Stanlio e Ollio: delicato ritratto sul tramonto di un’epoca ma non di un’amicizia
L’attraversamento di un’epoca, con l’opportuna discrezione di chi si affaccia su una amicizia di cui è a ragion veduta difficile dire
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Sono all’apice del successo, Stan Laurel e Oliver Hardy, coppia comica i cui lavori sono indissolubilmente legati agli albori del cinema, a quei primi decenni in cui un linguaggio andava delineandosi, ed il contributo di chi sapeva plasticamente far ridere fu immenso (c’erano anche Charlie Chaplin e Buster Keaton, per altri versi). Baird parte da lì, da una rottura, quella concretizzatasi sul set de I fanciulli del West. Apertura opportuna, che ci segnala un passaggio importante, en passant, ossia il tramonto di un certo cinema.
La realtà dei fatti è che vi furono delle divergenze tra Stanlio e Ollio, certo, ma non si può sorvolare, ed il film infatti non cade nell’equivoco, sul cambio di paradigma, o per meglio dire, in maniera meno altisonante, sullo sviluppo di un’industria che per forza di cose cambia. L’intera parabola di Stanlio e Ollio, il film intendo, si sostanzia in questo vano inseguire un ritorno impossibile su un set cinematografico, il tornare davanti a quella macchina da presa che ne ha immortalato gesti, posture, espressioni.
Dopo essersi separati a seguito di quella lite, Stan (Steve Coogan) tenta anni dopo di riallacciare i rapporti con Oliver (John C. Reilly), in parte riuscendoci. Non senza fatica, s’intende, ma con la scusa di avere in saccoccia un film che un produttore è pronto a far finanziare, Laurel convince il suo compagno storico a ripartire dal basso. Basso significa i teatri di provincia, quegli spettacoli ai quali presenziano meno di venti persone, risiedendo in alberghi dove apri la porta di una stanza e la maniglia rischia di restarti in mano.
E si può dire tanto riguardo a come i due ritornano ad affiatarsi, semplicemente spalleggiandosi, incuranti di pubblico, contesto e quant’altro. La testa a quel film che di lì a poco dovrà essere girato, non si sa né come né quando, mentre i loro sketch attirano quel pubblico che non li ha dimenticati. Baird deve cercare di tenere alta l’attenzione, solo dopo può permettersi di dire qualcosa che vada al di là della mimica, dell’impersonificazione più o meno centrata dei due protagonisti.
Tra le righe, ma neanche tanto, c’è perciò l’inesausta verve di Stan Laurel, quel suo scrivere soggetti e sceneggiature semplicemente perché doveva farlo. Ma soprattutto c’è quest’amicizia, quel qualcosa che non si è mai potuto realmente vedere e che per lo più si è potuto immaginare; e si torna sempre a quelle prime sequenze, che alternano il dietro e il davanti le quinte, vero leitmotiv di un racconto che sommessamente vuole sporgersi senza però spiare.
Ecco, questo suo essere sommesso è forse uno dei valori aggiunti di Stanlio e Ollio, che si dà al pubblico mediante l’istrionismo dei suoi due protagonisti, ma anche di qualche comprimario, per poi soffermarsi in maniera delicata su altri temi, non solo l’amicizia tra i due ma anche, appunto, il loro posto nel mondo. In quel mondo che cambia, è cambiato, irrimediabilmente; dandoci contezza davvero di un’altra epoca, quando certi beniamini del grande schermo, giullari al servizio di tutti, vivevano in funzione di un pubblico. Ed infatti è lì che finiscono, su un palcoscenico, ristabilendo quel contatto che il Cinema preclude.
C’è, in questa parabola discendente e poi ascendente, quell’alito di magia che filtra però con leggerezza, perché sarebbe stato assurdo pensare ad un film su Stanlio e Ollio che non fosse stato “per tutti”. A tali condizioni questo era dunque il massimo che si potesse fare, ossia metterci a parte, con discrezione ed anche rispetto se vogliamo, di come due personaggi, che tanto hanno fatto per la loro Arte, si mossero allorché tale Arte li espulse. Un processo che uno immagina violento, cattivo per così dire, mentre invece fu moralmente neutro, qualcosa di naturale, tappa obbligata di un lungo percorso.
E chissà, nello scrivere ciò che sto per scrivere, quanto incida ciò che sapevo prima di questo film, il quale però a sua volta mi ha confermato un’idea: non erano Stanlio e Ollio ad avere bisogno del Cinema, bensì quest’ultimo ad aver bisogno di loro. Finché non ne ha avuto più bisogno, e per loro è stato lo stesso, l’importante è far sorridere un pubblico. C’è chi vive, ha vissuto per questo.