Home Notizie Spira mirabilis: L’invisibile? Roba da cinema e d’arte, in un cinema traumatizzato dal “visibile”

Spira mirabilis: L’invisibile? Roba da cinema e d’arte, in un cinema traumatizzato dal “visibile”

Lo sappiamo bene, ma lo dimentichiamo, ovvero abbiamo “costretto” il cinema ad essere rieducato dalle dittature in cerca concretezza, visibilità, potere; a Venezia arriva “Spira mirabilis” e la parolaccia torna fuori: l’invisibile, ma cos’è?

pubblicato 5 Settembre 2016 aggiornato 30 Luglio 2020 06:07

Lo si è detto fin dal momento in cui Alberto Barbera, direttore della Mostra veneziana, ha annunciato l’inserimento in concorso del film Spira mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Attenzione, si tratta di una scelta particolare; lo hanno recepito in questo modo i giornali e le tv, macchine a volte demenziali quando sparano parole vuote, sotto sotto chiedendo scusa per Barbera, che è prudente ma non è un fifone. Al contrario, in questi anni ha imparato una lezione importante: la Mostra se ripete vecchi schemi, se rispetta oltre misura i monumenti d’autore (alberi senza frutti) si condanna al suicidio. Si sono tolti la vita di recente Lizzani e Monicelli, geniali, spiritosi, veri e propri analisti della realtà e dei costumi italiani. Erano stanchi di essere vecchi? e malati? Non ne potevano più di vivere in un paese in cui il cinema è avviato alla mediocrità effettiva e permanente? Io penso che ne avevano abbastanza di un cinema noioso e ripetitivo, seduto sulle epigrafi delle tombe del passato, le tombe di pellicola sono un morbo che vive, da zombie.

Il film di D’Anolfi e Parenti ha poco o nulla da dividere con i documentari premiati con Leoni o Orsi. Non appartiene agli sciami di temi sostanziali e decisivi, rovinati dalla sciatteria che copia, nel cinema dopo la netta vittoria egemonica della banalità, quella che ha preso il potere con la grandine sfilacciata e chiassosa del nulla mascherato di protesta e di voce alta, sonori da talk e tribune affollate e vocianti.

L’occasione e il valore del tentativo compiuto dai vertici della Mostra merita qualcosa di più, un approfondimento di un fatto che chiama in causa una questione decisiva.

Anzi, la questione decisiva è duplice. Da un lato il contesto della Mostra e l’inserimento di film o filmini schiacciati dal numero, dalla varietà delle scelte, dalla genericità dei titoli delle sezioni (esempio, quella di “Orizzonti”, una parola che più generica ed fuori posto che si possa usare. “Orizzonti”, che vuole dire? Mah.

Credo che la Mostra, nella persona del suo direttore Barbera, lo sappia; lo sa meglio di noi, e avrà quattro anni di tempo, con la rinomina, per concretizzare con i suoi collaboratori obiettivi, intenzioni, titoli. Lo spunto viene offerto proprio dalla prima della rassegna che si concluderà a fine settimana. Anche perchè il peso dell’andamento è condizionato proprio dalle caratteristiche delle pellicole distribuite, caratteristiche di tipo, tono, costi, realizzazioni, intenzioni di mercato. A me piacciono gli eleganti e concreti film, ovvero le proposte che calcolano quasi sempre con intelligenza le mire sul mercato, quello mondiale, e scuotono voglie di casse suonanti di dollari, euro, yen, peseta, eccetera, eccetera.

Faccio esempi. “La La Land”, “Arrival”, “Noctural Animals”, “Hacksaw Ridge” sono veri bombardieri di qualità di immagini, colonne sonore, sceneggiature, recitazione, registi (intelligenti, bravi, tesi senza dubbio ai risultati). Il confronto con opere come “Spira mirabilis” risulta incerto, precario, carico di perchè. Convivono, separati in casa, al Lido?

La mia non è una critica. Non mi interessa la critica. Ho sempre detestato gran parte di quella nazionale, ma anche quella straniera non scherza per confusione, altezzosità, elogi o condanne espresse in termini di scandalo in nome della purezza del cinema. Ahimè, Ahi tutti.

I numeri, le necessità, i panorami internazionali si sono ampliati. Venezia ha le carte in regola. Non imiti altri festival, li conosco, sono peggio. La ricerca dell’ “invisibile” consiste semplicemente nel “visibile” come facevano l’ateo Luis Bunuel, l’anticlericale credente Bresson, il marxista Visconti, il Fellini di “Roma” (ispiratore supremo di Sorrentino), Pasolini di disperata vitalità. Creativi non pigmei da marchi televisivi.