Home Dramma Shoshana: trailer e clip in italiano del thriller politico di Michael Winterbottom (Al cinema dal 27 giugno)

Shoshana: trailer e clip in italiano del thriller politico di Michael Winterbottom (Al cinema dal 27 giugno)

Nei cinema italiani con Vision Distribution Shoshana, un thriller politico di Michael Winterbottom con Douglas Booth, Irina Starshenbaum, Harry Melling e Aury Alby.

28 Giugno 2024 10:50

Presentato al Toronto Film Festival, dal 27 giugno 2024 nei cinema italiani con Vision Distribution Shoshana, un thriller politico di Michael Winterbottom (Benvenuti a Sarajevo) ambientato negli anni Trenta a Tel Aviv e ispirato a eventi realmente accaduti.

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Shoshana – Trama e cast

Nei cinema italiani con Vision Distribution Shoshana, un thriller politico di Michael Winterbottom con Douglas Booth, Irina Starshenbaum, Harry Melling e Aury Alby.

Ispirato a eventi realmente accaduti, Shoshana è ambientato negli anni Trenta a Tel Aviv, una nuova città ebraica di matrice europea costruita sulle coste del Mediterraneo. Attraverso la relazione tra Thomas Wilkin (Douglas Booth) e Shoshana Borochov (Irina Starshenbaum), il film racconta come la violenza e l’estremismo riescano a creare una separazione tra gli individui, costringendoli a scegliere da che parte schierarsi. Membro della squadra antiterrorismo delle forze di Polizia Britannico-Palestinesi, Wilkin affianca Geoffrey Morton (Harry Melling) nella caccia a un leader clandestino, il carismatico poeta Avraham Stern (Aury Alby). Stern è convinto che la costruzione dello stato di Israele debba necessariamente passare attraverso la violenza, e Wilkin e Morton diventano i suoi principali obiettivi. Come molti a Tel Aviv, Shoshana è moderna, progressista e femminista. Odia le politiche di Stern e i suoi seguaci ma con l’intensificarsi del clima di violenza, sarà costretta a decidere accanto a chi vorrà combattere.

Shoshana – Le clip ufficiali in italiano

Curiosità sul film

Nei cinema italiani con Vision Distribution Shoshana, un thriller politico di Michael Winterbottom con Douglas Booth, Irina Starshenbaum, Harry Melling e Aury Alby.

  • Michael Winterbottom dirige da una sua sceneggiatura scritta con Laurence Coriat e Paul Viragh.
  • Il cast tecnico: Fotografia di Giles Nuttgens / Montaggio di Marc Richardson / Scenografia di Sergio Tribastone / Costumi di Anthony Unwin
  • “Shoshana” è prodotto da Revolution Films, Bartlebyfilm con Vision Distribution, in collaborazione con Sky.

Note di regia

Nei cinema italiani con Vision Distribution Shoshana, un thriller politico di Michael Winterbottom con Douglas Booth, Irina Starshenbaum, Harry Melling e Aury Alby.

“Shoshana” è un progetto partito 15 anni fa, quando mi trovavo al Jerusalem Film Festival con Joshua Hyams (produttore) per la premiazione di Un Cuore Grande. Il film narrava la storia di Marianne Pearl, impegnata nella instancabile ricerca del marito
Daniel rapito in Pakistan e, per l’occasione, era stata organizzata anche una breve retrospettiva dei nostri film. Mentre ero lì lessi il libro di Tom Segev, One Palestine, Complete, un eccellente resoconto del periodo tra le due guerre, durante il mandato britannico in Palestina.

È una parte del percorso coloniale inglese a lungo trascurata, se non addirittura dimenticata, ma centrale per la storia di Israele. Mentre leggevo era ancora in corso l’occupazione americana di Iraq e Afghanistan, che in qualche modo evocava gli errori commessi dai britannici in Palestina.

Con Joshua ci tuffammo immediatamente nel progetto recandoci a Tel Aviv e Gerusalemme, esaminando il meraviglioso archivio del Spielberg Film Institute e lavorando con il nostro ricercatore israeliano Hila Baroz. La storia di Shoshana Borochov e Tom Wilkin ci sembrava un punto di partenza perfetto per il nostro film, perché mette in risalto come la violenza e l’estremismo riescano a tracciare un solco tra gli individui, costringendoli a scegliere da che parte schierarsi.

Dopo tanti anni di tentativi, forse non è un caso che siamo finalmente riusciti a terminarlo in un periodo in cui il tema è più che mai rilevante, non solo in relazione ai recenti avvenimenti proprio in Israele, ma anche all’Inghilterra, dove la Brexit ci ha costretti in campi separati, all’America di Trump e alla tragedia Ucraina ancora in atto.

[Michael Winterbottom]

Shoshana – Il trailer ufficiale in italiano

Michael Winterbottom – Note biografiche

Nei cinema italiani con Vision Distribution Shoshana, un thriller politico di Michael Winterbottom con Douglas Booth, Irina Starshenbaum, Harry Melling e Aury Alby.
Michael Winterbottom (Photo by Michael Buckner/Variety via Getty Images)

  • Durante la sua carriera, Michael Winterbottom ha girato tre film candidati a Cannes per la Palma D’Oro, sette candidati a Berlino per l’Orso D’Oro, e uno candidato a Venezia per il Leone D’Oro. In America, diciotto dei suoi film sono stati presentati in anteprima al Festival di Toronto o al Sundance.
  • Cose di questo mondo ha ricevuto un Orso D’Oro a Berlino e un BAFTA per Miglior Film in Lingua Straniera.
  • The Road To Guantanamo ha ottenuto un Orso D’Argento a Berlino per Miglior Regia e un BIFA per Miglior Documentario.
  • Wonderland ha vinto un BIFA per Miglior Film.
  • Genova ha ricevuto una Conchiglia D’Argento per Miglior Regia al festival di San Sebastian. Sei dei suoi film sono stati nominati ai BAFTA, e tre li hanno vinti.
  • Michael Winterbottom è stato Visiting Professor in Studi Cinematografici all’interno del programma Humanitas dell’Università di Oxford. È Honorary Fellow del Balliol College di Oxford ed è Honorary Doctor alla facoltà di Lettere presso l’Università di Bristol.

Intervista al regista

Nei cinema italiani con Vision Distribution Shoshana, un thriller politico di Michael Winterbottom con Douglas Booth, Irina Starshenbaum, Harry Melling e Aury Alby.

Parliamo della genesi di Shoshana: come vi siete imbattuti in questo particolare momento storico?

Ormai è passato talmente tanto tempo dall’inizio di questo progetto, che è difficile ricordare esattamente come siamo incappati in questa storia. Circa 15 anni fa mi trovavo al Jerusalem Film Festival: era stata organizzata una breve retrospettiva dei miei film per la premiazione di “Un cuore grande”. Mentre ero lì lessi “One Palestine, Complete” di Tom Segev, un bellissimo libro su una parte della storia britannica che conoscevo solo superficialmente, il periodo del controllo britannico della Palestina tra le due guerre mondiali. Penso che l’idea di fare un film ambientato in Israele sia nata da quel libro. Mentre lo leggevo la situazione in Iraq era ancora complessa e direi che l’ispirazione mi venne dalle somiglianze che vedevo tra il ruolo che la Gran Bretagna giocava in Palestina nel periodo interbellico e quello che l’America ha più recentemente giocato in Iraq e poi in Afghanistan. Segev è molto abile nel descrivere una situazione che in un certo senso non era frutto di un disegno preciso da parte dei britannici. Loro semplicemente erano lì: ci erano arrivati durante la Prima guerra mondiale e avevano preso controllo del territorio, ma non sapevano bene come comportarsi. Avevano di fronte due gruppi, gli arabi palestinesi e la popolazione ebraica che stava cercando di costruire Israele, e non avevano idea di come gestirli. Molti britannici si lamentavano chiedendosi perché fossero lì e quale fosse, appunto, il disegno politico. Ma non c’era nessun disegno e la politica cambiava di continuo.

Come hai scelto i tuoi protagonisti?

Quando si tratta di casting, l’obiettivo è trovare gli attori perfetti per i ruoli che hai in mente. Uno degli elementi chiave era che Tel Aviv, all’epoca dei fatti, era una città molto giovane, perché la popolazione ebraica proveniente dalla Polonia, dalla Russia, o da altri paesi europei era in gran parte composta da adolescenti, e volevamo quindi anche una giovane Shoshana. Anche i nostri protagonisti britannici erano piuttosto giovani: quando Geoffrey Morton e Tom Wilkin dirigevano il gruppo anti-terroristico a Tel Aviv avevano meno di 30 anni, e noi volevamo trovare e trasmettere l’energia che si ha a quell’età. Penso che siamo stati molto fortunati: Douglas Booth, che interpreta Tom, e Harry Melling, che interpreta Geoffrey, sono due giovani attori di grande talento, e ho capito subito che sarebbero stati perfetti.

La storia di Shoshana Borochov è nota al grande pubblico?

A Shoshana abbiamo voluto ispirarci liberamente, decidendo perfino di evitare di leggere un libro che la vede protagonista in una versione della sua storia altrettanto romanzata. Sul resto, invece, abbiamo fatto molte ricerche, per farci un’idea precisa del tempo e dei luoghi. Abbiamo attinto non solo agli archivi storici e cinematografici, ma anche, ad esempio, all’autobiografia di Geoffrey Morton. Abbiamo anche intervistato diverse persone: naturalmente non sono molte quelle ad essere ancora in vita, ma tra di loro c’era David Shomron, uno degli assassini di Tom Wilkin. Quella parte del film è assolutamente fedele a ciò che lui ci ha raccontato. Non abbiamo cambiato niente di quello che abbiamo potuto basare su testimonianze reali ma, ovviamente, altri momenti della storia sono frutto della nostra immaginazione. È un’opera di fantasia basata su eventi realmente accaduti. Credo ci sia un breve riferimento alla storia di Shoshana nel libro di Tom Segev. Durante le nostre ricerche ci siamo prima imbattuti in Tom Wilkin e nella sua relazione con Shoshana, poi in quella con Geoffrey Morton, e infine in quella tra i due e Stern. Ci siamo detti: “OK, è una storia semplice e con pochi personaggi, che può aiutare a far comprendere la complicata situazione di quel momento storico”.

Dove avete scelto di girare il film?

Abbiamo girato in Puglia, in Italia. Dovevamo cercare di replicare Tel Aviv, che era stata costruita nel 1924, quindi ci servivano molte palazzine basse e bianche che avessero circa 15 anni di vita. La Tel Aviv di oggi è enorme e piena di grattacieli, e abbiamo capito subito che non potevamo girare lì. Ovviamente non potevamo usare le costruzioni originali degli anni ‘30 perché oggi avrebbero quasi un secolo, mentre la Tel Aviv di allora era una città nuova, ma in Puglia abbiamo trovato un’architettura molto simile, fatta però di case recenti. Con noi c’erano molti attori israeliani ed erano veramente stupiti della somiglianza.

Come avete fatto, con un budget limitato, a creare una scenografia così realistica?

Sergio Tribastone è un grandissimo scenografo e ci siamo divertiti molto a disegnare il set. Certo, siamo stati fortunati perché il paesaggio era perfetto per riprodurre Israele: il mare è lo stesso e anche la costa è molto simile, con le colline, gli alberi d’ulivo, eccetera. In Puglia le località in cui abbiamo potuto lavorare sono tantissime e Sergio è fantastico, ha fatto un ottimo lavoro. Effettivamente il budget a nostra disposizione non era altissimo, ma, una volta trovate le location giuste, piuttosto che aggiungere cose, o doverle costruire da zero, ci siamo concentrati su cosa togliere e su come eliminare i problemi.

Avete usato anche molti filmati d’archivio, come li avete selezionati?

Per la verità faccio fatica a ricordarlo, ormai, è un lavoro che abbiamo fatto più di dieci anni fa. Io e Josh Hyams, il produttore, siamo andati in Israele e, per prima cosa, abbiamo visitato l’Archivio Spielberg a Gerusalemme, e poi credo qualche altro archivio cinematografico, visionando molti filmati e bellissimi documentari. C’era veramente tanto materiale interessante, che ci ha dato un’idea dell’ambiente e dell’atmosfera. È stata la nostra fonte d’ispirazione per la ricostruzione di Tel Aviv.

In un film come questo ci sono molte scene violente. Qual è stato il tuo approccio nel descrivere la violenza così come era veramente?

Questo ci riporta alla domanda su cosa nel film sia reale e cosa immaginario. Era importante non mitizzare nessuno perché si finisce col generare un certo gusto di fronte alle scene di violenza. Nel film la violenza è stigmatizzata, e accade per mano di entrambe le parti, tanto dal lato britannico quanto da quello di Stern. Le scene violente sono tante, ma sono girate in modo da far capire quanto ci si possa sentire sotto pressione, di fronte ad una minaccia del genere. Volevamo dipingere la Tel Aviv di quel tempo in maniera realistica, per trasmettere come fosse difficile, per Tom e Shoshana, mantenere salda una relazione in un clima tanto ostile.

Ci sono momenti del film che ricordano molto Welcome to Sarajevo. In termini di filmografia come lo collochi? Lo vedi come una prosecuzione dei tuoi lavori precedenti?

Ci sono certamente dei punti di contatto, ma il protagonista di Welcome to Sarajevo è un giornalista. Ho girato diversi film dal punto di vista di un giornalista ma in un certo senso poi me ne sono sempre pentito, perché in realtà stai facendo un film su qualcuno che stai già raccontando una storia. In quel caso, essendo io britannico, era un modo per me di raccontare ciò che stava avvenendo a Sarajevo con un certo grado di legittimità. Ma con Shoshana penso che addentrarsi nella vera storia di giovani britannici che dirigono la squadra anti-terrorismo a Tel Aviv renda tutto molto più vivido e immediato.

Adesso che tutti vedranno il film, che tipo di reazione vorresti che suscitasse? In queste settimane stiamo assistendo a un altro scoppio di terribile violenza in Israele e a Gaza.

I fatti narrati nel film si riferiscono a circa 80 anni fa e non sembrerebbero, quindi, direttamente collegati, ma io credo che capire la storia e ciò che è accaduto in passato possa aiutarci a comprendere meglio cosa succede nel presente. Il film è ambientato nella Tel Aviv degli anni ‘30 e analizza non solo i contrasti tra la destra e la sinistra, ma anche tra chi ritiene la violenza necessaria e chi invece crede nel processo politico. In Israele questi contrasti non si sono mai attenuati, e sono parte integrante del dibattito portato in strada dalle persone scese in piazza per protestare contro le politiche del governo di Netanyahu. Ricollegandoci, quindi, a ciò che sta succedendo oggi, credo che il rapporto tra Tom e Shoshana mostri chiaramente come la violenza politica sia capace di tracciare un solco tra le persone, costringendole in campi separati, e trasformando chi interpreta la realtà in maniera diversa in un nemico. E questo può portare alla guerra. All’inizio della storia, Shoshana crede, così come credeva anche suo padre, che arabi ed ebrei possano vivere in pace, gli uni accanto agli altri, e non è un caso che intraprenda una relazione con un agente delle forze britanniche. Al termine del film, invece, lei e tutto il gruppo dell’Haganah finiscono col trovarsi a combattere prima i britannici e poi anche gli arabi, e questo non perché l’idea di fondo è cambiata, ma perché la violenza ha prevalso. Perché quando combatti una guerra è impossibile non schierarsi. La violenza può sembrare una soluzione semplice, un modo per ottenere ciò che vogliamo ma, una volta entrata nei gangli della politica, è molto difficile tornare indietro, e nel lungo periodo finisce col rappresentare il problema, piuttosto che la soluzione.

Shoshana – La colonna sonora

  • Le musiche originali del film sono del compositore David Holmes Diana – La storia segreta di Lady D, Elser – 13 minuti che non cambiarono la storia, Independence Day – Rigenerazione, Panama Papers, Detective Marlowe, Rapiniamo il duce.
  • Il regista Michael Winterbottom parla della ruolo importante della musica nel film:

[Ride] Scegli della musica che ti piace e usi quella! Se ne è occupato David Holmes, con il quale avevo già lavorato in passato, e anche questa volta ha fatto un ottimo lavoro. Certo, il film ha molte scene d’azione e anche elementi del thriller, ma non volevo che la musica fosse troppo invasiva. Dall’inizio avevo in mente di usare ‘The Man I Love’ di George Gershwin, non solo perché è una canzone che adoro, ma soprattutto perché non dimostra gli anni che ha. Quando la ascolti, oggi, non pensi che abbia 100 anni, ma è stata scritta nel 1924, quindi era già vecchia anche all’epoca dei fatti. E poi è una canzone bellissima e se hai l’opportunità di inserire una canzone così bella nel tuo film e hai una buona ragione per farlo, perché no.

Winterbottom spiega il tipo di collaborazione avuto con David Holmes?

Discutere quello che hai in mente con un compositore è difficilissimo, perché è tutto molto astratto. Di solito quello che accade è che cominci a inserire dei pezzi come suggerimento: quando fai il primo montaggio, ci metti dentro la musica. David ha fatto parte del progetto sin da subito e per la prima versione abbiamo usato un mix della sua musica e di quella di Morricone, o musica molto simile alla sua, con quello stile anni ’70. Si capiva subito che non era contemporanea, ed era quello che volevo. Non volevo avere una colonna sonora che fosse chiaramente musica del 2023 inserita nelle scene del 1933, ma allo stesso tempo, non volevo che fosse esclusiva di quel periodo. E credo che quel tipo di musica degli anni ’60 e ’70 abbia quel sapore, non puoi datarla con precisione. Direi che David è stato probabilmente influenzato da quella musica, ma in modo positivo.

  • David Holmes è un DJ e produttore nato a Belfast. Nella sua variegata vita professionale, ha prodotto cinque dei suoi album e oltre 30 colonne sonore di film. Avendo fatto il DJ dall’età di 15 anni, Holmes ha continuato a gestire una delle serate più apprezzate di Belfast – Sugar Sweet – che ha portato la cultura acid house e rave in una città immersa nei Troubles. Holmes ha prodotto Noel Gallagher, Primal Scream e ha remixato artisti del calibro di Orbital, Jarvis Cocker e molti altri. Ha anche prodotto acclamate colonne sonore per Steven Soderbergh (in oltre 10 film inclusa la trilogia di Ocean’s Eleven), Michael Winterbottom, Yann Démange e Steve McQueen che gli sono valse numerosi premi tra cui un BAFTA e 2 Ivor Novello. Entusiasmo e piacere per il suono sono qualcosa che David Holmes non ha mai perso. Da The Holy Pictures, il suo ultimo album solista nel 2008, il lavoro di Holmes è stato prodigioso e diversificato. Oltre a produrre e remixare numerosi artisti, è stato responsabile di numerose colonne sonore di film e TV tra cui Hunger di Steve McQueen, This England di Michael Winterbottom e Lyra, il documentario sulla giornalista investigativa assassinata Lyra McKee. A metà degli anni 2010, Holmes ha formato la band Unloved con il collega artista della colonna sonora Keefus Ciancia e la cantante Jade Vincent, la loro musica è presente in ogni serie della serie TV della BBC di successo internazionale Killing Eve. [Fonte David Holmes]

 

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