Smiley – recensione in anteprima
Il giovane regista esordiente Michael Gallagher confeziona uno slasher a sfondo psicologico omaggiando Candyman, Scream e Nightmare, ma puntando troppo in alto dimentica per strada l’elemento orrorifico risultando oltremodo pretenzioso.
La M2 Pictures distribuisce ad un anno dalla sua uscita negli States questo thriller-horror indipendente, scegliendo come giornata d’esordio nelle sale nientemeno che Halloween, insomma un’occasione per i patiti dell’horror di celebrare la Notte delle streghe al cinema.
La trama è incentrata su una leggenda metropolitana, un serial-killer di nome Smiley (nomignolo dovuto alla maschera che indossa, una efferata versione cicatriziale dello “Smile”), spauracchio internettiano che se evocato tramite una chat uccide in “streaming” chiunque si desideri veder morto, naturalmente con l’ausilio di una frase di rito ripetuta tre volte, un affilato coltello d’ordinanza e con indosso sempre la beffarda maschera sorridente. Protagonista del film, ambientato in un campus universitario, è la psicologicamente fragile Ashley (Caitlin Gerard) che non appena iniziata la sua avventura al college, curiosando in chat con un’amica, sperimenterà i servizi online di Smiley, che dal momento in cui sarà evocato comincerà a tormentarla, portandola in brevissimo tempo sull’orlo della follia.
Smiley non è purtroppo un horror, o meglio non lo è nella connotazione in cui viene presentato ad un potenziale target di pubblico, parliamo di un target che ha apprezzato Scream, la trilogia Urban Legend e il thriller So cosa hai fatto, quindi escluso Scream che lavora a più livelli, ci riferiamo ad un pubblico molto giovane che in cerca di un film “grandguignolesco” alla Saw potrebbe restare molto deluso da ciò che vedrà su schermo, come peraltro chi tra i patiti di horror è in cerca di uno slasher d’atmosfera alla Halloween.
Il regista forse in un eccesso di entusiasmo cerca di dare spessore (troppo) ad uno slasher che aveva già in se elementi che avrebbero potuto decretarne il successo: in primo luogo l’azzeccatissimo look del killer tanto originale quanto inquietante e in secondo luogo l’elemento della leggenda metropolitana a sfondo sovrannaturale, di per se già pregna di appeal e se sfruttata in maniera adeguata capace di regalare una sana dose di brividi, che poi in ultima analisi è ciò che si cerca in primis quando si sceglie un genere come l’horror e affini.
Se dal punto di vista prettamente orrorifico e tensivo il film di Gallagher langue a più riprese, non bisogna trascurare il fatto che all’interno del plot non mancano citazioni e riflessioni interessanti sulla natura oscura di internet, sulla creazione di una mitologia della rete, sull’impatto sociologico e psicologico della condivisione selvaggia e sui pericoli insiti nella fruizione di violenza filtrata dallo schermo di un pc, una sorta di virtuale anestesia di ogni forma di empatia in grado di sopire coscienze e generare i mostri del nuovo millennio.
Quindi se da una parte siamo d’accordo su un palese fallimento del titolo sul piano dell’intrattenimento e dei meccanismi basilari che regolano un buon plot horror, un delicato equilibrio tra tensione, violenza e suggestioni a sfondo psicologico, d’altra parte non possiamo di certo ignorare la potenzialità espressa e non sfruttata vista su schermo ne tanto meno l’intenzione lodevole, anche se minata da un eccesso di entusiasmo, di alzare in fase di scrittura il livello di fruizione ispirandosi allo Scream di Wes Craven, ma diventandone di fatto una mediocre e confusa copia.
A dimostrazione di questo tentativo di “alzare il tiro” c’è il personaggio del professor Colton interpretato da un Roger Bart particolarmente ispirato, gli stralci delle sue lezioni che costellano la pellicola sono la parte del film più interessante e al contempo fuori luogo rispetto al citato target di riferimento. Bart interpreta Colton sul filo di un fascino ambiguo che stimola e al contempo destabilizza le giovani menti cui insegna, così si passa dal Rasoio di Occam all’Entropia per approcciare il sovrannaturale e la teoria che la razza umana sia solo un passo intermedio nell’evoluzione verso qualcosa di enormemente più elaborato; così si torna a Internet, a paragonare la potenza del cervello e di un solo neurone umano rispetto a ciò che l’uomo ha ricreato artificialmente con nodi e connessioni di rete e si finisce per citare lo Skynet di Terminator e il Neo di Matrix; tutto molto interessante, senza dubbio stimolante, ma Gallagher mette davvero troppa carne al fuoco rispetto al contesto in cui si muove.
Il serial-killer Smiley aspira alle suggestioni sovrannaturali di un Candyman, all’ampiezza di movimento di un Freddy Krueger e alla fredda violenza di un Michael Myers, ma in realtà i suoi omicidi sono distanti, eccessivamente filtrati dal piccolo schermo di una chat sono incapaci di inorridire. Gli omicidi perpetrati da Smiley sono si brutali, ma poco coreografici, orchestrati in una sorta di modalità “Picture-in-Picture” che aumenta la distanza dall’atto, forse una scelta voluta che però il film paga in empatia e in una conseguente mancanza di coinvolgimento.
Se la protagonista Ashley (Caitlin Gerard) ci ha ricordato a tratti la Nancy Thompson di Nightmare, Smiley di contro non ha una propria dimensione in cui esprimersi come quella onirica di Freddy Krueger e attraverso la quale raggiungere tanto le vittime quanto gli spettatori; Smiley somiglia più ad un’immagine riflessa in uno specchio deformante che ci mostra la rete cannibalizzare se stessa; non ha poteri, non ha fascino e non possiede creatività omicida, Smiley è semplicemente la banalità del male e proprio per questo totalmente inerte dal punto di vista cinematografico.
Voto di Pietro: 4,5
Smiley (thriller-horror / USA 2013) Un film di Michael J. Gallagher. Con Caitlin Gerard, Melanie Papalia, Shane Dawson, Andrew James Allen, Liza Weil, Toby Turner, Roger Bart, Keith David, Richard Ryan, Jason Horton. Uscita 31 ottobre 2013. Qui trovate il trailer italiano del film.