Sundance 2013: ecco i 16 film nel mirino di Cineblog
Ci siamo. Il Sundance Film Festival di quest’anno è cominciato da appena tre giorni e, anche se a debita distanza purtroppo, seguiremo anche noi uno degli eventi più interessanti del panorama festivaliero. In questa edizione, tra l’altro, di roba meritevole d’attenzione pare essercene davvero parecchia. Un’offerta che si distende attraverso undici categorie già in partenza
Ci siamo. Il Sundance Film Festival di quest’anno è cominciato da appena tre giorni e, anche se a debita distanza purtroppo, seguiremo anche noi uno degli eventi più interessanti del panorama festivaliero. In questa edizione, tra l’altro, di roba meritevole d’attenzione pare essercene davvero parecchia. Un’offerta che si distende attraverso undici categorie già in partenza di sicuro interesse.
Noi, tra i non pochi film che verranno presentati in questi giorni, ne abbiamo scelti 16. Non i più rappresentativi magari, né necessariamente i più attesi (tranne alcuni, indiscutibilmente attesi). Tutt’al più si tratta di quelli che più ci hanno intrigato, alla luce di una lunga serie di considerazioni tra cui non ultimo il semplice, bistrattato intuito. E qualora vi steste domandando «perché proprio 16?», la risposta è semplice: perché volevamo segnalarne 15 ma alla fine è venuto fuori che avevamo sforato di uno e non avevamo alcuna intenzione di tornare indietro.
Ma bando ad ulteriori temporeggiamenti, dopo il consueto salto troverete tutto ciò che vi serve. Nella speranza, come accade praticamente ogni anno (e per ovvi motivi), di doversi arrendere all’evidenza di non essere riusciti preventivamente a scovare la vera sorpresa. Succede. E quando capita è sempre un piacere.
Upstream Color (USA, 96 min.) – Con Primer la svolta: da perfetto sconosciuto, Shane Carruth s’impone al Sundace nel 2004. Solo 7 mila dollari per dar vita ad un thriller cervellotico, basato sui paradossi temporali. Da allora è questo il territorio privilegiato dal dottore in Matematica, novello regista. Anche stavolta saremo nell’ambito della fantascienza, ma con otto anni di esperienza sul groppone ed una storia che fa già tremare i polsi. Abbiamo tentato in qualche modo di spiegare di che si tratta quando ne venimmo a conoscenza la prima volta, ma ancora ora l’incipit resta criptico. Qui trovate il theatrical trailer.
The Way, Way Back (USA, 96 min.) – Forti dell’Oscar alla miglior sceneggiatura non originale per Paradiso amaro, il duo composto da Jim Rash e Nat Faxon è pronto per il debutto in cabina di regia. Non fosse per il cast di livello di cui il film dispone (Steve Carell, Toni Collette, Sam Rockwell e Maya Rudolph su tutti), la stessa trama ci induce a ben sperare. La storia si concentra infatti su un ragazzino di 14 anni, Duncan, in viaggio con la famiglia per le vacanze. Lì incontrerà Owen, che presto diverrà il suo mentore. Grazie a questa nuova conoscenza Duncan riuscirà ad uscire dal proprio guscio e a superare il difficile periodo, tra la giovane età e la delicata situazione familiare. Non vediamo l’ora di assistere a questa commedia e di capire come se la sia cavata Rockwell in particolar modo.
jOBS (USA, 122 min.) – Era inevitabile. Anche al cinema toccava il proprio tributo ad una delle figure più influenti dal dopoguerra ad oggi. Con jOBS pare ci si focalizzerà sul periodo inerente alla fondazione della Apple, avvenuta nel 1976. Erano i giorni nel garage accanto casa, quando i due Steve (Jobs e Wozniak) lavoravano al loro Apple I. Al di là della sin troppo fotogenica somiglianza tra Jobs e Kutcher, non resistiamo alla curiosità di vedere cosa Joshua Michael Stern e Matt Whiteley sono stati in grado di fare.
Before Midnight (USA, 108 min.) – Oltremodo eloquente la descrizione che ci viene data dal Sundance stesso: «è l’appropriato terzo capitolo di una delle grandi storie d’amore del cinema indipendente americano». I più tenderanno ad associare il nome di Richard Linklater a film come La vita è un sogno (Dazed and Confused) soprattutto, oppure ad A Scanner Darkly. Sta di fatto che il diretto interessato pare coltivare un sentito legame con la storia di Jesse e Céline, tanto da tornarci a distanza di quasi vent’anni dal primo, fulminante incontro e di nove anni rispetto al loro ultimo, appassionato saluto in quel di Parigi.
Stoker (USA, 98 min.) – Se Dio vuole riusciremo a mettervi a parte delle nostre impressioni già nel corso delle prossime settimane, visto che Stoker chiuderà il Festival di Rotterdam, al quale noi di Cineblog saremo ben lieti di presenziare. Che dire? Debutto di Park Chan-Wook in suolo anglofono, con due attrici che incarnano abbastanza comodamente presente e passato, ossia Mia Wasikowska e Nicole Kidman – senza nulla togliere alla stupenda Nicole, alla quale auguriamo il meglio anche per gli anni a venire. Dalle nostre parti, per forza di cose, di Stoker ne abbiamo già ampiamente discusso, quindi vi rimandiamo all’apposito articolo.
Prince Avalanche (USA, 94 min.) – Un film sull’amicizia, all’interno di una cornice da pieno countryside americano. Mentiremmo se negassimo che Emile Hirsch rappresenti il motivo principale per cui teniamo d’occhio questa pellicola, sebbene la stessa presentazione che ne viene fatta ci ha incuriosito. I due protagonisti, dopo essersi ritirati dal delirio urbano in cui vivono, avranno modo di approfondire il loro rapporto d’amicizia; l’aspetto più interessante ci pare il tenore, profondo ma senza prendersi mai troppo sul serio.
Sound City (USA, 106 min.) – Dai Nirvana ai Foo Fighters, è stato sempre Dave Grohl. Senza entrare nel merito di dispute musicali che non ci competono, avvertiamo sempre una particolare tensione nei riguardi di taluni documentari incentrati su questo mondo, cui di certo non manca il fascino. Grohl si cimenta nel suo primo progetto cinematografico ripercorrendo circa quarant’anni di storia della sua musica attraverso quella del Sound City, celeberrimo studio di registrazione. Tendenze che cambiano, generi che vanno comparendo e scomparendo, per una racconto fortemente ancorato all’impatto del digitale sulla musica. Questioni capitali, dalle quali certamente il cinema non può dirsi avulso.
Don Jon’s Addiction (USA, 90 min.) – Debutto dietro la macchina da presa per un Joseph Gordon-Levitt sempre più sulla cresta dell’onda. Non pago del successo come attore, il giovane Gordon-Levitt si cimenta in quella che ci viene presentata come una commedia deliziosa, sincera e viscerale, avvalendosi della collaborazione, tra gli altri, di Scarlett Johansson e Julianne Moore. Jon Martello rientra nel gruppo di coloro che possono dirsi, senza alcuna riserva, realizzati: ha una lavoro, una casa, una macchina, una famiglia, ma soprattutto tante donne. Nonostante questo, però, è profondamente insoddisfatto: le tante scappatelle non riescono a gratificarlo quanto una rigenerante seduta di pornografia online. Che fare, dunque? Nel tentativo di trovare un perfetto equilibrio sessuale, Jon conoscerà l’amore proprio grazie a due donne completamente diverse tra loro.
Breathe In (USA, 98 min.) – Like Crazy permise a Drake Doremus di attuare un salto, visto che questa sua ultima pellicola gli valse un Gran Premio della Giuria proprio al Sundance, due anni fa. Una delle particolarità più interessanti, al di là di tutto, è di natura tecnica: il film fu girato interamente con una Canon EOS 7D. Tolto questo, per il momento ci è bastato sapere che l’estetica già accennata da Doremus è ancora presente, impreziosita da un elegante sottofondo musicale, visto che uno dei protagonisti (Guy Pearce) è un violoncellista.
The Look of Love (UK, 105 min.) – Progetto dal retaggio alquanto curioso. Dal regista che scatenò un’accesa polemica per il suo esplicito 9 Songs, Michael Winterbottom porta in scena stavolta una sorta di biopic di Paul Raymond, anche detto il Re di Soho. E questo sarebbe stato il titolo, se non fossero intervenute alcune beghe legali. Un passo indietro, dunque, ma la musica è la stessa: The Look of Love ci parla dell’ascesa di Raymond, dal suo primo strip club ai magazine sconci, tutta roba che ebbe un’eco tremenda in quella parte d’Inghilterra legata alle tradizioni. La presenza di Steve Coogan nei panni del protagonista ci inducono a credere che l’argomento verrà trattato con non poco umorismo. Sfizioso.
The East (USA, 116 min.) – Un misterioso gruppo di anarchici prende di mira una serie di amministratori delegati delle più influenti multinazionali, costringendoli a consumare i prodotti altamente nocivi che producono. La navigata agente dell’FBI, Sarah Moss, viene mandata sotto copertura a scoprire cosa si celi dietro quest’organizzazione. Man mano, però, più si avvicina a loro più aumenta la simpatica per la causa di cui si fanno portavoce. Promettente ritorno per Zal Batmanglij dopo Sound of My Voice.
A.C.O.D. (USA, 95 min.) – Altra commedia dal potenziale incoraggiante. Carter è una vittima a tutto tondo, ancora incastrato in questioni scottanti come il divorzio dei suoi genitori, avvenuto quindici anni prima. Finché non incontra di nuovo la terapista che lo ebbe in carico in gioventù: Carter scopre allora di essere stato oggetto di studio nel libro della dottoressa, la quale, pur non potendolo aiutare, è felice di questo incontro. Il motivo? L’opportunità di dare seguito a quel suo primo libro. Le tematiche richiamate già da questa breve sinossi sono piuttosto pressanti e di gran lunga meno leggere di quanto l’atmosfera lasci supporre.
Lovelace (USA, 92 min.) – Linda Lovelace, icona di una società che cambia radicalmente, non solo in merito a ciò che guarda ma a ciò che fa. Con questo film Rob Epstein e Jeffrey Friedman avvicinano ancora di più la vita dell’attrice passata alla storia per Gola Profonda, proprio con l’intenzione di capire e farci capire cosa si celasse dietro la leggenda di una donna materializzatasi di colpo sotto le luci della ribalta grazie all’incontro con Chuck Traynor, passando attraverso le prime esitazioni nel portare dignitosamente a termine una fellatio. Protagonista Amanda Seyfried.
Virtually Heroes (USA, 84 min.) – Molti potranno non condividere, ma il primo film di Roger Corman è già un must-watching per la pletora di geek e nerd che popolano la rete e non solo. Il sergente Books sa di essere il personaggio di un videogioco. Stanco della solita routine, tra inutili battaglie, boss troppo potenti ed infinit respawn dei nemici, decide di fare di testa sua, abbandonando la sua missione e chiedendo lumi ad un monaco. Irresistibile incipit per un film che già a queste condizioni si candida ad elevarsi quale stravagante esempio della pop-culture più attuale, tra satira e commedia.
Computer Chess (USA, 91 min.) – Il massimo esponente, nonché iniziatore del sottogenere indipendente denominato mumblecore, Andrew Bujalski, struttura il suo quarto film attorno a un gruppo di piccoli geni che tentano di creare un software in grado di battere a scacchi un essere umano. Questa particolare compagnia, mossi da un unico intento, dovrà letteralmente scontrarsi con alcune relazioni sociali nelle quali s’imbatteranno, dando vita a situazioni a quanto pare esilaranti. A cavallo tra anni ’70 e ’80, un po’ Cassavetes e un po’ La rivincita dei Nerd.
Kill Your Darlings (USA, 104 min.) – La genesi della beat generation in poco meno di dure ore. Questo è il magari implicito ma ambizioso scopo di John Krokidas, che punta davvero alto con questo suo primo film. I primi approcci tra Allen Ginsberg, Lucien Carr, William Burroughs e Jack Kerouac, il loro esasperato anticonformismo; fino alla morte di David Kammerer, che cambierà radicalmente la vita a tre di loro. Cast notevole, con Daniel Radcliffe, Dane DeHaan e Ben Foster.