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Se son Rose di Leonardo Pieraccioni, la recensione: Lo sfiorito amore ai tempi di un genere appassito

Padre tecnologico e dalla difficile stabilità sentimentale, Leonardo Pieraccioni viaggia metaforicamente nel tempo per carpire il senso dell’amore.

pubblicato 26 Novembre 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 14:41

Gioca d’anticipo e fugge dalla tradizionale concorrenza natalizia Leonardo Pieraccioni, tornato al cinema con Se son Rose, suo tredicesimo film da regista in 23 anni di carriera. Due anni dopo il deludente Il professor Cenerentolo, Mister 70 miliardi (quelli incredibilmente incassati da Il Ciclone nel 1996) ha scritto a quattro mani con Filippo Bologna, sceneggiatore di Perfetti Sconosciuti appena uscito in sala in qualità di regista con il disastroso ‘Che Fai a Capodanno?‘, l’immancabile commedia romantica che cavalca la tradizionale retorica di genere provando a mitigarla attraverso le moderne tecnologie che ci hanno cambiato (per non dire divorato) la nostra esistenza.

Cosa succederebbe se qualcuno mandasse di nascosto alle tue ex dal tuo cellulare: “Sono cambiato. Riproviamoci!”..?”. Questa il quesito che dà il via alla storia, che vede il 53enne Pieraccioni, per cinematografici decenni circondato da bellissime giovani ovviamente pronte a cadere ai suoi piedi, negli abiti di un giornalista che si occupa di applicazioni per smartphone e web. La figlia 15enne, esausta di vedere il padre eternamente disimpegnato e in costante fuga da qualsiasi donna, invia il messaggino di cui sopra a dieci storiche ex del papà, spifferate dalla nonna. Cinque di queste, incredibile ma vero, rispondono al grido ‘d’aiuto’, obbligando Leonardo ad entrare in una macchina del tempo che gli farà finalmente capire cosa voglia dire ‘amare’, e soprattutto quanto impegno richieda mantenere in vita tale sentimento.

Tornato rumorosamente single dopo l’addio a Laura Torrisi, conosciuta sul set di Una moglie bellissima nonché madre di sua figlia Martina (qui al suo esordio in qualità d’attrice in due piccole apparizioni), Pieraccioni ha attinto dalle proprie esperienze personali per delineare i lineamenti di un uomo incapace di resistere all’usura del tempo, che inevitabilmente attacca i sentimenti, costringendoli a mutare, ad evolvere, a diventare altro. A tratti un Leonardo differente, rispetto al solito sfiancate farfallone dei due decenni passati, più maturo e meno legato ad una concezione obbligatoriamente favolistica della commedia romantica, con un soggetto di fondo indubbiamente più articolato rispetto alla sua recente filmografia.

Presentato il personaggio, over 50 sciupafemmine da un anno legato alla bella, milionaria ma stupidina Elena Cucci (soprannominata non a caso 48, per via dei neuroni), il film si snoda tra incontri che riportano Pieraccioni al cospetto di ex malamente abbandonate. Prima Caterina Murino, esilarante suora laica che masturba pazienti portatori di handicap; poi Gabriella Pession, elettrica professoressa di filosofia con ex marito geloso, suocera a carico e due figli che litigano parlando al contrario; a seguire Michela Andreozzi, nostalgico flirt anni ’80 che ha quasi del tutto perso la memoria; Antonia Truppo, dopo due anni di trattamento ormonale pronta a diventare uomo con tanto di ricostruzione del pene; ed infine Claudia Pandolfi, sua unica ex moglie nonché madre della 15enne Yolanda, interpretata da Mariasole Pollio, web star da quasi un milione di follower Instagram. A completare il cast tutto al femminile la grande Nunzia Schiano, saggia vicina del protagonista che elargisce perle di vita sulla solidità di coppia.

Imperfetti conosciuti, quelli scritti dal regista e da Bologna, a tratti capaci di regalare scenette particolarmente divertenti, con tanto di camei inattesi (Salemme, persino Carlo Conti), puntualmente frenate da un buonismo di fondo che da 20 anni Pieraccioni non riesce proprio ad abbandonare. Persino quando vuole intraprendere la strada del 50enne disilluso, padre assente che prova ad allacciare un rapporto con la figlia adolescente.

A briglie sciolte Leonardo si sgonfia rapidamente, perché forzatamente negli abiti di un giullare che persino nella mimica ha già dato e detto tutto, mentre è proprio nel Pieraccioni ingrigito, appesantito, stronzo e malinconico che il film abbraccia un senso, una qualsivoglia forma di ‘novità’. Per il resto c’è una struttura narrativa tremendamente prevedibile, con gag non sempre riuscitissime (eufemismo), scivoloni ricchi di disinformazione e luoghi comuni (la transizione di genere è una scelta talmente delicata che appare offensivo ridurla ad un confuso passaggio di vita improvvisamente stravolto dal messaggio di un ex) e personaggi malamente accennati (Gianluca Guidi su tutti), all’interno di un’opera che prova a riflettere sul significato della parola ‘amore’, tendenzialmente facile da pronunciare ma tutt’altro che semplice da ribadire, soprattutto nel corso del tempo.

Uscendo dalla malsana ottica della commedia romantica obbligatoriamente dolce, garbata e felicemente disegnata, dati alla mano abbandonata e rigettata dalla maggior parte del pubblico cinematografico, Pieraccioni potrebbe avere ancora qualcosa da dire. Fosse solo più corrosivo, e meno toscanaccio ciondolone provolone dalla conquista facile, la sua carriera d’attore/regista potrebbe ancora concedersi dimenticati e sfioriti picchi. Rimanendo nel limbo, tra apparente inattaccabile tradizione e ponderati rischi da doverosa maturità, finisce banalmente per galleggiare, tra flebili sorrisi e una gran quantità di retorica a buon mercato.

[rating title=”Voto di Federico” value=”5″ layout=”left”]

Se Son Rose (commedia, Italia) di Leonardo Pieraccioni; con Leonardo Pieraccioni, Michela Andreozzi, Elena Cucci, Caterina Murino, Claudia Pandolfi, Gabriella Pession, Mariasole Pollio, Antonia Truppo, Nunzia Schiano, Sergio Pierattini, Gianluca Guidi – uscita giovedì 29 novembre 2018.