Roma 2012: considerazioni finali sul primo (ed ultimo?) Festival di Marco Muller
Considerazioni finali sul Festival di Roma 2012, a poche ore dal vincitore
Sognavamo Tarantino, ed è arrivato Larry Clark. Si sperava in Giorgio Diritti, e ci siamo ritrovati Paolo Franchi. C’era chi fantasticava su Lincoln, Vita di Pi, Les Miserables e l’ultimo Muccino, ma abbiamo dovuto digerire Carlo Lucarelli, Jacques Doillon, Kira Muratova ed Amos Poe. Il Festival Internazionale del film di Roma 2012 si prepara a chiudere i battenti (questa sera ore 19:30 i vincitori), ed è doveroso stilare una sorta di ‘pagellone finale’, su cosa ha funzionato e cosa sia andato storto.
In questa seconda categoria, ci finisce di diritto il Concorso. Premessa. Marco Muller e i suoi collaboratori hanno dovuto fare le nozze con i fichi secchi, perché organizzare un Festival in meno di sei mesi è un’impresa titanica (e probabilmente persa in partenza). Detto ciò, il Concorso è stato innegabilmente il tallone d’Achille del Festival. Solo nella terza edizione, quella vinta da Opium War e Resolution 819 di Giacomo Battiato, si erano viste tante pellicole ‘dimenticabili’. 15 i titoli presentati, e davvero pochi, pochissimi i film realmente presentabili e perché no, possibilmente anche vendibili. Il meglio della manifestazione si è visto altrove. Fuori Concorso, tanto per cominciare, ma soprattutto nella sezione Cinema XXI, ovvero l’ex programmazione Extra, che anche gli anni passati faceva furore. Prendere a calci Alice nella Città, che difatti ha indossato i panni della ‘concorrenza’ esterna, con tanto di spazio ad hoc, non ha avuto senso. O la si sopprime, o la si ingloba.
La scarsa qualità dei film presentati ha ovviamente annientato la nuova strada con coraggio intrapresa da Muller. Ovvero quella d’autore, delle opere prime e soprattutto delle anteprime mondiali. Il restyling dell’ex Direttore della Mostra del Cinema di Venezia è stato totale, da questo punto di vista. Ma davvero produttivo?
Roma non è Locarno, e non è soprattutto Venezia, che nasce quasi 70 anni fa sotto l’insegna di ‘Mostra’. Roma è nata come Festa, pensata per il pubblico. Fu Rondi a farla ‘evolvere’, trasformandola (erroneamente) in Festival. In questi ultimi 3 anni l’ibrido tra cinema commerciale e cinema di qualità era tanto evidente quanto apparentemente fastidioso, soprattutto per i tanti detrattori, che non riuscivano a scovare una linea precisa nella sua costruzione cinematografica, tanto da sbuffare dinanzi alla creatura voluta dall’allora Sindaco Walter Veltroni.
Con l’arrivo di Muller, osteggiato da una politica ottusa, cieca e litigiosa anche in campo culturale, questo ibrido sarebbe dovuto ‘morire’, dando vita ad una creatura precisa. E così è stato, ma solo in parte. Perché nel momento in cui si ‘getta alle ortiche’ un certo tipo di cinema perché già visto altrove, e si prendono in considerazione solo quelle anteprime mondiali rimaste libere sull’agguerritissimo mercato dei Festival, si rischia di pescare scarti, o progetti di dubbio spessore. Ed è questo quello che è esattamente capitato in questo primo Festival targato Muller, snobbato dal pubblico delle grande occasioni.
Ed è qui che esplode con fragore un altro problema tutt’altro che trascurabile. La presenza dello spettatore ‘qualunque’ alla manifestazione. Dinanzi a red carpet desolanti, spesso e volentieri attraversati da perfetti sconosciuti (agli occhi dello spettatore ‘medio’), il Festival ha dovuto subire una brusca battuta d’arresto dal punto di vista della ‘popolarità’. Gli stessi media nazionali, che hanno sempre dato ampio spazio all’appuntamento capitolino, hanno quest’anno largamente sforbiciato. Causa la mancanza di veri ‘capolavori’ e soprattutto di autentiche star, che si sa, tirano e sono necessarie persino al Lido e sulla Croisette, quindi figurarsi a Roma. Annunciare ‘divi’ come Tim Robbins e Bill Murray, oltre al ‘promettere’ un misterioso regalo firmato Quentin Tarantino, e ritrovarsi senza i due attori sopra citati e senza ‘cadeau’ in versione Django, non ha ovviamente aiutato a salvare la baracca. Che è così affondata nel più desolante red carpet della giovane storia della manifestazione (persino dinanzi a Sly non c’è stata ‘ressa’).
L’impressione, ancora una volta e ancora per un altro anno, è che il Festival di Roma continui a vivere una lunga ed infinita guerra ‘interna’ sul cosa voler e poter essere. Tanto da far sorgere una fila di quesiti, che proviamo ad elencare: ha senso dar vita ad un ‘Sundance’ in una città come Roma (che non è Park City)? E se sì, il mese di novembre è davvero il mese giusto per darle la giusta risonanza? Non sarebbe più sensato spostare l’intero baraccone tra marzo ed aprile, ovvero tra Berlino e Cannes, in modo da dar vita ad una reale concorrenza che avrebbe oggettivamente senso? Possibile che servano tra i 12 e i 13 milioni di euro per partorire un Festival che vorrebbe puntare solo e soltanto su opere prime ed anteprime mondiali di qualità, tanto dal non esser (apparentemente) legato al mondo dello star system? Sezioni come Prospettive Italia, che finiscono per ‘ghettizzare’ il cinema nostrano, buttando al suo interno praticamente di tutto (Carlo Lucarelli compreso) portano davvero lustro alla manifestazione? E infine, si vuol davvero ‘credere’ che i romani possano correre all’Auditorium, quando sul red carpet finiscono per sfilare attori russi, polacchi e cinesi (con tutto il rispetto), conosciuti praticamente solo in patria?
Quesiti che a partire da oggi, dopo l’ennesima edizione di ‘transizione’, bisognerà porsi. Perché in appena 7 anni il Festival romano ha forzatamente cambiato più volte faccia, maschera, prospettiva, tanto da generare un vero e proprio black out critico. Perché le aspettative, dinanzi allo sbarco di Marco Muller, erano alte, per non dire altissime. Ma i risultati, e a dirlo è uno che ha sempre ‘difeso’ il Festival romano e la scelta inattaccabile del Muller direttore, stridono, lasciando tutti noi con il solito ed ennesimo punto di domanda. Che dopo 7 anni di costante e vistosa presenza, inizia a diventare tanto ingombrante quanto stancante.
Questa settima edizione, in conclusione, non potrà e non dovrà replicarsi nel 2013. Se mai ce ne sarà un’ottava, Muller dovrà pretendere totale carta bianca, iniziando sin da domani a lavorare per il futuro, per coniugare sotto un unico cartellone cinema ‘alto’ e cinema più ‘commerciale’. Perché nel lontano 2006 non venne inagurata nessuna Mostra del Cinema, nella città di Roma, bensì una Festa del Cinema. E a quella Festa, popolare ma possibilmente ‘d’autore’, perché comunque di qualità, bisognerebbe ‘tornare’, per non dire arrivare. Una città come Roma può e deve avere la sua manifestazione cinematografica. Tutto sta nel riuscire a collocarla, e non solo cronologicamente parlando, all’interno di un progetto preciso, variegato, e perché no, ancora una volta ibrido. Perché un altro ‘evento’ cinematografico pensato e realizzato solo per i ‘critici’, questo è poco ma sicuro, non ha senso di esistere.
Voti film in Concorso:
– 1942: 6 (recensione)
– A Glimpse inside the Mind of Charles Swan III: 7,5 (recensione)
– Lesson of Devil: 5 (recensione)
– Alì ha gli occhi Azzurri: 7 (recensione)
– E la chiamano Estate: 2 (recensione)
– Main dans la main: 7 (recensione)
– Marfa Girl: 3 (recensione)
– The Motel Life: 7 (recensione)
– Spose Celesti dei Mari della Pianura: 6 (recensione)
– Un enfant de Toi: 4 (recensione)
– Eterno Ritorno: 4 (recensione)
– Il volto di un’altra: 6,5 (recensione)
– Drug War: 6,5 (recensione)
Sezioni Fuori Concorso, CinemaXXI, PIT e Alice:
– Mental: 8 (recensione)
– Populaire: 8,5 (recensione)
– Bullet to the Head: 7,5 (recensione)
– Il Cecchino: 5 (recensione)
– La bande des jotas: 7 (recensione)
– Le 5 Leggende: 9 (recensione)
– Braking Dawn – Parte 2: 1 (recensione)
– A Walk in the Park: 3 (recensione)
– Tar: 5 (recensione)
– L’isola dell’angelo caduto: 2 (recensione)
– Il leone di Orvieto: 7 (recensione)
– Carlo!: 6,5 (recensione)
– Ralph Spaccatutto: 7,5 (recensione)