Risate di Gioia torna al cinema in versione restaurata
Risate di Gioia di Monicelli torna al cinema in versione restaurata, con Anna Magnani, Totò, Ben Gazzara e la Roma degli anni’60, durante la notte di Capodanno, con un brillante e amaro anti-cinepanettone del Cinema Ritrovato.
A pochi giorni da un nuovo capodanno, torno a quello romano degli anni ’60, protagonista delle Risate di gioia scritte da Alberto Moravia e dirette da Mario Monicelli, approfittando della versione restaurata del film, di nuovo al cinema in prima visione dal 9 dicembre 2013.
Un classico del Cinema Ritrovato, restaurato nel 2013 dalla Cineteca di Bologna e Titanus, in collaborazione con Rai Cinema presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata, che da questa sera alle 20.30 sarà presentato al Cinema Fiamma di Roma (via Bissolati, 47) direttamente da Chiara Rapaccini, compagna di Mario Monicelli, e proiettato sul grande schermo di 70 sale italiane.
Un brillante anti-cinepanettone, che riporta in sala l’unico incontro tra la verve di Anna Magnani, bionda in spiumato boa di struzzo, il talento di un principe della risata come Totò, affiancati dal volto americano di Ben Gazzara.
Dopo più di un cinquantennio, un’ottima occasione per ri-guardare una commedia amara, scintillante e spesso sottovalutata, alla luce di gag, battute e meccanismi, che resistono bene al tempo e la concorrenza di ‘certi contemporanei’, con una recensione matura e restaurata, una bella gallery vintage, un trailer nuovo nuovo, note di regia e curiosità.
“Trovarsi senza soldi un giorno qualsiasi è male. Ma a Capodanno è peggio”.
…soprattutto se sei una povera generica di Cinecittà che vuole vivere una bella notte di Capodanno, come la nostra Gioia Fabbricotti detta Tortorella (Anna Magnani), invitata ad una festa soltanto perchè sono in tredici, e lasciata sola finisce per fare il giro della città, con il vecchio collega di sventure Umberto Pennazzuto detto Infortunio (Totò), e il ladruncolo Lello (Ben Gazzara) che lo pressa per averlo come ‘spalla’ (complice) in furti di Capodanno.
Tutta in un una notte, si consuma la cronaca di una dolce vita di derelitti, uniti dalla loro solitudine e dalla satira amara, alle luci della città sfavillante e distrutta dai fuochi d’artificio, tra piazze deserte e night-club affollati, fin sotto la Fontana di Trevi, con la falsa bionda Gioia/Magnani che grida ‘mannaggia al cinematografo’.
Personaggi derisi, che ridono di una società ‘fracica’, ammantando di malinconica tristezza anche le scene più divertenti, quando la coppia Magnani-Totò rievoca la comune “esperienza cinematografica” e si esibisce nella performance di Geppina Gepi cantata da Nannarella, con un Totò saltellante con il cappellino in testa e la lingua di fuori.
Un viaggio tra l’ironia e la compassione con personaggi indimenticabili, costretti a pagare le conseguenze di malefatte e macchinazioni altrui, resistere come possono alle beffe del destino, vivere irrimediabilmente le contraddizioni della società e della propria natura.
La cronaca di una notte di Capodanno, diretta dopo il successo de I soliti ignoti nel 1958 e La grande guerra nel 1959, da un Monicelli che contata sulle dote da commediante di un’artista dal talento drammatico, consacrato da un Oscar internazionale, e quelle di un Totò amato dal grande pubblico ma ancora poco stimato dalla critica.
Un film ricco di dialoghi audaci, riferimenti ad una sessualità extramatrimoniale esplicita, e alla sacralità della religione cattolica, tirata in causa dal tentativo di occultare il furto gridando al miracolo, da aggiungere a considerazioni mature sui personaggi interpretati da vere star della cinematografia italiana e internazionale, che è sempre un piacere rivedere sul grande schermo. Tutte ottime ragioni per approfittare di questo ritorno in sala del Cinema Ritrovato.
Voto di cut-tv’s: 9
Risate di gioia (Italia/1960) di Mario Monicelli (106’), con Totò (Umberto Pennazzuto detto Infortunio), Anna Magnani (Gioia Fabbricotti detta Tortorella), Ben Gazzara (Lello), Fred Clark (l’americano), Edy Vessel (Milena), Mac Roney (Alfredo), Toni Ucci (amico di Milena), Carlo Pisacane (nonno di Gioia), Rik von Nutter (giovane aristocratico tedesco). Di nuovo in sala in versione restaurata dal 9 dicembre 2013.
Note di regia e curiosità
La Magnani e Totò formavano una coppia inimitabile, irripetibile. Improvvisavano in una maniera così spontanea, così creativa, da fare rivivere la Commedia dell’arte. Ben Gazzara
Il laboratorio del film
“Anche per Risate di Gioia ebbi da lottare”. Così Mario Monicelli, ad oltre vent’anni di distanza, ricordava la genesi di Risate di Gioia: “All’origine era una sceneggiatura rifiutata da Comencini, che mi dette da leggere Suso Cecchi d’Amico. Mi piacque l’idea di questa protagonista in giro per tutta una notte, e anche l’idea di lavorare con la Magnani. Mi garbava anche il fatto che il film avesse un’unità aristotelica, perchè durava il tempo reale; lo dovevamo girare tutto di notte – infatti girammo per quaranta notti consecutive. Molti amici mi incitavano (“hai fatto La grande guerra, hai vinto il Leone d’Oro, dovresti avere delle ambizioni diverse!”), De Laurentiis mi braccava in maniera spietata perchè facessi I due nemici dicendomi: “E’ un’operazione uguale a La grande guerra, c’è Sordi con David Niven…”. Non m’interessava proprio, perchè era una rimasticatura del mio film. Alla Magnani piaceva il film; era il personaggio di una povera comparsa di Cinecittà che voleva vivere una bella notte di Capodanno, e poi veniva invitata ad una festa soltanto perchè erano in tredici; si accorgeva in fine della scarsa considerazione in cui era tenuta e finiva con un altro relitto di Cinecittà, interpretato da Totò” (Mario Monicelli, L’arte della commedia a cura di Lorenzo Codelli, Dedalo, Bari 1986).
Al momento di annunciare l’inizio delle riprese, nell’estate del 1960, trapelava dalle parole del regista la soddisfazione di lavorare con la più grande attrice italiana, ormai famosa anche a livello internazionale, e il desiderio di rivelare aspetti inediti del suo talento: “Sono convinto”, dichiara Monicelli, “che Anna Magnani, oltre ad essere una grande attrice drammatica, abbia anche grandissime doti di comedienne. Anche lei ci crede, ma talvolta ha delle esitazioni comprensibili. Contrariamente a Gassman, la Magnani ha un larghissimo pubblico conquistato proprio con i suoi personaggi drammatici. Ma io sono convinto che il pubblico vedrà una Magnani nuova, quasi inedita, e mi interessa presentarla così” (Alberto Anile, I film di Totò, Le Mani Editore, Recco 1998).
Anna Magnani e Totò
Un problema, per la Magnani, era rappresentato da Totà, con cui aveva recitato a teatro in quattro spettacoli (Quando meno te l’aspetti, 1940; Volumineide, 1942; Che ti sei messo in testa?, 1944 e Con un palmo di naso, 1944) ma con il quale finora non aveva mai interpretato un film: “Allora Toto? era considerato un guitto”, spiega Monicelli, “faceva film che venivano ritenuti la vergogna d’Italia, la critica non li considerava nemmeno, li faceva recensire ai vice. La Magnani era invece reduce dall’Oscar, aveva lavorato con Marlon Brando e pensava che la presenza di Totò abbassasse il tono e la qualità del film. Io ritenevo Totò un grandissimo attore e mi sono sempre considerato fortunato ad avere fatto film con lui, avevo chiara la nozione di chi era e che cos’era. E poi mi piaceva mettere insieme proprio loro due, togliere alla Magnani quella sovrastruttura stupida che le aveva dato Pelle di serpente… Mi opposi con molta forza alle sue critiche dicendo: “Vabbeè senti: se vuoi fare il film così, va bene, sennò io non lo faccio”. E allora lei accettò e durante la lavorazione andò tutto benissimo, furono anzi molto carini tutti e due, molto vicini, si divertivano l’un con l’altro” (Alberto Anile, I film di Totò, Le Mani Editore, Recco 1998).
Totò invece, aderì subito con entusiasmo alla prospettiva di recitare con la Magnani e di ritrovare la regia di Monicelli, due anni dopo il trionfo dei Soliti ignoti (1958).
Franca Faldini, all’epoca compagna del grande attore, racconta: “Quando gli proposero Risate di Gioia, Totò fu felicissimo. Da anni sognava di tornare a lavorare con Monicelli, a volte si riteneva snobbato da lui, si chiedeva come mai, ne soffriva. Nel film, poi, ci sarebbe stata Anna Magnani, per cui aveva un culto, come attrice e come donna. Assieme avevano fatto le favolose riviste degli anni di guerra e quando si incontravano – sempre occasionalmente perchè nel privato avevano giri diversi – c’erano abbracci, commozioni sincere, affettuosità reali e un mare di ricordi. Fisicamente, per Totò il film fu un grosso sacrificio perchè era già semicieco, i medici gli raccomandavano molte cautele per gli occhi, era sotto intensa terapia antiemorragica per la corioretinite da cui era afflitto. Il male e lo scarso movimento a cui lo costringeva, lo avevano molto appesantito. Soffriva a vedersi ridotto così, e quando ando? per infilarsi il frac di scena che fino a tre anni prima gli era andato perfetto e abbondante, proprio come lui voleva, gli prese una botta di malinconia… Monicelli cercava di metterlo a suo agio, di non fargli pesare l’infermità. Anche la Magnani. Entrambi, tra loro, sfottevano Ben Gazzara, per la pronuncia siculo-americana con cui parlava l’italiano e perchè era un po’ fanatico. Con l’altro, Fred Clark, non avevano molta comunicativa perchè era sempre sbronzo…
La scena della festa dove Totò e la Magnani cantano fu girata al Casinò di Anzio. All’uscita, dopo le riprese, accadde un fatto. Se Totò proteggeva i cani randagi, Anna aveva la fissa dei gatti. Così ne vide uno che veniva maltrattato da alcuni ragazzini e immediatamente si precipitò urlando come uno dei personaggi dei suoi film, mentre nella vita parlava sempre da signora, aveva persino il birignao: “Brutti figli di mignotta, la volete piantà!”. Beh, uscirono fuori i genitori che volevano menarla. Totò, che non vedeva niente, si sentì in dovere di spalleggiarla, e mancò poco ne nascesse una zuffa. Dovettero accorrere quelli della troupe, e alla fine la Magnani se ne andò tutta fiera con il povero gatto in braccio” (Franca Faldini, in L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1960-1969, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, Milano 1981).
A conferma dell’entusiasmo di Totò per avere ritrovato l’attrice, esiste anche questa dichiarazione rilasciata dall’attore alla “Settimana Incom”: “Quando mi preparavo per girare e sentivo nella roulotte vicino alla mia la voce di Nannarella, mi sembrava di essere tornato ai tempi di Volumineide”.
Le riprese
Le riprese iniziano il 3 maggio del 1960, in esterni nei pressi della Stazione Termini, e vanno avanti fino a luglio, per quaranta notti. Nell’afoso caldo romano torme di comparse vestono cappotti e marsine in un gigantesco e bizzarro veglione di San Silvestro completamente fuori tempo. L’italoamericano Gazzara biascica un pittoresco anglo-italiano e si trova benissimo con gli altri due interpreti. Totò, più stanco del solito, è costretto a rifugiarsi spesso in roulotte per riposarsi: Anna e Ben, invece, si concedono appena possono il divertimento di una canzone o la gioia di un piatto di spaghetti cucinati all’alba.
Totò recita nei panni di Umberto Pennazzuto detto Infortunio, un generico di Cinecittà che arrotonda il magro guadagno truffando le assicurazioni. E che trascina malinconicamente i suoi sogni dopo una vita spesa nell’avanspettacolo. Per dare un po’ di sapore realistico al personaggio, Monicelli mostra in una scena alcune vere foto della carriera teatrale di Totò, compreso l’Otello interpretato in A prescindere. “Avevamo bisogno di alcune vecchie locandine”, spiega il regista. “Era un po’ una citazione, un gioco di cui poi nessuno si accorse. Attaccammo proprio le sue, tanto per avere qualcosa che fosse dell’epoca, perchè il suo personaggio si vantava di avere avuto un passato nel teatro anche se poi faceva la comparsa a Cinecittà. Un po’ di autobiografismo lo mettono sempre, forse Totò lo mise anche in quel piccolo sketch di Geppina. Era una canzone che conoscevano e che avevano fatta tutti e due ma credo fosse la prima volta che la facevano insieme: la Magnani ci metteva la sua maniera e lui stava dietro un po’ in disparte con quel suo controscena che secondo me la schiaccia definitivamente. Totò, secondo me, era di molto superiore a lei”.
La scena di Geppina è un omaggio alla rivista, a uno straordinario sodalizio teatrale, quello della Magnani con Totò, di cui non sono rimaste testimonianze visive. Nel resto del film Totò si rinchiude in se stesso, temendo forse di rovinare con qualche lazzo fuori posto il lavoro rigoroso di Monicelli; la sua interpretazione diventa distaccata, quasi elegante, adatta al ruolo ma molto meno divertente del previsto.
Le ultime riprese vengono realizzate a Sant’Andrea della Valle, la chiesa in cui Gioia e Umberto sono accusati di aver voluto rubare una collana preziosa alla statua della Madonna. Totò gira buona parte del film in presa diretta, per evitare problemi in sala di doppiaggio. Qualche battuta è comunque costretto a ripeterla in studio; la vista debolissima gli impedisce di vedere le immagini in moviola, ma aiutandosi con la cuffia una volta preso il ritmo riesce a portare a termine il lavoro. (Alberto Anile, I film di Totò, Le Mani, Recco 1998)
In una cronaca dal set, leggiamo: “Non mi affatica affatto, questo lavoro notturno” dice Totò, che pure nei mesi scorsi è stato infermo e ora s’è ripreso; “Io mi ci diverto un mondo” spiega Anna Magnani, che ha conservato il carattere estroso di quella autentica, bruna. Anna Magnani ha un bel tornare spesso in America, resta trasteverina; “purchè il mio personaggio sia un po’ pazzo e mi lascino farlo a modo mio, tutto va bene”. (Arturo Lanocita, “Corriere della sera”, 12 giugno 1960)
Ben Gazzara a posteriori raccontò l’emozione procuratagli dall’incontro con i due mostri sacri italiani: “Anna Magnani era una donna straordinaria, una donna eccezionalmente vitale, eppure a suo modo dolce e tenera, tanto è vero che mostrava nei miei confronti una affettuosità commovente.
Molti anni dopo ci rincontrammo a Londra, dove lei stava interpretando a teatro La lupa per la regia di Franco Zeffirelli. Mi recai a vederla e, dopo lo spettacolo, andai in camerino per salutarla. Non appena mi vide mi venne incontro e mi abbracciò gridando con la sua voce roca: “Figlio mio, figlio mio…”. Totò non era meno straordinario della Magnani, sia come attore sia come uomo. La Magnani e Totò formavano una coppia inimitabile, irripetibile. Improvvisavano in una maniera così spontanea, così creativa, da fare rivivere la commedia dell’arte. Ricordo come se fosse ora la sera in cui girammo l’ultima scena. Eravamo dinanzi a una chiesa. Al termine delle riprese io dissi a Totò: “Principe, perchè non mi canti Malafemmena?”. Mi cantò Malafemmena e la Magnani l’accompagnò. Nel fondo era un uomo molto dolce e generoso, affascinante” (Ben Gazzara, in L’avventurosa storia del cinema italiano del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, Milano 1981).
Il personaggio di Anna Magnani
Anna finalmente non aveva da lottare con gli orari: girare di notte, a Roma, d’estate. Non poteva chiedere di meglio. Il soggetto ancora una volta era di Suso Cecchi D’Amico. Alla sceneggiatura avevano preso parte anche Age e Scarpelli, con i quali Anna aveva avuto dei contrasti. “Secondo noi”, dice Furio Scarpelli, “il personaggio di Anna doveva avere un’aria un po’ sdrucita, da perdente. Ma Anna non se la sentiva di essere così smunta, un personaggio pieno di desideri, di sogni, di illusioni, vestita con uno straccetto che aveva la pretesa di essere elegante e invece riusciva soltanto a fare un po’ di pena e tenerezza. Pretese un vestito bellissimo, la stola di volpi, un insieme prestigioso. Forse sbagliammo noi a darle retta: quando ti trovi davanti un grande attore, una grossa personalità, sei tu che in qualche modo devi andargli dietro. E’ mai possibile far fare a Cary Grant il ruolo del cattivo?”.
L’abito che Anna s’era fatta fare era nero, a tubo, molto scollato, coperto di pendenti di brillanti che le luccicavano addosso. Non poteva sedercisi, e i macchinisti le avevano costruito un buffo sedile all’impiedi, in cui lei s’appoggiava, facendo forza soprattutto sui gomiti.
E poi la parrucca bionda, d’un platino sfrenato. “Era una parrucca straordinaria, pareva un casco di capelli naturali, morbidi, fluenti”, ricorda l’aiuto di Monicelli, Mario Maffei. Come operatore aveva lo stesso che l’aveva fotografata tanto bene nel film di Castellani, Leonida Barboni. “Anna confabulava spesso con lui” ricorda Suso. “Era preoccupata d’un piccolo calo che aveva sotto il mento, e non voleva assolutamente che si vedesse. Anna era fragile su quell’argomento, ma non bisogna giudicare col metro di oggi. Allora c’erano le bellone, si guardava soprattutto a quello”.
Con Toto? lavorava, ancora una volta, benissimo. Fra loro c’era una gara benevola, senza alcuna malignità a chi diceva più battute e trovava il modo di ammiccare di più al personaggio o alla situazione. Totò era un amico, Anna l’amava con quella fiduciosa innocenza con cui si concedeva a poche persone. C’è una fotografia che li ritrae ai tempi di Risate di Gioia in cui la Magnani e Totò s’abbracciano: gli anni hanno mutato i loro visi con piccoli segni di scalpello, ma l’espressione è la stessa di quando avevano lavorato con tanta gioia vent’anni prima.
Erano notti piacevoli, quelle. Roma sembrava ritornata se stessa, abbandonata dal rumore delle macchine, i gatti che s’avvicinavano agli avanzi dei cestini della troupe, pochi passanti che sgattaiolavano negli angoli bui delle stradine del centro, i refoli di un vento lieve che veniva a rinfrescare la pelle bagnata di quel caldo appena stemperato dalla notte… Anna era allegra, capitava che verso l’alba invitava una parte della troupe a mangiare gli spaghetti a casa sua, che tirassero mattino a far baldoria.
Soprattutto scherzava con il terzo grosso nome del cast, un americano di origine italiana che di nome si chiamava Biagio Antonio ma che nel cinema aveva preso il nome di Ben Gazzara. Era un po’ spaesato, parlava un italiano storpiato, sconciando le parole. Lei metteva a frutto l’inglese che aveva imparato in America e cosi chiacchieravano. Gazzara non aveva una roulotte a disposizione come la Magnani e Totò e s’appoggiava soprattutto da Anna perchè Totò era anziano, stanco, circondato dalla sua malattia. Capitava che s’allontanasse, comperando una bottiglia di champagne in qualche bar aperto di notte, e tornasse a berla con Anna, seduti su un vecchio marciapiede, oppure sugli scomodi divanetti della roulotte. Ben aveva degli occhi neri, quasi liquidi, tagliati obliquamente, che gli davano un’aria volpina. E un sorriso dolce, una bocca sensuosa, che spiccava con quello sguardo tanto furbo. Rideva, la sua bellissima voce impostata dall’Actor’s Studio, e le faceva compagnia, divertendola. Una volta le aveva portato un piatto di spaghetti che s’era fatto fare da un ristorante in chiusura e li avevano mangiati ridendo, con Anna che si sbellicava alle difficoltà che aveva Gazzara a districarsi in quel mare di vermicelli che gli sgusciavano dalla forchetta come serpenti impazziti.
(Patrizia Carrano, La Magnani. Il romanzo di una vita, Rizzoli Editore, Milano 1982).
“Mi piacerebbe che il film riuscisse oggi per vedere che accoglienza avrebbe”
Risate di Gioia usci? in ottobre, distribuito dalla Titanus e attirò circa un milione e duecentomila spettatori che, per l’epoca, rappresentavano un esito modesto, soprattutto considerando le aspettative giustificate dal primo film della coppia Totò-Magnani (gli altri titoli interpretati dall’attore napoletano nel 1960 totalizzarono oltre il doppio).
“Pensavo avrebbe avuto un grande successo”, dice Monicelli, “proprio perchè c’era questa coppia molto popolare. La Magnani era un grande nome però la gente non la andava a vedere, Totò al contrario aveva un pessimo nome però la gente entrava al cinema. Il pubblico era un po’ prevenuto nei confronti della Magnani, aveva fatto dei film in America che avevano deluso la gente. Io volevo un’altra Magnani, quella dei vecchi tempi” (Alberto Anile, I film di Totò, Le Mani, Recco 1998).
In un’altra intervista, Monicelli dichiarò: “Era buono, ma un po’ vecchio, aveva l’aria del piccolo film anni Quaranta americano, con questa storia della donna che nella notte dell’ultimo dell’anno viene respinta da tutti. Una cosa alla William Powell, alla Frank Capra… Ma mi piacerebbe che riuscisse oggi per vedere che accoglienza avrebbe (Mario Monicelli in L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli, Milano 1981).
L’ultimo film di Totò e Monicelli
Risate di Gioia fu il settimo e ultimo incontro fra il grande attore napoletano e il regista di Guardie e ladri.
“In uno dei tanti incontri-dibattito centrati sull’immensa figura di Antonio De Curtis, Monicelli si è rammaricato di aver troppo imbrigliato nei propri film l’estro anarchico di Totò. In effetti, il Principe della risata risulta stranamente condizionato da un certo rigore dei personaggi e dai vincoli di sceneggiatura presenti nella produzione del regista toscano (a parte, forse, Totò cerca casa, 1949, realizzato in coppia con Steno). L’intento di Monicelli, del resto, non e? quello di un Mattoli o un Bragaglia, preoccupati di esaltare la “maschera” Totò sulla base di esili ma accattivanti canovacci. In lui, si percepisce sempre la volontà di fotografare un paese e dei personaggi “reali”, seppure distorti dalla sua circolare e contundente vena grottesca. Lo attestano commedie riuscite come Guardie e ladri (1951), Totò e i re di Roma (1951) e, soprattutto, Totò e Carolina (1954-55), film che subisce non poche vessazioni dalla censura, perche? accusato di non fornire un’immagine decorosa delle forze dell’ordine. Totò riesce con estrema professionalità a fornire ritratti convincenti del disgraziato/uomo qualunque/povero cristo, sia nel ruolo di Esposito, ladro di polli braccato dall’altrettanto sfortunato brigadiere Bottoni (uno straordinario Aldo Fabrizi), che in quello del poliziotto costretto ad accompagnare una giovane disgraziata (Anna Maria Ferrero) in Totò e Carolina: la figura di Antonio Caccavallo, agente di Pubblica Sicurezza, risulta assai lontana dall’irresistibile “fracassone” di pellicole quali Toto sceicco (Mario Mattoli, 1950) o Toto? le Moko? (Carlo Ludovico Bragaglia, 1949). Una distanza che non risulta essere un difetto, ma la dimostrazione che nell’artista Totò vi sono sfumature e abilita? interpretative davvero infinite e che Monicelli riesce a cogliere tonalità fino ad allora non considerate (in seguito esplorate anche dal Rossellini di Dov’è la libertà, 1952).
Il cammeo del maestro scassinatore nel già citato I soliti ignoti, impreziosisce un film già perfetto (forse il migliore di Monicelli) come un raffinato dessert al termine di un menu sontuoso. Meno riverito, ma comunque encomiabile, il ruolo dell’ex attore morto di fame in Risate di Gioia. In quest’ultima pellicola, canto del cigno dei sogni e delle speranze che incessantemente esprimono le umili maestranze di Cinecittà, Totò fa coppia con Anna Magnani (già apprezzata compagna nelle vecchie riviste d’avanspettacolo), per la prima e unica volta sul grande schermo. Un inno dolceamaro alla classe di due anziani e disillusi artisti metaforicamente soppressi dal mondo dello spettacolo, disposto a sopportarli con la stessa supponenza che una famiglia di nuovi ricchi riserva al parente povero, venuto a mendicare un prestito per ragioni di sopravvivenza”.
(Valerio Caprara, Il direttore e gli orchestrali, in Il cinema di Mario Monicelli a cura di Leonardo De Franceschi, Marsilio, Venezia 2001).
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