Shane Carruth potrebbe aver chiuso col cinema?
Un film ancora e poi basta, anche se nemmeno Carruth sa se il suo terzo progetto vedrà mai la luce
Come trascorre il proprio tempo in questo periodo Shane Carruth? Dall’intervista rilasciata ad Indiewire, pare che le sue giornate passino spedendo mail, occupandosi del suo lavoro (anche se non specifica quale), giocando ai videogiochi e guardando Joe Pera Talks With You e Rick and Morty (ma soprattutto Joe Pera; secondo Carruth si tratta d’intrattenimento e meditazione insieme).
Come vedete, niente o quasi lascia supporre che stia lavorando a qualcosa, ossia un nuovo film. Il suo canale su Vimeo, in tal senso, confonde ancora più le idee, oltre che far sentire chi scrive un po’ colpevole nel segnalarlo nuovamente, quasi che stessi diffondendo un angolo che in realtà il nostro vorrebbe nascosto, o per lo meno, difficile da trovare.
È il rapporto conflittuale che emerge anche dall’intervista che stiamo menzionando: Carruth che crede di essere arrivato, che dopo Primer ha il mondo ai suoi piedi, è sul punto di spaccare tutto; salvo poi doversi arrendere all’evidenza di non volersi prestare al gioco, oppure di non esserci tagliato. Perciò la frustrazione, quel senso di tempo sprecato. Si pensi a A Topiary, un sin troppo ambizioso sci-fi a quanto pare, così come a The Modern Ocean, che a un certo punto sembrava in procinto di essere essere iniziato, le riprese intendo. Nulla da fare, non se ne fece alcunché.
Ora sta producendo un film, The Wanting Mare, dell’esordiente Nicholas Ashe Bateman, verso cui Carruth ha solo parole lusinghiere. Non vorrebbe neanche apparire nei titoli di coda, ma se questo può aiutare un giovane cineasta alle prese col suo primo progetto perché no? Ci tiene tuttavia a far sapere di non aver dato alcun contributo, se non qualche suggerimento. Ma lui, Shane, di film ne tornerà a girare, sì o no? Roba sua, come Primer ed Upstream Color. Oppure ha smesso definitivamente, come si è vociferato lo scorso anno?
La risposta breve è sì. Ho un altro progetto davanti a me. Non dovrei dire nulla però. Sto ancora mettendo a fuoco i contorni. Ma è una cosa mia. Non dico che sto lavorando a un progetto sperando poi che Paramount si offra di realizzarlo o quello che è. Ho smesso con quelle dinamiche lì. Ci sono migliaia di altre cose che m’interessa fare nella vita e di cui non parlo, perché al film Twitter non interessano. Ho degli interessi e mi dirigerò verso quella direzione lì. Non ho intenzione di spendere il resto della mia vita parlando con degli stronzi nel tentativo di farmi concedere un cazzo di prestito ponte o qualunque sia la cosa di cui si occupano. Tutta ‘sta farsa è stupida. Non c’è niente di reale.
Inutile fare le pulci a dichiarazioni del genere, di per sé eloquenti. Traspare nondimeno tutta l’amarezza per gli anni buttati, cercando d’inseguire cose che, evidentemente, anche se a posteriori è facile dirlo, non sono mai esistite. In questo caso la possibilità di fare il grande salto. Infatti qui viene il bello.
Non sarò uno di quei tizi che spendono il resto della propria esistenza dicendo quanto volgare sia Hollywood. Lo sapevamo già. È solo che ho avuto modo di apprendere come funziona. Non voglio passare la seconda parte della mia vita togliendo e scegliendo cose. Mi piacerebbe tanto avere un sacco di soldi. Se li avessi, distribuirei ‘sta cosa, dopodiché prenderemmo quel che ci spetta e lì finirebbe.
Per chi non lo sapesse, con Upstream Color nel 2013 Carruth e soci provarono qualcosa di molto ardito, ossia distribuire autonomamente il film. Chissà quanto abbia rinforzato l’idea che il buon Shane altro non sia che un maniaco del controllo, cosa che, in fin dei conti, non ha mai davvero negato. D’altronde già sette anni fa, ma ancora prima, nel 2004, si era capito che girare un film è di per sé alla portata pressoché di chiunque. Il difficile viene dopo. Ed è in questo passaggio che qualcosa, per dire il meno, deve averlo contrariato, per quanto i numeri ci dicano che, a fronte dei centomila dollari investiti, ne sono entrati oltre il mezzo milione.
Giunti a questo punto, il quesito resta irrisolto. Sta lavorando a un altro film, verosimilmente l’ultimo, ma in questa fase non è chiaro se né se vedrà la luce né a quali condizioni. C’è un passaggio dell’intervista in cui Carruth auspica la dipartita violenta dello studio system entro cinque anni, il che, a occhio, lascia intendere non sia quella la strada che vuole battere. Si tratterà di capire allora se ci vorrà un budget sostanzioso, e quindi dovrà darsi da fare per reperire certe somme, con o senza l’ausilio di professionisti, oppure se sarà qualcosa di più gestibile, ed allora, chi lo sa, potrebbero non volerci altri dieci anni. Anche se con Carruth mai dire mai.