Roma 2012: Sylvester Stallone annuncia la fine di Rocky e il (probabile) ritorno di Rambo
Simpatico ed ironico, Sylvester Stallone ha fatto suo il Festival di Roma
Camicia rosa, cravatta nera, giacca grigia, pantaloni scuri. Lo stylist di Sylvester Stallone deve essere cieco, oppure semplicemente morto. Certo è che il look sfoggiato quest’oggi al Festival Internazionale del film di Roma non è affatto passato inosservato.
Accolto da una standing ovation, Sly ha presentato in anteprima mondiale Bullet to the Head, da noi già recensito e riempito di applausi a fine proiezione. Affiancato dal regista Walter Hill, da Marco Muller e dallo sceneggiatore italiano Alessandro Camon, Stallone ci ha regalato la più frizzate e divertente conferenza stampa di questo settimo Festival capitolino.
Allegro, ironico, spiazzante, la star di Hollywood ha parlato anche dei suoi progetti futuri (Rambo e The Tomb su tutti), ma non prima di sottolineare l’importanza storica di un luogo culto di Roma, ovvero Cinecittà:
“Nel mio settore è molto raro trovare delle immagini iconiche. Eppure qui avete una delle istituzioni più grandi al mondo, che è Cinecittà. Ho visto tantissimi di questi luoghi, di questi teatri, di questi laboratori cinematografici che purtroppo spariscono. Questo non dovrà succedere in Italia, dovete far resistere questo luogo, perché tornerà più forte che mai”.
Il ragazzo ci sa fare. Prime parole, conferenza neanche iniziata, e ha già dalla sua parte la ricca platea di giornalisti italiani. Sala Petrassi gremita in ogni ordine di posto, perché proprio lui, Stallone, è la vera (ed unica?) stella di questo primo Festival targato Muller. Questo il resoconto del suo incontro con la stampa festivaliera:
Domanda: Mr. Stallone, qui a Roma è stato ben accolto da una realtà periferica che lei conosce bene, essendoci nato e cresciuto. Come è stato ritrovarcisi?
“Andando a Tor Bella Monaca, è come se avessi rivissuto la mia gioventù. Ho detto a quei giovani, non dovete avere paura del fallimento, perché fallirete tante volte, ma riuscirete sempre a rialzarvi. Come è successo a me”.
Domanda a Mr. Stallone: lei ha interpretato tanti film. Come si sente ad essere un punto di riferimento per una generazione, e soprattutto, ne sente il peso?
“E’ un buon peso. Credo che quello che mi è successo sia stato insolito. Prima Rocky, poi Rambo. Avere una generazione di persone che ha fatto questo viaggio cinematografico insieme a me. Aver combinato quei due personaggi con Bullet to the Head è stata un’ottima transizione, per la nuova generazione, che ha così un nuovo Sly con cui crescere”.
Domanda a Walter Hill: Questo film nasce sotto un altro punto di vista rispetto alla Hollywood classica a cui siamo sempre più abituati? No effetti speciali, bensì più storia.
“In realtà non volevo dire nulla ad Hollywood. Ho pensato che questa fosse una buona strada. Ho ricevuto una telefonata da Sly, io e lui ci conosciamo da tantissimo tempo. Da anni volevamo collaborare. Finalmente abbiamo avuto la chance, l’opportunità. E’ stato un omaggio all’action degli anni 70 ed 80, ma al contempo è un film moderno. E questo è difficile da trovare oggi come oggi in un solo prodotto, ed è stato un film che abbiamo forgiato strada facendo. Ho avuto il piacere di lavorare con una star, con una forte personalità. Sly è stato anche regista, ha diretto 10 film, che son tanti. Ma siamo stati benissimo”.
Domanda a Stallone: c’è mai stato un incontro che le ha cambiato la vita? Come fa ad essere così giovanile?
“Mi alleno con le attrezzature Technogym prodotte in Italia! Scherzi a parte, quando sono arrivato ad Hollywood ero molto ottimista. Poi un giorno abbiamo fatto Rocky, e con Rocky ho fatto un sacco di soldi, ma non mi avevano ancora pagato. Vivevo in una topaia. Così sono andato a riscuotere, e il produttore mi disse: torna a lavorare. All’improvviso il capo degli Studios rispose: perché non ci importa di te, torna a lavorare. Ti pagheremo quando ci va. Così capì. E’ un business, e non una storia d’amore. Quella fu una lezione: devi dipendere solo su te stesso”.
Domanda ad Alessandro Camon: dialoghi brillanti, e omaggio ai vecchi titoli anni 80. Ne esiste uno a cui si è ispirato?
“Il film è adattato da una graphc novel. L’abbiamo cambiata molto, ma era già una storia molto forte ed accattivante. Per quanto riguarda i dialoghi, un contributo fondamentale è venuto sia da Sly che Hill. Se parliamo di un film che può avermi ispirato, direi 48 ore. La formula nel tempo si era deteriorata. Era diventata una storia di due che lavorano dalla stessa parte della legge ma con stili diversi. Con Bullet i due personaggi tornano ad essere sui due lati opposti della legge. Non hanno le stesse motivazioni, e questo conflitto che funzionava così bene in 48 ore, è stato il motivo principale che mi ha portato a scrivere lo script”.
Domanda a Walter Hill: Bullet sembra riprendere il taglio visivo di Ancora Vivo. Tra voce off e montaggio. E’ stato come ritrovare un percorso interrotto negli anni?
“Lavorare ad Hollywood ha a che fare con le opportunità. Negli ultimi anni ne avevo avute poche. Fino all’arrivo di questo film. Bullet non è un esperimento, ma un’altra cosa rispetto ai blockbuster di oggi, così come ai titoli intimisti indipendenti. Questo è un film d’azione con dei confini delimitati. Ne ho raccontate di storie simili in passato, così come Sly. Era quindi scontato tornare a quel tipo di film. E’ un film ricco d’umorismo e con una prospettiva ironica, che proietta le nostre personalità”.
Domanda a Sly Stallone: ti sei ispirato ad alcuni tuoi vecchi personaggi?
“Sì, la mia regola numero uno è: impara dagli errori. Un paio di volte ho fatto action in cui c’era forse troppa action. Se i dialoghi possono essere interessanti quanto un inseguimento, facciamo i dialoghi. Il dialogo e l’umorismo che ne escono fuori credo siano affascinanti. Non ero sicuro che avrebbe funzionato, ma era quello che volevamo nel film. Prima parliamo di personalità, poi scateniamoci. Ho ovviamente preso in prestito da altri film, ma ho anche imparato dagli errori dei miei vecchi film”.
Domanda a Sly Stallone: come gestisce la sua vita fuori dal set?
“Mi sono sempre chiesto, che cosa fanno gli attori quando fanno un film all’anno? Cosa fai, come passi il tempo? Giochi con il cane, cucini? Che fai per tutto questo tempo? Ebbene, questa è la risposta. Gli attori recitano. E’ come mantenere una macchina per tot anni senza mai accenderla. Quello che faccio è inseguire le mie figlie dentro casa. Questo mi rende impegnato. Così mi alleno. Io sono esploso con Rocky e Rambo. Poi sono arrivate una figlia, 2 figlie, 3 figlie, una moglie, 2 domestiche e 5 cani. Uno castrato, poi tutte donne. La mia vita è fatta di donne”.
Domanda a Sly Stallone: come sei arrivato a conoscere Woody Allen (nel 1971 con Il dittatore dello stato libero di Bananas, N.d.R)?
“Io non ero nessuno. Avevano bisogno di un cattivo. Andai da Woody Allen. Insieme a me c’era un altro ragazzo, più piccolo di me. Noi dovevamo attaccarlo in una metro. Proviamo la scena. Woody guarda prima me, poi guarda l’aiuto regista. “Ditegli che non fanno paura, non intimidiscono nessuno”. Io avevo 22 anni. Ah si? Veramente, risposi? Così corriamo fuori dalla metro, acquistiamo della vaselina in una farmacia, ce la spalmiamo in faccia e ci sporchiamo tutto il viso. Torniamo dal lui e gli urliamo, FACCIAMO PAURA ADESSO? E lui fa all’aiuto regista, ‘prendili prendili prendili’. Non me lo dimenticherò mai. MAI MOLLARE”.
Domanda a Sly Stallone: quando venne a Roma per presentare l’ultimo Rambo, lasciò una finestra aperta per un eventuale sequel. E’ ancora aperta quella finestra? E infine, com’è stato tornare a lavorare con il suo antico rivale Arnold Schwarzenegger?
“Il mio antico rivale (voce profonda e roca, N.d.R.). Il mio grande rivale è diventato un vecchio caro amico. Il fatto che fossimo in competizione non era vero. Ora abbiamo un film di coppia (The Tomb), che sarà eccezionale. Tornando alla prima domanda, Rocky è finito, è un’atleta che ha raggiunto il suo apice. Con Rambo invece non è finita. Lui non può ritirarsi, non può andare in pensione, è come me. Rambo ha mentito a se stesso, e combatterebbe fino alla morte. Anche senza guerre. Io vedo in Rambo un uomo che non può tornare a casa perché non ha una casa. E’ un guerriero. C’è un’idea che sto preparando, che potrebbe concretizzarsi, se il corpo mi tiene. Vedrete Rambo vs. Artrite (fa il gesto di un arco che tende una freccia, fingendo di farsi male al braccio). Amo questo personaggio. Potrebbe tornare. Rambo potrebbe tornare. Oppure tornare come ragazza. Rambolina (risate a non finire). D’altronde la società di oggi è molto più permissiva. Quindi perché non osare…”.
Domanda per entrambi: la geniale scena finale con le asce, era presente nella graphic novel o è stata ideata dal regista? E ancora, com’è stato lottare con il nuobo Conan? Divertente?
Risposta Walter Hill:
“Io mi son divertito tanto, perché non ero io a doverci combattere. Ma per Sly NON è stato divertente. Prima di iniziare il film la gente mi chiedeva: come pensi che quei 2 potranno andare d’accordo? Eppure siamo andati tutti molto d’accordo durante le riprese. Ma nel combattimento con le asce ho litigato di brutto con Mamoa. L’unico litigio del film. Litigammo su come inscenare questa cosa, ma alla fine ha funzionato. Perché abbiamo fatto come dicevo io”.
Risposta Sly:
“L’idea delle asce è stata di Walter, e io ho pensato: torniamo ai combattimenti tra vichinghi. Io vs. Conan. Mi mancava. Fantastico. E Jason è enorme. Quasi 2 metri, si muove come una pantera, è stato fantastico combattere contro di lui. Le scene di combattimento sono come una danza, e in pochi sanno ‘danzare’ in quel modo. E’ stato un piacere farmi colpire da lui”.
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