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Rotterdam 2013: Wasteland – Recensione del film di Rowan Athale

Parte il Festival di Rotterdam 2013 e si comincia con la prima recensione dall’Olanda. Wasteland di Rowan Athale riporta in auge l’heist movie

pubblicato 25 Gennaio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 18:16

Diamo inizio a questa nostra carrellata di recensioni qui da Rotterdam con un film di buon auspicio. Wasteland di Rowan Athale parte da premesse piuttosto codificate, che lo immergono in quel fascinoso contesto da heist movie, il cui perno è quindi la classica organizzazione di una rapina. Quel che muta in questo caso è tutto il resto, muovendosi sui binari di un Ocean’s qualunque, senza però puntare forte su un ritmo eccessivamente incalzante; e senza il cast clamoroso del film appena citato, chiaramente.

Eppure gli ingredienti sono tutti lì, ben visibili: uno degli organizzatori ha un conto in sospeso, i soci sono alle strette, una ragazza rischia di mettere i bastoni tra le ruote, e tutti non hanno nulla o quasi da perdere. D’altronde che gusto ci sarebbe sennò? Il contesto in cui è inserito il primo strato di Wasteland ricorda molto da vicino il film di un altro regista britannico che qui a Rotterdam ha avuto parecchia fortuna, ossia Following di Christopher Nolan, che si aggiudicò l’edizione del 1999. Stesso scenario, stessi ruoli: qualcuno interroga il protagonista che, colto sul fatto, è costretto a raccontare per filo e per segno come sono andate realmente le cose. C’è altro?

Eccome! Athale riesce a rendere il cupo e grigio Yorkshire meno avvilente di quanto viene vividamente reso da alcune sequenze. Agli scorci spenti di certe viuzze ed angoli monocorde, il regista oppone ambienti glitterati, pregni di un glamour che abbraccia non solo il tono delle immagini ma della narrazione stessa.

Un film dallo stile indiscutibile, che non rifugge l’alternanza di più registri, miscelando durezza e leggerezza in modo encomiabile: immancabile certo humor britannico, seppur contenuto. Anche perché è vero, Wasteland ci parla proprio di una terra oramai perduta, allo sbando. I suoi protagonisti sono giovani in cerca di rivalsa, che a dispetto dell’anagrafe si sentono oppressi da un contesto che non li lascia respirare. Un ritratto profondamente attuale, dunque, dove le ultime generazioni sembrano dover apprendere escamotage analoghi a quelli che si adottavano più di un secolo fa: era questo l’unico modo per tirare avanti, letteralmente.

Cosa fare dunque? Dietro la scelta di portare a termine una rapina del genere, c’è molto di più della semplice avidità o anche solo del mero bisogno di denaro. Perché Harvey non è esattamente un figlio di papà, anzi. È scaltro, nonché ingegnosamente stronzo, doti che riversa pienamente nella progettazione del colpo, troppo semplice per come è strutturato.

E così che Wasteland cresce d’intensità episodio dopo episodio, fino a quella fatidica fase conclusiva, dove un twist di classe mette ogni tessera al proprio posto, congedandosi con onore. Sarebbe davvero il caso che questo piccolo gioiellino spiccatamente british approdasse dalle nostre parti. Il suo merito non è solo quello di riportare in auge un genere dall’appeal sicuro, ma di rivisitarlo, tappezzandolo qua e là di alcuni elementi decisamente degni di nota. Come una colonna sonora mozzafiato, vagamente eighties style, se vogliamo. Non poteva cominciare meglio questo Festival.

Voto di Antonio: 8