo dritti alla ricerca del dettaglio, del frammento, della briciola che ci è rimasta in circolo nelle vene riarse dalle delusioni. D’ogni tipo.
E’ l’amore per il pulito sporco che ci piace. Il frocio PPP dalla voce d’angelo nelle conferenze stampa; o dalla voce luciferina quando i suoi colleghi registi lo attaccavano perché voleva andare alla Mostra di Venezia con “Teorema”, contro la volontà degli stessi ostinati colleghi autori che glielo vietavano in nome della contestazione del direttore Chiarini, frullato dalla sorpresa e dalla delusione, lui di sinistra scaricato dalla sinistra.
E’ l’amore per la doppiezza di Federik del sex: culone, tettone, sui sellini delle biciclette, nelle tabaccherie romagnole, nei casini di tutta Italia; la parte nuda del Paese ma senza le maschere come preservativi della gente della politica. E poi donne eteree come Anouk Aimè, donne levigate come Valeria Ciangottini nel finale della Dolce Vita, asciutte come eleganti baccalà come Rossella Falk in Otto e mezzo. Il pulito sporco- raccontare bene, con passione e con dolore gli ambigui che siamo. Ecco il vero mestiere degli artisti. Quelli veri, quelli che non vogliamo resuscitare ma capirli meglio come credevamo. I veri artisti si scoprono un prima e un dopo.
E adesso? Scopriremo un prima e un dopo anche per i registi, italiani, che pure provano a staccarsi dalla sterile stagione dell’impegno politico, dalla retorica della sinistra che non riesce neanche più a guadarsi nello specchio delle sue brame? Chissà. Il prima ci basta, anche se fa piccoli numero, sono pochi, pochini e sopravvivono per vivere. I film stentati dei giovani e meno giovani alla palla al piede della riverenza alla politica come unica forma del mondo, e il cinema e l’arte ci hanno dimostrato che non è così, la politica muore e la cultura, l’arte vivono, e parlano anche quando sono monumenti di pietra. Mi proverò a fare qualche titolo di questi film che uno sforzo lo fanno comunque: non sbandierano, non gridano slogan. Il seguito alla prossima puntata. Suspense.