Se tramontano i panettoni trascinando i film delle feste e non soltanto…
Ho dato una scorsa ai dati degli incassi di questo periodo, per quanto riguarda il cinema italiano e in particolare i film che si affacciano in particolare nel periodo delle Feste; e già maturano risultati, anzi non maturano…
Non voglio unirmi al coro compatto del dissenso sul cinema italiano che è tradizionale, ma si rinnova, su internet e Facebook , e sta diventando ampio, molto ampio. Ci sono specialisti che si applicano con cura ai funerali, con rubriche fisse in cui i funerali sono accompagnati da campane a lutto che suonano requiem lungo tutto l’anno. Non mi piace questa tendenza alla peste che tutto divora; e dipende spesso dalle reazioni di chi ha fatto il cinema, lo conosce e non lo riconosce più.
Il cinema è fatto da sempre per non essere riconosciuto. Generi, registi, attori, tecnici, costumisti e scenografi sono da sempre sottoposti a giudizi spesso superficiali, a incomprensioni, a valutazioni di incompetenti. Stendiamo veli se volete pietosi.
La lamentazione ha una lunga storia. C’è persino una canzone di Rodolfo De Angelis, intitolata “Ma cos’è questa crisi”, che risale agli anni del fascismo; da allora la canzone come una solfa immancabile, con una soluzione semplice: “la crisi c’è, per evitare chiamare bravi registi e soci…”
Basterebbe? Non basterebbe. Il cinema italiano si è giovato per decenni di Cinecittà, aperta nel 1937, la nuova città del cinema che ha vissuto solo 6 anni nel periodo fascista e del crollo del medesimo per la sconfitta militare e il cambiamento avvenuto con la prima repubblica e la democrazia.
Il neorealismo è nato grazie a registi formatisi prima del fascismo al potere e ai più giovani (Rossellini…). Cinecittà riprese solo nel 1948 con “Cuore” di Coletti e “Fabiola” di Blasetti, che portavano ancora i segni del cinema precedente; con film storici e commedie brillanti di buona qualità, e con alcuni film di propaganda, meno numerosi di quanto si possa pensare. A dare colpi di vita a Cinecittà, undicenne, furono i nuovi, grandi produttori (De Laurentiis, Ponti, Lombardo…) e piccoli (Peppino Amato…). La ripresa, straordinaria, fu creata da una domanda del pubblico che riempiva le sale, andava a vedere Totò e altri comici.
Poi, arrivarono gli autori (Fellini…) e i registi della commedia all’italiana che io preferisco a chiamare “degli italiani” (Risi, Monicelli…). Gli americani avevano occupato Cinecittà, insultando i cineasti italiani chiamandoli semplicemente fascisti; venne inventata la Hollywood sul Tevere, dive, divette, culturisti, arrivarono in massa a Via Veneto, la conquistarono, piantarono all’Excelsior la bandiera stelle e strisce; scoprirono Sergio Leone in “Ben Hur”, e con De Laurentiis e Ponti fecero superproduzioni. Le vene kolossal si esaurirono, e dive, produttori e finanziatori, ripiegarono i vestiti da sera e i tovaglioli di restaurant romani come “Alfredo and his fettuccine…”, e tornarono ai pascoli in Usa in the World.
La storia del cinema italiano vede una grande resistenza e una grande controffensiva con la commedia “degli italiani”, i nuovi comici (Tognazzi…), gli attori (Mastroianni… e le maggiorate trasformate…); arrivarono i giovani (Bertolucci…). Trent’anni non sono pochi: dai Cinquanta agli inizi degli Ottanta, il cinema ha vissuto, e poi ha cercato di sopravvivere. Perché?
Perché non c’è stata una conversione industriale, radicale e capace di cogliere i tempi in arrivo. Tutti amano Cinecittà, ed è giusto, ma le memorie non bastano. Non bastano le sovvenzioni e gli aiuti vari dello Stato; non bastano i bei film e i bravi registi giovani sopraggiunti. Essi e tutti noi ci muoviamo in una mentalità da archeologia industriale; ci si muove male, non si agisce, si litiga nel vuoto, tra delusione e poche speranze, in ambiti provvisori, aggiustamenti artigianali che hanno dato i loro frutti in passato. E ora?
Sono inutili le polemiche. Gli esperti, gli addetti, le volontà politiche, gli autori “non” possono vivere di archeologie, di nostalgie, nostalgie artigianali. E’ tutto l’insieme che ha concreto bisogno di progettazione. Altrimenti… i cinepanettoni che s’ammosciano non sono solo semplici segnali ma sono scricchiolii, primi scosse di terremoti. Speriamo di no. Meglio non abituarsi ai terremoti.