The Call, non rispondere. La recensione
The Call, non rispondere. (Chakushin ari – Giappone – 2003) di Takashi Miike, con Kou Shibasaki, Shin’ichi Tsutsumi, Kazue Fukiishi, Anna Nagata, Atsushi Ida, Mariko Tsutsui.Una ragazza riceve un messaggio sul suo telefono, è lei stessa ad averlo mandato. Sentire la propria voce terrorizzata che urla non è certo rassicurante, due giorni dopo, nel momento
The Call, non rispondere. (Chakushin ari – Giappone – 2003) di Takashi Miike, con Kou Shibasaki, Shin’ichi Tsutsumi, Kazue Fukiishi, Anna Nagata, Atsushi Ida, Mariko Tsutsui.
Una ragazza riceve un messaggio sul suo telefono, è lei stessa ad averlo mandato. Sentire la propria voce terrorizzata che urla non è certo rassicurante, due giorni dopo, nel momento stesso in cui era stato inviato il messaggio, la ragazza muore e un messaggio arriverà ad un amico, iniziando così una catena di morte di cellulare in cellulare.
Questo, che è tra le altre cose il primo film di Takashi Miike distribuito in Italia, è un oggetto controverso un po’ perchè se confrontato con il meglio della filmografia miikiana non può che quantomeno essere in difetto, un po’ perchè se confrontato con il panorama coevo del Jhorror, sebbene un po’ tardo (forse in chiusura), non sfigura di certo a fianco dei suoi prossimi parenti.
Alla prima visione, un paio di anni fa, mi ricordo che l’indignazione era multipla, sia per il film in sè, sia perchè trovavo discutibile il fatto che venisse distribuito questo the call rispetto che ne so a Gozu, ma a distanza di tempo devo ricredermi parzialmente, non è così malaccio come mi ricordavo. Certo non sarà l’originalità fatta horror e il film cade spesso di tono e mordente, ma possiamo prenderlo tranquillamente come un’antologia del Jhorror, una selezione delle situazioni più sfruttate ed efficaci di quel tipo di cinema.
Pecca forse di una sceneggiatura contorta, che rimanda continuamente il motivo delle uccisioni, quando crediamo di aver capito chi e perchè usa il telefono per uccidere subito il film cambia direzione, indirizzando i sospetti su qualche altra cosa, fino a far perdere le coordinate allo spettatore. Da questo punto di vista è sicuramente scaltro e coraggioso, ma tutta questo complicare finisce per uccidere l’interesse più che aumentare il mistero e nella migliore delle ipotesi fa scomparire la paura a favore del raziocinio.
Tuttavia la forza di Miike si sente, nella costruzione degli interni, che gira come al solito in modo splendido, ma qui con l’aggiunta di quel tocco di brivido che li rende ancor più inquietanti e straniati. E rimane poi tutto un discorso sulla famiglia e i rapporti familiari (infatti è dalla famiglia, sui giovani, che parte il terrore) che è tanto vero quanto i massacri nelle villette che sentiamo in tv.
Non che lo rivaluti appieno, rimangono dei difetti bene in evidenza e non si può certo dire che la tensione rimanga alta per tutto il film, ma certamente è meglio di quanto mi ricordassi e sicuramente è superiore ad occhi chiusi al remake americano One Missed Call.