The Adam Project, recensione: viaggi nel tempo, cuore e tanta nostalgia anni ottanta
Blogo ha visto e recensito il film “The Adam Project” con Ryan Reynolds: avventura, fantascienza e viaggi nel tempo su Netflix dall’11 marzo 2022.
The Adam Project approda su Netflix e il regista Shawn Levy dopo aver ammiccato al mondo dei videogiochi con il divertente Free Guy torna a quella nostalgia anni ottanta che aveva infuso nel suo Real Steel del 2011, il dramma sci-fi con robot pugili che ammiccava all’Over the Top di Stallone e che ruotava attorno ad un difficile rapporto padre-figlio (Hugh Jackman / Dakota Goyo). Per “The Adam Project” Levy torna a collaborare con Reynolds dopo il recente “Free Guy” e il rapporto padre-figlio torna al centro della trama di un film ancora di fantascienza che miscela cuore, viaggi nel tempo e strizzatine d’occhio al cinema per ragazzi degli anni ottanta.
Esattamente come accadeva in Faccia a faccia del 2000, dove Bruce Willis incontrava un se stesso ragazzino che non voleva ricordare, imbranato e tormentato dai bulli, anche il personaggio di Ryan Reynolds incontra se stesso in “The Adam Project”, in questo caso un ragazzino che ha appena perso il padre, dalla lingua affilata come un rasoio, ma fisicamente più piccolo dei suoi compagni di scuola e quindi sistematicamente vittima di bulli. I due Adam condividono un padre scienziato interpretato da Mark Ruffalo, morto da poco più di un anno e una madre, interpretata da Jennifer Garner, ancora in piena elaborazione del lutto e costretta a ricoprire anche il ruolo di capofamiglia.
L’Adam di Reynolds viaggia nel passato per cambiare le sorti di un futuro cupo e orwelliano con l’idea di cancellare dalla linea temporale ogni traccia dei viaggi nel tempo, ma ferito e braccato si trova nell’anno sbagliato e costretto a chiedere l’aiuto del se stesso ragazzino (Walker Scobell), riscoprendo lunga la strada l’affetto per l’immagine di un padre distorta da un doloroso rancore, e una sua versione più giovane che aveva ampiamente sottovalutato e cercato di dimenticare, ma che in realtà scoprirà essere la parte migliore di sé.
Ryan Reynolds mantiene il suo tipico umorismo e la battuta sarcastica, ma stavolta regala al suo personaggio una connotazione emotiva che ne mostra un lato più vulnerabile che risulta piacevole, e che ben si sposa con l’evoluzione emotiva del suo Adam che però non manca di combattere come uno Jedi e rispettare tutti i cliché dell’eroe di film d’azione. Shawn Levy e Reynolds, a bordo anche in veste di produttore, ammiccano senza remore ad un cinema per ragazzi che negli anni ottanta era ben rappresentato dalla Amblin di Steven Spielberg che ha prodotto classici come I Goonies, Gremlins, Piramide di paura, Salto nel buio e naturalmente gli amatissimi E.T. l’extra-terrestre (citato nella scena in cui i due Adam s’incontrano per la prima volta) e Ritorno al futuro (L’Adam adulto incontra sua madre ignara di chi sia in realtà).
“The Adam Project” conta su una invidiabile leggerezza che anche nei momenti più drammatici e violenti resta nell’ambito del cinema per ragazzi e famiglie. L’intento di Shawn Levy ci è sembrato quello di creare qualcosa che non si piegasse alla tecnologia e agli effetti speciali, nessun videogioco portato sullo schermo insomma, ma una storia che puntasse sui personaggi, dinamiche familiari e una componente emotiva che non venisse diluita all’interno di elementi di grande fascino come la fantascienza e i viaggi nel tempo. A questo punto sembra che l’operazione sia perfettamente riuscita poiché tutto fila liscio fino ai titoli di coda accompagnati dalla popolare hit anni ottanta “Let My Love Open the Door” di Pete Townshend che si pone a sigillo di una riuscita operazione nostalgia assolutamente godibile.