Suffragette: recensione in anteprima
La nascita del movimento che aprì il voto alle donne, visto attraverso gli occhi di un personaggio fittizio che è un insieme di donne davvero esistite. Esemplare: pure troppo. E Suffragette di Sarah Gavron è esattamente come ce lo si aspetta: corretto, di pancia (ma senza esagerare), con qualche breve scossone. Nulla di più. Film d’apertura del Torino Film Festival 2015.
Una delle cose più “interessanti” (si fa per dire) di Suffragette è la scelta di far interpretare il ruolo di Emmeline Pankhurst a Meryl Streep. La Pankhurst fu la leader del movimento inglese delle suffragette, figura talmente scomoda e rivoluzionaria da dover restare nell’ombra e tenere solo ogni tanto qualche discorso pubblico per non venire arrestata dalle autorità.
Non vogliamo fare alcuno spoiler: ma, nonostante il personaggio appaia anche nella locandina ufficiale, pure regista e produzione non si fanno problemi a parlare dello scarsissimo minutaggio concesso sul grande schermo alla Pankhurst. Risulta quindi ancora più assurdo che a un personaggio storico così importante nella recente Storia inglese, con già poco spazio nel film, il ruolo sia stato affidato a un’attrice americana.
Il risultato è, se si può, ancora più goffo e maldestro del cameo di Brad Pitt in 12 Anni Schiavo. Perché l’accento della Streep ha poco o nulla a che fare con quello cockney della gente che le sta attorno (ma prendere, che so, Judi Dench sarebbe stato un problema?), e in generale non si capisce il motivo di tanto dispendio. Si assiste alla scena con un sottile velo di imbarazzo.
Ecco: quel momento di imbarazzo è quasi una scheggia impazzita di una produzione in cui tutto il resto funziona come deve funzionare. Ovvero in modo piatto e lineare, con tutto al proprio posto, dove te lo aspetti. La regia di Sarah Gavron è quella che è (ma almeno la durata del film sta sotto le due ore), mentre Abi Morgan, con il suo script ‘ovvio’, si conferma come un mezzo abbaglio, più autrice di The Iron Lady che di Shame.
Siamo in Inghilterra, nel ventesimo secolo. Maud Watts ha 24 anni, ha un marito, un figlio e un’occupazione. Lavora in un lavatoio, lo stesso dove lavorava sua madre, con i ritmi e l’igiene che ci si può immaginare. Mr. Taylor, il capo che controlla i lavori, è un viscidone che molesta le lavoratrici, meglio se giovani. Sostanzialmente questo è davvero il posto ideale perché cresca il movimento delle suffragette.
Il Women’s Social and Political Union (WSPU), il movimento di disobbedienza sociale guidato dalla Pankhurst, trova quindi qui terreno fertile. Maud, all’inizio restia a entrare in un gruppo di donne che si ribellano lanciando sassi contro le vetrine, non ci mette molto a seguire l’entusiasmo e le ragioni della collega Violet. E le resistenze del marito Sonny non basteranno a fermare la sua crescente passione e rabbia politica.
Il percorso di Maud viene ovviamente messo a dura prova. Il personaggio, assolutamente fittizio, è un insieme di donne vissute davvero all’epoca. E in effetti il suo percorso, tra dolori privati e parabola pubblica (medaglia al valore per la prima incarcerazione compresa!), è fin troppo esemplare. Non falso o costruito a tavolino (anche se…), però, appunto, ovvio. Carey Mulligan prova a dare a Maud più incisività, ma da un punto di vista meramente cinematografico non è che proprio ci ricorderemo di lei per molto tempo.
Anche l’Arthur Steed di Brendan Gleeson, l’Ispettore incaricato di catturare la Pankhurst e tenere a bada il WSPU, non ha lo spessore né di chi crede – purtroppo né intellettualmente né politicamente – nella sua posizione, né la cattiveria di pancia che porterebbe il pubblico a odiarlo. Ecco: Suffragette punta comunque a essere un prodotto di pancia, e in parte – coi suoi momenti di ‘violenza’ edulcorata e le frasi a effetto messe al punto giusto – lo è.
Scenografie, costumi, arredi e tutto quanto fanno giustamente il loro lavoro, e il film si fa anche seguire. I pochi colpetti che assesta riguardano ovviamente la vicenda familiare di Maud, e violenza varia sulle donne (ma senza esagerazione alcuna: ricordiamo il target del film, che è pur sempre un prodotto PG-13). Ma a che serve tutto questo in un periodo in cui il cinema ha avuto Lars Von Trier?
È certo importante che determinati momenti storici ottengano la loro metabolizzazione cinematografica (narrativa e non solo documentaria), ma se il risultato è quello di un film che si dimenticherà in un mese… Al contrario, le informazioni e i dati che ci vengono dati prima dei titoli di coda sono un promemoria che – quello si – resta stampato in testa. Ma questo è dopotutto il cinema civile mainstream che continua a ragionare con The Butler e produrre Stonewall di Emmerich. Che tempi (di nuovo) bui.
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”5″ layout=”left”]
Suffragette (Inghilterra 2015, drammatico 106′); di Sarah Gavron; con Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, Meryl Streep, Brendan Gleeson, Ben Whishaw. Qui il trailer. Uscita in sala il 3 marzo 2016.