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The Congress: recensione in anteprima del film di Ari Folman

Ari Folman torna con l’attesissimo The Congress, dopo il successo di Valzer con Bashir. Un film metà live action e metà animazione, molto sentito dal suo autore. Non privo di imperfezioni, ma libero e coraggioso. Un attacco all’industria del cinema hollywoodiano che poi si allarga a macchia d’olio. Con un’ottima Robin Wright. Ecco la recensione di Cineblog dal Festival di Cannes 2013

pubblicato 19 Maggio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 14:44

Robin Wright che piange in primo piano: è questa la prima inquadratura di The Congress, il film che Ari Folman ha diretto dopo Valzer con Bashir e che ha aperto la Quinzaine di Cannes 2013. Il manager dell’attrice, Al (Harvey Keitel), le sta elencando i motivi del perché la sua carriera sia ormai arrivata al capolinea. Dopo essere stata una vera promessa, dopo 24 anni di film e dopo diverse scelte da lei non prese, il suo studio (la Miramaount) ha deciso di farle un’ultima proposta.

Il direttore le spiega che vogliono scannerizzare la sua immagine ed usarla a proprio piacimento: l’hanno già fatto con diversi attori come Keanu Reeves e Michelle Williams. Si tratta di una proposta che le farebbe guadagnare bene, che la mostrerebbe sempre giovane sul grande schermo e che le darebbe il sostegno necessario per le cure del figlio Aaron (Kodi Smit-McPhee), che ha una rara sindrome che potrebbe renderlo cieco e sordo.

Robin dovrà però letteralmente eclissarsi da ogni media e non recitare mai più: la sua immagine ricreata al computer e soprattutte le sue scelte saranno in mano alla Miramount per sempre. La donna, dopo aver contattato un avvocato ed essersi consultata con Al, decide di firmare il contratto, soprattutto per il bene del figlio. Durante il momento della scannerizzazione le viene chiesto di sorridere, mostrarsi felice, ridere, mostrare il suo vuoto interiore e la tristezza…

Stacco, e ci troviamo vent’anni più tardi. Fino a qui e fino a qualche minuto dopo, The Congress si dimostra una chiara e poco velata satira nei confronti dell’industria di Hollywood. La Robin “scannerizzata”, ad una domanda di un giornalista riguardo la sua eroina nella saga action Triple R, risponde senza pudore che “non è sci-fi, lo definirei un documentario”, mentre Tom Cruise (che ha anche lui fatto la scannerizzazione) le dice che in questi ultimi anni, visto tutto il tempo libero che ha, si è dedicato ad aiutare l’Unicef.

Il nome dello studio poi la dice lunga, essendo una fusione tra Miramax e Paramount. La svolta nel film avviene proprio in questa sezione ambientata venti anni più tardi rispetto alla precedente: lo studio cinematografico si è fuso con una casa farmaceutica – diventando la Miramount-Nagasaki – per creare una formula chimica che permette di mettere in commercio l'”essenza” degli attori. Così una persona qualunque può bere questa sostanza e “diventare” un po’ quel preciso attore, o qualunque cosa voglia.


La presentazione ufficiale dell’invenzione avviene al Congresso Futuristico di Abrahama City, in cui tutti i partecipanti vengono prima “trasformati” in cartoni animati. Anche Robin deve presenziare, perché costretta a pubblicizzare il prodotto. Da questo momento in poi, Folman non punta più a colpire solo l’industria cinematografica, ma un sistema digitale che viaggia nell’etere che sta evidentemente disumanizzando l’uomo. E, guarda caso, il presentatore del congresso si chiama… Reeve Bobs.

“Tutto è nella nostra mente. Se vedi buio è perché vuoi il buio”, dicono a Robin. Pare proprio così, perché basta sniffare una provetta per vivere un’esperienza “altra”. Le conseguenze terrificanti sono ovviamente dietro l’angolo, e nella parte finale Folman mette in gioco un pessimismo anche piuttosto pesante. L’uomo vive esperienze ormai soltanto attraverso formule binarie e chimiche, e del suo corpo non interessa più nulla a nessuno.

È un film parecchio discontinuo, The Congress, molto meno compatto dell’opera precedente. Diviso in tre parti (live action, animazione e ancora live action, più il finale), il film trova il suo momento più faticoso proprio nella sezione del congresso, dove ne succedono di tutti i colori: ma è la sceneggiatura a mettere a dura prova. Non infastidiscono affatto le linee e le geometrie perfette dei disegni, i colori pantone, le figure assurde e gli animali di ogni tipo ispirati ai fratelli Fleischer, anzi.

E sono da leccarsi i baffi i camei di diversi personaggi della cultura internazionale, come Michael Jackson, Yoko Ono, Grace Jones o Frida. Ma la voglia del regista di stupire lo spettatore vira presto su un accumulo in cui si aprono voragini di sceneggiatura che, piuttosto che sembrare una scelta voluta (e sicuramente sarà così), paiono dettate da uno script poco lavorato. Come se Folman avesse ben in testa il risultato che vuole ottenere, ma non l’abbia scritto nel modo giusto.

Però a The Congress vanno riconosciuti dei grandi meriti: innanzitutto perché è cinema liberissimo, e che quindi si prende dei rischi non da poco. The Congress tira fuori anche all’interno del suo discorso meta-cinematografico il concetto di libera scelta, toccando il cuore nel finale (fondamentale a livello emotivo è il supporto della musica, scritta come sempre dal bravissimo Max Richter).

A Robin viene detto che, quando era ancora sulla cresta dell’onda, era praticamente perfetta, tranne per una cosa, il più grande difetto per un’attrice: quello di avere paura, vero terrore. Che è, appunto, un sentimento umanissimo. Nel finale, Folman fa’ sì che sia lei stessa a combattere le proprie paure. Restituendo all’essere umano la sua essenza e, pur nel pessimismo, i propri sogni.

Voto di Gabriele: 7

The Congress (Usa 2013, animazione / fantascienza 131′) di Ari Folman; con Robin Wright, Kodi Smit-McPhee, Paul Giamatti, Harvey Keitel, Sami Gayle, Frances Fisher, Danny Huston, Michael Landes, Michael Stahl-David, Christopher B. Duncan.

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