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Terminator Genisys: recensione in anteprima

Più umorismo, “meno fantascienza” e azione quanto basta. Sono questi gli ingredienti di Terminator Genisys, reboot che spalanca più porte di quelle che riesce a chiudere, generando un po’ di confusione alla quale ciascuno risponderà a proprio modo. Tuttavia, tanto sano intrattenimento

pubblicato 7 Luglio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 14:28

[quote layout=”big” cite=”Kyle Reese]Genisys è Skynet.[/quote]

A ben vedere Genisys fa della portabilità uno dei suoi cavalli di battaglia. Al netto dei numerosi refrain tratti dai primi due, intramontabili Terminator, questo quinto capitolo annuncia fieramente la stagione del «sempre connessi e dovunque», cavalcando l’epoca di cui è figlio e farne un elemento determinante, senza troppo curarsi delle potenziali critiche. Che infatti sono arrivate, le più disparate peraltro.

C’è a chi infatti non andrà giù il ricorso reiterato ai fasti dei primi due, condito di gag citazioniste e richiami vari che per alcuni potrà sembrare parodia. Ma Genisys si muove su due livelli: il primo risale alla presunta complessità della trama, con tante di quelle porte lasciate aperte che la metà basta; l’altro, ovvero lo strato sovrapposto, è il vero punto di forza, composto di azione ben confezionata e passaggi spassosi. Se il primo livello presta perciò il fianco a legittimi lamenti, sul secondo c’è poco da recriminare: questa quinta iterazione trova un equilibrio per cui l’operazione può dirsi in larga parte riuscita.

È complesso attardarsi sulla trama senza correre il rischio di svelare più del dovuto, ma ci proviamo. L’esercito di John Connor (Jason Clarke) è sul punto di avere la meglio dopo una lunga, estenuante guerra con le macchine. Tuttavia il vero obiettivo è impedire che Skynet corra ai ripari lanciando la prima, importante controffensiva in caso di sconfitta: il primo Terminator. Ma non ci riesce, perciò Kyle Reese (Jai Courtney), uno dei fedelissimi di Connor, si offre volontario per tornare indietro nel 1984 e difendere la madre del suo leader, ossia Sarah Connor (Emilia Clarke).

Da qui in avanti si avvicendano una serie di twist che, come accennato sopra, poggiano su un terreno incerto; paradossi creati, immaginiamo, al solo scopo di surriscaldare il cervello dello spettatore, il quale invano cercherà di unire puntini che non ci sono. Ed è vero, la cosa potrebbe indisporre, specie chi della coerenza e robustezza a certi livelli non riesce proprio a fare a meno. Un gioco a incastro in cui le tessere, va detto, raramente combaciano, sebbene le regole siano le stesse che disciplinano la struttura di un altro film, di recente uscita, basato proprio sui viaggi temporali, ovvero Predestination. L’unico elemento che accomuna il film dei fratelli Spierig a quello di Alan Taylor, però, sta nell’asfissiante fatalismo al quale alla fine approdano entrambi. Niente di più, niente di meno.

Il punto è che non è tutto qui. Ci sono delle logiche che attengono alla proposta di un reboot così blasonato, oggi, per cui di certi compromessi ci pare non si possa fare a meno. C’è chi ha scritto che Genisys vada visto solo dagli amanti dei primi due diretti da James Cameron, e c’è che chi ha rivolto l’invito opposto, nel senso che proprio i fan dovrebbero tenersene alla larga. Solo che il film di Taylor vanta un buon ritmo, delle parti action che funzionano ed alcuni segmenti molto spassosi. Ma soprattutto lui, Arnold, che a questo punto non è più una semplice macchina antropomorfa bensì comincia anche interiormente ad aver sviluppato “qualcosa” di umano.

«Vecchio ma non obsoleto» è il suo leitmotiv, il che a parere di chi scrive ci sta tutto. Come per Jurassic World, sarebbe stato insensato aspettarsi un’operazione che rinverdisse i fasti, ché oggi ai reboot di opere leggendarie come queste serve tutt’altro. Ed infatti anche Genisys è un’altra cosa, un altro film, alla cui base giace però un universo che ha avuto il tempo di sedimentarsi nella coscienza cinematografica collettiva – quella sorta di «mitologia» che al film di Trevorrow purtroppo manca. Non a caso i compromessi ai quali approdano Taylor e soci ci sembrano di gran lunga più godibili rispetto a quelli di World, proprio per via di quell’equilibrio tra richiami alla fonte ed intrattenimento che l’uno raggiunge mentre l’altro no.

Ad ogni modo, scordatevi performance indimenticabili dai tre protagonisti (Matt Smith non pervenuto… capirete il perché), ai quali però non veniva chiesto, ci pare, di esporsi più di tanto. D’altronde lo abbiamo già evidenziato e lo ripetiamo: questo film diverte, mostrandosi meno ambizioso o addirittura “presuntuoso” di quanto lasci intravedere. C’è la palese volontà di tenere il portone spalancato in vista di un sesto capitolo, e per capirlo non c’è nemmeno bisogno della sequenza finale dopo i titoli di coda. Ma se a fronte di queste dinamiche non avesse corrisposto con del piacevole intrattenimento, allora sì, avrebbe meritato il nostro scorno; stando così le cose, però, si può anche glissare su certe furberie, che peraltro in un contesto del genere non rappresentano nemmeno note così stonate.

C’è peraltro piaciuto il discorso relativo al Terminator/T-800 meno avanzato rispetto ai vari T-1000 e 3000 e che, a dispetto della sua anzianità, riesce a sublimare il suo ritardo tecnologico mediante altre componenti – tra cui la prima l’abbiamo evocata sopra, ovvero l’umanità. Attraverso una dialettica di stampo hegeliano che, a distanza di ben ventiquattro anni da Terminator 2, opera una sintesi che parla di rinascita, nuova vita, tutto considerato. Se i due sceneggiatori fossero riusciti a mescolare meglio le carte, anziché disseminare un certo disordine, staremmo addirittura parlando del reboot migliore da qualche tempo a questa parte – anche se, considerato il trattamento di Matt Smith, è lecito supporre che in fase di montaggio siano subentrate modifiche probabilmente importanti.

Ed invece Terminator Genisys è buon (nuovo) inizio, di quelli che ti fanno mettere le mani nei capelli se pensi a cosa toccherà escogitare per dargli un seguito (non invidiamo chi si occuperà del sesto), ma che vissuto sul momento, «qui e adesso», offre dei più che validi spunti anzitutto per svagarsi, e poi (poi!) anche per ragionare su come Hollywood stia cambiando. Perché che stia cambiando lo sappiamo tutti; sul “come” non siamo ancora altrettanto ferrati. Insomma, più umorismo, “meno fantascienza” e azione quanto basta. Prendere o lasciare.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Federico” value=”4″ layout=”left”]

Terminator Genisys (USA, 2015) di Alan Taylor. Con Arnold Schwarzenegger, Emilia Clarke, Jai Courtney, J. K. Simmons, Jason Clarke, Matt Smith, Byung-hun Lee e Brett Azar. Nelle nostre sale da giovedì 9 luglio.