Spider-Man: Far from Home, recensione, un nuovo Peter Parker
Con Endgame che inevitabilmente alleggia, Spider-Man: Far from Home è più di un semplice sequel, vero e proprio crocevia di quel progetto decennale che è il Marvel Cinematic Universe
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Con il secondo film sull’Uomo-Ragno, Marvel conferma la natura atipica di questo personaggio rispetto all’intero Universo Cinematico. E lo fa già dal titolo, anzi, dai titoli: il primo, Homecoming, che può anche essere letto come un rientro, uno scoprire per la prima volta ciò che si è sempre stati, perciò diventarlo. Il giovane Peter Parker (Tom Holland) d’altronde questo fa, ossia impara ad essere ciò che è chiamato ad essere. A differenza di altri personaggi, tuttavia, lui è anche un adolescente che deve ancora capire tanto, troppo, su colui che c’è dietro la maschera. Ed è questa la componente che, di nuovo, informa pure Spider-Man: Far From Home.
Lontano da casa, materialmente, certo, dato che la classe di Peter va in gita in Europa. Lui e Ned (Jacob Balaton) a immaginare un viaggio che sanno già non andrà secondo le loro speranze, con queste ragazze europee che cadono ai piedi di due americani per il semplice fatto di avere quel passaporto. Al contrario, Peter vuole approfittare di tale occasione per dichiararsi a MJ (Zendaya), di cui è invaghito all’inverosimile. Lontano da casa, dunque, ma lontano soprattutto da quella versione di sé che il protagonista di questa storia ancora non conosce.
Archiviata infatti la vicenda di Endgame, tocca chiedersi non tanto cosa resti degli Avengers ma quale possa essere la loro funzione in un mondo la cui umanità prima è stata dimezzata, poi all’improvviso è ricomparsa come se niente fosse (almeno per chi è tornato). Le prime sequenze giocano proprio su questo tutt’altro che trascurabile evento, spiegando che chi è tornato in vita, chiaramente, non è invecchiato di un secondo rispetto a quando si dissolse nel nulla. Insomma, è rimasto in sospeso chissà dove. Si capisce allora che Far From Home non è semplicemente il secondo capitolo della saga di Spider-Man, bensì il crocevia per ciò che l’intero progetto Marvel potrebbe diventare. A suggerirlo c’è dell’altro anche.
Tony Stark (Robert Downey J.), infatti, in Peter non ha semplicemente scorto del potenziale: in quest’anonimo teenager del Queens Iron Man vede infatti il futuro degli Avengers, dunque la persona ideale a rimpiazzare ciò che lui è stato per questo gruppo. Una fiducia spropositata, che in questo sequel si traduce in un vero e proprio passaggio di testimone, affidando a Peter le chiavi del regno (non vi dirò in che termini, chiaramente). È l’ennesimo battesimo del fuoco, la sfida terribile che l’eroe deve affrontare lungo quel cammino che lo porterà là dove abbiamo accennato in apertura, cioè alla scoperta di sé stesso.
Che gli autori a questo punto si siano trovati a dover mitigare la doppia natura di questo progetto risulta evidente da una prima ora nel corso della quale si fa leva sul coming of age, ovvero l’illustrazione delle difficoltà che un ragazzo di quell’età è chiamato a fronteggiare di suo, senza bisogno di avere pure la responsabilità di essere un supereroe (e che supereroe). Sì, questo processo qui è intervallato dall’irrompere di una minaccia, gli Elementali, e di un nuovo, possibile alleato, ossia Mysterio, Quentin Beck (Jake Gyllenhaal), il cui contributo per contenere l’inedito nemico si rivela determinante. Beck diventa una sorta di mentore per Peter, che con la morte di Stark ha di fatto perso un padre.
Come si vede, ci sono tutti gli ingredienti epici e fiabeschi che contraddistinguono il canone dell’eroe, cui Spider-Man si presta più di altri. Ma è come se si assistesse all’appendice di una storia delle origini, come se la Marvel stesse ancora prendendo tempo in attesa di capire cosa fare a questo punto. Endgame ha se vogliamo portato alle estreme conseguenze certe peculiarità di questo progetto, di un intero modo d’intendere il comic movie; ed è inevitabile trovarsi dinanzi ad una sorta di vicolo cieco. A confermarlo è la scena post-credit, non più un indizio che introduce un personaggio o un evento a venire, facendo per lo più leva su chi ha confidenza coi fumetti, ma una vera e propria bomba che rivede il concetto di cliffhanger applicato alla e dalla Marvel.
Espediente forse necessario, ma che non può chiaramente stravolgere l’esito di un film che si desta da un certo torpore solo verso la fine, quando intervengono delle sequenze (queste sì) spettacolari, tra illusioni ottiche ed alternanze dimensionali che ricordano certi escamotage visuali visti nel recente Spider-Man – Un nuovo universo; il tutto pure qui narrativamente fondato, anche se non per questo omogeneo rispetto a una narrazione che non gode di tutta questa gran armonia. In Far From Home ci sono infatti due film: uno è su Peter, l’altro è su Spider-Man.
Il primo è la solita manfrina sul ragazzino impacciato, umile ma estremamente intelligente, che cerca di dichiarare il suo amore a dispetto della sua goffaggine; l’altro, per certi versi migliore, funziona nella misura in cui cerca e dunque trova lo spettacolo, ricorrendo a quella computer grafica di cui in certi contesti, inutile negarlo, non si può assolutamente fare a meno. Brava perciò la Marvel nella spettacolarizzazione di questo sequel, meno nell’affrontare il seppur centrale conflitto su cui l’intera premessa del film comunque poggia. Far From Home, allora, come già accennato, trascende Spider-Man, divenendo un case study circa gli attuali limiti di un mosaico ben più grande.
Se tali limiti saranno o meno superati immagino sarà il tempo a dircelo. Quel che per ora è possibile fare sta nel cogliere e quindi evidenziare le sfide di cui la stessa Marvel è evidentemente consapevole, e questo nuovo tassello ne è senz’altro la prova: come ho sottolineato sopra, è come se si stesse prendendo tempo, con la prospettiva di chi però avverte di non averne. Nonostante un decennio ed oltre venti film, dimostrazione di forza notevole, è lecito domandarsi se si sia in grado di affrontare un passaggio così complesso, che potrebbe persino consistere nell’aver esaurito quella forza che ha condotto fino ad Endgame. Quest’ultimo, l’agognato approdo a cui Marvel ha sempre teso e con cui adesso deve fare i conti. Nel frattempo, lontano da casa, l’Uomo-Ragno non è poi così interessante, né avvincente o avventuroso.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”6″ layout=”left”]
Spider-Man: Far From Home (USA, 2019) di Jon Watts. Con Zendaya, Marisa Tomei, Jake Gyllenhaal, Jon Favreau, Tom Holland, Samuel L. Jackson, Cobie Smulders, Michael Keaton e Angourie Rice. Nelle nostre sale da mercoledì 10 luglio 2019.