Rebel Moon – Parte 1: La figlia del fuoco, recensione: fantascienza e azione all’insegna del puro intrattenimento “pop”
La recensione di Cineblog dell’epica avventura d’azione e fantascienza di Zack Snyder disponibile su Netflix dal 22 dicembre.
Rebel Moon – Parte 1: figlia del fuoco ha fatto il suo debutto su Netflix e si è aperta la caccia a Zack Snyder, con la critica pronta ad impallinare l’odiato cineasta americano. Odiato quasi quanto Michael Bay, Snyder oltre che colpevole nel suo puntare sempre e comunque all’intrattenimento duro e puro, ha subito anche l’onta di aver perso con il suo “DC Extended Universe” la battaglia a colpi di supereroi contro il “Marvel Cinematic Universe”. Ricordiamo il suo abbandono del film Justice League, rimpiazzato da Joss Whedon che con lo studio rimaneggiò stravolgendola la visione di Snyder, ma anche il suo trionfante ritorno, richiesto a gran voce dai fan, con la sua versione “Snyder Cut” del film, un gioiello cupissimo lontano anni luce dalla gigiona versione “marvelizzata” di Whedon.
Dopo un atterraggio di fortuna su una luna ai confini dell’universo, la forestiera dal passato misterioso Kora (Sofia Boutella) inizia una nuova vita in un tranquillo insediamento di agricoltori. Presto diventa l’unica speranza di sopravvivenza della comunità quando il tirannico Reggente Balisarius (Fra Fee) e il suo crudele emissario, l’Ammiraglio Noble (Ed Skrein) scoprono che i contadini hanno inconsapevolmente venduto i raccolti ai Bloodaxe (Cleopatra Coleman e Ray Fisher), leader di un agguerrito gruppo di insorti perseguitati dal Mondo Madre. Insieme a Gunnar (Michiel Huisman), un contadino dal cuore tenero che non conosce la realtà della guerra, Kora parte in missione alla ricerca di combattenti disposti a rischiare la vita per difendere il popolo di Veldt. Viaggiando in mondi diversi alla ricerca dei Bloodaxe, i due radunano una manciata di guerrieri accomunati dal bisogno di redimersi: il pilota e mercenario Kai (Charlie Hunnam), il leggendario comandante Generale Titus (Djimon Hounsou), la maestra di spada Nemesis (Doona Bae), il prigioniero dal passato regale Tarak (Staz Nair) e il combattente della resistenza Milius (E. Duffy). Jimmy (doppiato da Anthony Hopkins nella versione originale), un antico protettore meccanizzato nascosto dietro le quinte, si risveglia su Veldt con un nuovo scopo. Ma i neorivoluzionari devono imparare a fidarsi l’uno dell’altro e a combattere insieme prima che gli eserciti del Mondo Madre arrivino a distruggerli tutti.
Zack Snyder, Star Wars e Akira Kurosawa
“Rebel Moon – Parte 1: La figlia del fuoco”, nasce come progetto respinto da Lucasfilm per un film di Star Wars, poi rielaborato come serie tv e infine rimaneggiato in una “space opera” in due parti. Il film vedeprotagonista Sofia Boutella, che molti ricorderanno come killer in Kingsman – Secret Service e principessa egiziana nel reboot La Mummia al fianco di Tom Cruise. Il film di Snyder è un mash-up che trae ispirazione da ogni dove, a partire dal classico I Sette Samurai di Akira Kurosawa, che a suo tempo ispirò anche il classico western I magnifici sette.
Che “Rebel Moon – Parte 1: La figlia del fuoco” sia nato come film di Star Wars è palese in quasi ogni sequenza. Su schermo ci sono la Cantina con gli alieni, le spade laser e Charlie Hunnam che interpreta un mix di Han Solo e Lando Calrissian. Ricordiamo anche un cattivissimo Ed Skrein, un generale “nazisteggiante” in stile Primo Ordine che sortisce un destino simile a quello di un Darth Vader resuscitato. Insomma per quanto rimaneggiato il copione presenta corpose tracce della saga di Lucasfilm, ma se dobbiamo essere sinceri questo non inficia affatto la bontà dell’operazione. Grazie a sontuose sequenze a base di effetti speciali che avrebbero meritato il grande schermo a supporto di una storia semplice e funzionale, la visione fila liscia come l’olio e arriva ai titoli di coda senza difficoltà, lasciando spazio per una graditissima seconda portata.
Rebel Moon e l’immaginario fanta-pop cinematografico
Certo l’immaginario di Snyder abbraccia la fantascienza di sempre e sembra di fatto un trattato di cultura pop. Oltre a Star Wars potremmo citare echi di Dune, l’ambientazione western della serie tv Firefly, l’estetica Dieselpunk dell’Imperium, l’epica di Avatar. Snyder ha anche citato Conan il barbaro, l’Excalibur di Boorman, Il Quinto Elemento, La fortezza nascosta di Kurosawa e il film d’animazione Heavy Metal.
“Rebel Moon – Parte 1: La figlia del fuoco” abbraccia cotanto immaginifico perché nasce come idea quando Snyder era ancora uno studente a Pasadena alla fine degli anni ’80. Incaricato di creare una presentazione di una sola riga, Snyder optò per “Quella sporca dozzina nello spazio” con pistole laser e astronavi al posto di armi e velivoli della seconda guerra mondiale. quell’idea è poi rimasta inerte per decenni, con Snyder che nel frattempo metteva mano al genere “zombie” con il suo remake L’alba dei morti viventi. Adatterà poi due fumetti di culto, 300 di Frank Miller e Watchmen di Alan Moore, finendo poi a flirtare con l’immaginario dei videogiochi e degli anime con Sucker Punch, un imperfetto tripudio per gli occhi dall’enorme potenziale.
Appare evidente che non ci accodiamo agli haters di Snyder e difendiamo “Rebel Moon – Parte 1: La figlia del fuoco” a spada tratta per ciò che è, del godibile intrattenimento “pop”. Non lo facciamo però per partito preso, ma perché non vogliamo si ripetano strafalcioni come il John Carter della Disney, uno dei flop più immeritati della storia del cinema di fantascienza. In questo caso c’è il formato “streaming” a dare una mano e visibilità al lavoro di Snyder & Co.. Speriamo che ciò renda giustizia alla creatività di così tante persone che rischia di venire ingiustamente stroncata con qualche riga e la consueta aria di sufficienza.