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Sarebbe bello se si litigasse con qualità su The Young Pope

Si annunciano polemiche anche feroci sul film di Paolo Sorrentino, per ora una “cucitura” ben riuscita delle due prime puntate di un serial che andrà presto onda; siano benvenute, meglio che litigare come accade nei talk show politici, cercando qualità…

pubblicato 7 Ottobre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 05:10

Presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2016, The Young Pope è un film che nasce dall’assemblaggio-rimontaggio delle prime due puntate del serial previsto in dieci appuntamenti in onda su Sky. E’ un altro modo di agire del potente canale satellitare che con il serial “Gomorra” ha dimostrato di voler insistere in una scelta internazionale, sulla linea di esempi americani e inglesi.

Si tratta dunque di una attività produttiva che tende dimostrare le intenzioni di Sky: stare attenta alle esigenze internazionali, di racconto e di gusto, che portano con loro un piano di conquista del mercato e di voglia di qualità , non solo per quanto riguarda i temi ma anche, forse soprattutto, sul versante di conquista di alto valore artistico, cosa che le televisioni italiani pubbliche o private non sanno fare, come sappiamo.

In questo senso, è importante sottolineare i contributi che al regista hanno fornito i collaboratori per le immagini: i costumi tra realismo e richiami (la sfilata di moda dei prelati in “Roma” di Fellini); le scenografie che non sono mai di un verismo gregario, sono invece reinventare con sottigliezza e forza d’effetto, costantemente, in situazioni tra le più diverse nel gran “contenitore” obbligato, i palazzi del Vaticano).

Carlo Poggioli, noto costumista, ha una intensa carriera alle spalle, tra cinema e lirica, esperienze creative che non concedono nulla alla platealità, anzi caricano di tensione con una semplicità che non è mai tale; costumi che hanno la “parola”, quella invisibile innescata dalla regia.

Lo stesso accade per le scenografie di Massimo Pauletto e Alex Santucci che sottolinea, bilanciando chiaro e oscuro, luci e ombre della dimora della fede, della dimora del papa giovane che suggerisce le suggestioni degli abiti e dei copricapi, leggeri, con tocchi, capricci, intonati alla mimica del protagonista, l’inglese Jude Law, solenne e spirito. Il film vive di lui e dei contorni: il “personale” del Vaticano, in cui sono presenti i potenti e i semplici addetti; gli “esterni”, tra stupore, sorpresa.

Non in una gabbia tra costumi e scene; ma un acquario elegante, drammatico, scanzonato, e però dominato dall’atmosfera, dallo spirito santo correlato a una laicità dolorosa. Messa in scena oltre la Messa all’altare. Sbalordita e “promossa” nei dettagli più umani, persino dolorosi.

Chiamare Paolo Sorrentino, regista di vaglia e premio Oscar con “La grande bellezza” (non solo nostalgie felliniane) e con “Il divo” (film su Andreotti), significa indicare una direzione molto precisa. Ovvero, lasciare indietro la grande maggioranza del cinema italiano di oggi incapace di competere con gli autori come Visconti, Germi, naturalmente Fellini, ma anche Risi, Comencini, Monicelli. Ma questo è un argomento da riprendere.

Lo scopo qui è di indicare gli elementi che in questo film per Sky, e nei suoi precedenti, fanno di Sorrentino uno dei pochi nuovi autori capace di accettare la sfida non solo del tempo ma dei valori da ricordare, valori che il regista ancora giovane può certo migliorare, lo si vede da una strategia abile nelle storie, nelle trame, e anche nello stile di ripresa e nei risultati visivi: costumi, scene, arredamento.

Addirittura su questa parallela linea di condotta si sono già aperte discussioni e persino polemiche. Tra critici che apprezzano le storie ma accusano il regista di lustrare bene le forme, però senza dimostrare di essere capaci di coinvolgere i pubblico con contenuti, significati; e critici che accusano Sorrentino di essere preoccupato di esibire soluzioni, sensibilità, tecniche, esibire e basta, insomma di “giocare” col cinema e con il talento che non sa andare oltre, ripetendosi, prendendo le distanze, trastullarsi.

Sono entrambe posizioni sbagliate. Non c’è film in cui Sorrentino non cerchi di andare al cuore delle trame, delle questioni trattate, delle emozioni e delle riflessioni da elaborare e proporre. Faccio, per brevità, solo un esempio. E’ il film “Il divo” che è il più paradossale ma esatto, il più grottesco ma illuminante, sforzo di andare al cuore del problema dei problemi: l’ Italia del potere, i suoi riti, i compromessi, il cinismo; l’Italia della politica e del costume, deformazione complessiva che Sorrentino è andato a stanare con rigore, passione, forza: una denuncia senza ombre, certo provocatoria ma ludica e tragicamente appassionata.

Anche in “The Young Pope” s’incammina nella medesima direzione, sconvolgendo le carte e andando al di là del film di Nanni Moretti sul papa, attore Michel Piccoli ,che si rivela incapace a vivere ed esistere in Vaticano, decidendo di fuggire e di mescolarsi alla popolazione folcloristica, mimetica, della confusa Roma di oggi.

Tutto diverso è “The Young Pope” nella cornice scena immaginata/allusiva/ reale che si interroga sulla identità del papa, spogliando la figura di vicario di Cristo e facendone una maschera nuova, inedita, contraddittoria, tra desiderio di rompere gli specchi e nello stesso tempo introdurre l’imprevedibilità dei papi, oggi assediati dal mondo, dalle tv, dalla cultura di massa, delle “apparenze” intonate alla contemporaneità; lasciando intendere che non di “maschera” si tratta ma di un mistero in cui un giovane papa prova spavento e volontà di capire cos’è la Fede.