Silent Hill: recensione
Sharon è una ragazzina sonnambula che durante il sonno pronuncia il nome di una città, Silent Hill. Cosa la collega a quel posto ormai deserto, bruciato anni prima da un incendio spaventoso? La madre Rose decide di portarla proprio là, sia mai possa capire qualcosa. Si ritroverà in un incubo. Silent hill, come tutti sanno,
Sharon è una ragazzina sonnambula che durante il sonno pronuncia il nome di una città, Silent Hill. Cosa la collega a quel posto ormai deserto, bruciato anni prima da un incendio spaventoso? La madre Rose decide di portarla proprio là, sia mai possa capire qualcosa. Si ritroverà in un incubo.
Silent hill, come tutti sanno, è tratto da un videogioco di successo e si respira fin da subito quell’aria angosciosa e inquieta dell’ambientazione da Playstation. La scenografia, curata da Caroline Spier, è efficace, gli ambienti sono da vero incubo, claustrofobici, paurosi, impregnati di terrore.
La fotografia, di Dan Laustsen, sottolinea i diversi ambienti del film, Silent Hill di giorno, nell’oscurità, nella realtà, nei diversi piani temporali, persino nel flash-back.
Il regista Christophe Gans e lo sceneggiatore Roger Avary collaborano per regalarci brividi e sussulti ad ogni inquadratura. Il secondo, poi, aggiunge spessore alla storia con una trama abbastanza solida che riporta alla galla la vera crudeltà di Silent Hill. I veri mostri non sono di certo i bacarozzi bastardi, il Pyramid Head con l’enorme coltello o le creature che paiono uscite da un video di Marilyn Manson. No, la crudeltà si nasconde dietro l’apparenza mite di persone insospettabili, perché qualcuno “è lupo travestito da agnello”.
Voto Carla: 7
Una curiosità: le infermiere che Rose trova nel corridoio sono interpretate da ballerini professionisti. Sono splendide, riescono a trasmettere tutta l’inquietudine necessaria.
Mi hanno ricordato il meraviglioso video dei Daft Punk, Around The World. Avete presente? Lo trovate su continua…