Split: recensione in anteprima del film M. Night Shyamalan
Gli ottimi James McAvoy ed Anya Taylor-Joy protagonisti del film di M. Night Shyamalan. Leggete la nostra recensione di Split
Dopo l’incoraggiante The Visit, M. Night Shyamalan conferma di aver trovato una nuova dimensione a lui congeniale con Split. Merito anche dell’ottimo James McAvoy e della giovane e brava Anya Taylor-Joy, già reginetta dell’horror lo scorso anno con The Witch
Non spreca un primo piano mister Shyamalan. Il suo Split è una piacevole conferma e per capire fino a che punto gli ottimi segnali lanciati con The Visit fossero premonitori, vale la pena inoltrarsi in questo viaggio attraverso la mente di un uomo dalle ventitré distinte identità. Kevin (uno degli svariati nomi del personaggio di James McAvoy) e la dottoressa Fletcher stanno portando avanti un progetto che potrebbe cambiare davvero gli equilibri e che fa capo ad una semplice, all’apparenza innocente domanda: e se l’uomo fosse in procinto di capire come sbloccare il proprio potenziale? Quello vero, che ci farebbe mettere in discussione ogni idea che abbiamo finanche sulla sfera soprannaturale.
Claire, Marcia e Casey (Anya Taylor-Joy) vengono rapite e rinchiuse in un sorta di seminterrato. Ci mettono poco a scoprire che il loro rapitore soffre di disturbi di personalità: quando Kevin entra vestito da donna, accento inglese e modi raffinati, capiscono che il suo non è un vezzo, inquietante com’è la situazione. Casey non è esattamente amica delle altre due, anzi, si può ben dire che le tre si trovino lì un po’ per caso; d’altra parte la giovane non è un elemento facile, outsider per scelta, tipica ragazzina problematica che non intende familiarizzare troppo coi coetanei. Il punto è che Casey ha un passato complesso, che Shyamalan richiama dalle prime battute, rievocando per immagini alcuni ricordi di quando era piccolina. Ma non è un binario aggiunto, questo, ed il senso di tale ricorso lo si coglie a pieno solo alla fine.Split è a suo modo un horror colto, se vogliamo “spurio”; non solo perché per lo più funziona a livello “mentale”, quasi negandocelo il genere ad un livello puramente visivo, bensì perché si situa in un punto di convergenza tra questo genere e la fantascienza, per esempio, adottando i meccanismi del thriller per l’appunto psicologico. Se non lo si coglie subito, di certo andando avanti si ha percezione di un’operazione più elaborata di quello che sembra, che macina citazioni in maniera impercettibile, palesemente (come nel caso del nome della dottoressa Fletcher) o meno (il rifarsi ad un filone molto vecchio, quasi da primo Hitchcock). E sta qui la competenza di Shyamalan, che riesce a filtrare il tutto senza appesantire affatto il dipanarsi di questa storia a limiti del verosimile eppure così credibile.
Il regista di origine indiana ha perciò tratto grandi benefici dalla cura Blumhouse, trovando una sua dimensione nell’ambito di progetti più piccoli ma che hanno qualcosa da dire, con un cuore. Perché sì, altra virtù di Split sta proprio nel suo saper veicolare dell’altro, il solitamente ingombrante messaggio. Come ci riesce? Sostanzialmente concedendosi del tempo, costruendo un mattone dopo l’altro quel finale, quell’ennesimo, potente primo piano in cui il grido di Kevin («Rejoice!») è quasi liberatorio, per noi, per il film, per Shyamalan stesso forse. Il discorso relativo alle molteplici identità, su cui la sceneggiatura gioca abilmente, cela la complessità di una condizione, quella che per l’appunto ci vede divisi, separati (split) in noi stessi.
In tal senso, il titolo con ogni probabilità non si applica solo a chi, come Kevin, si trova a combattere più persone che letteralmente si dimenano dentro di lui; è anche, soprattutto verrebbe da dire, la spaccatura di chi non riesce ad abbandonare il sé passato per abbracciare quello presente. Una sfumatura psicanalitica, per così dire, che impreziosisce un discorso alquanto diretto, fruibile perciò. Split è la storia di una lotta, quella che risale al Mito, dell’eroe (in questo caso eroina) chiamato suo malgrado a compiere la propria missione e che per riuscirci si trova costretto ad affrontare creature e bestie feroci che, di avventura in avventura, assumono le forme più disparate. Dando perciò modo all’avventuriero di scoprire che proprio ciò che lo rende più vulnerabile è esattamente ciò che lo trae in salvo; la sofferenza quale catalizzatore di vita, dunque rimedio alla morte.
Seguendo questo discorso, Split è ancora più allineato a forme di racconto archetipiche proprio nel suo essere il racconto non di una fuga bensì di un ritorno: solo a fronte di una lettura superficiale, che il film incoraggia praticamente sino all’epilogo, può sembrare che il destino delle prigioniere di quel “mostro” sia quello di evadere, sottrarsi alle sue grinfie. L’horror meglio di tanti altri generi riesce ad accordarsi con la natura del racconto ciclico, che si ripete costantemente; di fondo la stessa storia che ci andiamo raccontando da sempre. Shyamalan riesce a seguire questa struttura, facendosi informare anziché informarla; ciò che ne viene fuori è un risultato oltremodo interessante, che si colloca nell’ambito di un fenomeno tra i più significativi nell’ambito del genere, reso rilevante dal sempre più felice sodalizio tra il regista de Il sesto senso e il Re Mida Blumhouse.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”5″ layout=”left”]
Split (USA, 2017) di M. Night Shyamalan. Con James McAvoy, Anya Taylor-Joy, Betty Buckley, Jessica Sula, Haley Lu Richardson, Brad William Henke, Kim Director e Lyne Renee. Nelle nostre sale da giovedì 26 gennaio 2017.