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Rotterdam 2013: 36 – Recensione del film di Nawapol Thamrongrattanarit

Abbiamo in qualche modo propiziato questa recensione nel nostro ultimo aggiornamento. 36 di Nawapol Thamrongrattanarit è un film che arriva dalla Tailandia e che, a dispetto di una struttura davvero basilare, riesce a concentrare parecchi messaggi in poco più di un’ora. Semplice, come abbiamo implicitamente accennato, ma non per questo banale.36 si sofferma con amabile

pubblicato 29 Gennaio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 18:08

Abbiamo in qualche modo propiziato questa recensione nel nostro ultimo aggiornamento. 36 di Nawapol Thamrongrattanarit è un film che arriva dalla Tailandia e che, a dispetto di una struttura davvero basilare, riesce a concentrare parecchi messaggi in poco più di un’ora. Semplice, come abbiamo implicitamente accennato, ma non per questo banale.

36 si sofferma con amabile discrezione sull’incontro tra due ragazzi. Lei, Sai, è una location scout che va scattando fotografie da sottoporre al regista con il quale sta collaborando per la realizzazione di un film; lui, Oom, è un aspirante art director che per il momento studia veterinaria.

Interessante la suddivisione del film in capitoli, 36, come il titolo. Ogni capitolo è una foto, ogni foto un ricordo. Niente di particolarmente artistico e ricercato, semplicemente stralci di vita attraverso cui rivivere certi momenti, certi istanti. Finché non avviene l’impensabile: l’hard disk in cui Sai ha caricato tutte le foto scattate durante quella giornata con Oom si sfascia. Il che dà adito a non poche domande.

Cercate di immedesimarvi. Quali meccanismi si metterebbero in moto se vi accadesse di perdere, così… improvvisamente, una serie di foto a cui tenete davvero tanto? Thamrongrattanarit getta, consapevolmente o meno, una provocazione non da poco: cosa rende speciale un ricordo, specie al cinema? Il suo è un discorso che si cala totalmente nel mezzo attraverso cui viene approntato, senza però indulgere nella costruzione di pensieri astratti. Ad un certo punto la protagonista fa notare, quasi se ne fosse appena resa conto, che sì, quelle foto non sono niente di che. In alcuni casi non ricorda nemmeno perché le scattò, né cosa stesse facendo.

Una frecciata attraverso il cinema, anche sul cinema. Quasi a voler gridare che la bellezza passa anche e soprattutto da altre componenti, non strettamente collegate a ciò che vediamo. Il cinema di Thamrongrattanarit, stando a questo suo esordio, è un cinema delle sensazioni, privando l’immagine dell’importanza di un’artificiosa raffinatezza. Per Sai il dramma della perdita non sta evidentemente nell’appariscenza di quelle foto, bensì nelle sensazioni capaci di stimolare, se non addirittura attivare.

S’impone qui un’ulteriore chiave di lettura, inerente a come la tecnologia ci cambi, formandoci e sformandoci. Quando Sai avverte: «peccato che non abbia più sue foto», di tutta risposta le viene ribattuto: «perché peccato? Puoi ancora ricordarlo». Esatto, il ricordo. Che la tecnologia incida in maniera notevole sulle nostre capacità mnemoniche, depotenziandole, ci pare di per sé pacifico. Ciò che resta da capire è come porci dinanzi a questo dato (non scientifico magari, ma il buon senso non è da buttare). In tutti i capitoli in cui viene rievocato Oom, non riusciamo mai a scorgerne nitidamente il volto. Allora è vero: senza quelle foto Sai arranca, nonostante l’intensità di quell’indimenticabile giornata.

Una giornata in cui i due, con la scusa di dover portare a termine un’ispezione sul posto, imparano a conoscersi, e forse qualcosa di più. Quegli scatti, pochi o molti, altro non sono che un riflesso condizionato, come appoggiare la mano sul punto del corpo in cui si avverte un dolore intenso ed estemporaneo. Ore che entrano nella pelle dei due, e lì rimangono senza l’ausilio di quelle istantanee che congelano un attimo, magari nemmeno il più importante.

C’è tutta l’asprezza di un’opera prima, prerogativa di buona parte dei film presenti qui a Rotterdam, inutile negarlo. Ma dove alcuni neo-registi hanno faticato a raggiungere l’obiettivo di dotare la propria opera di un’anima, conferendole dei tratti identificabili (da identità), il giovane tailandese si avvia all’avventura che lo porterà a Venezia (nell’ambito della Biennale College) il prossimo Settembre con una pellicola sentita, poetica e neanche così altezzosa come alcune scelte potrebbero suggerire. Si può decidere di restare sul carro o meno, ma da lassù la vista non è male.

Voto di Antonio: 6,5
Voto di Gabriele: 7